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Lettere, pranzi (e l'atteso talismano): cosa legava D'Annunzio alla Regina di Palermo

D’Annunzio notò Franca Florio sotto i portici e tutta la comitiva siciliana seduta al caffè "Florian": la storia del loro primo incontro e della loro particolare legame

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 10 aprile 2025

Nell'immagine Gabriele D'Annunzio e Franca Florio

Gabriele D’Annunzio, manipolatore, egocentrico, narcisista, megalomane, raffinato cultore della bellezza femminile, non fu di certo insensibile al fascino di Donna Franca Florio.

"L'Unica” la definì, sperando con tutto il cuore (e inutilmente) di poter annoverare la nobildonna siciliana tra le sue conquiste.

Il loro primo incontro avvenne nell'autunno del 1897 a Venezia, città romantica per antonomasia. Gabriele aveva 34 anni, la signora Florio dieci di meno.

Era giunta nella città lagunare insieme a un folto gruppo di parenti e amici. C’erano la suocera Giovanna D’Ondes, il conte Pignone, la Baronessa Piccolo, i Sangiuliano, il principe Monforte, il colonnello Monterito.

D’Annunzio notò Franca passando sotto i portici, mentre tutta la comitiva siciliana era seduta al caffè "Florian". Si inchinò e baciò la mano della nobildonna, presentandosi tra lo stupore di tutti.

Dopo quell’incontro scrisse di getto sul suo taccuino parole appassionate, che poco in verità sarebbero state gradite dalla diretta interessata: "Una donna – una signora siciliana, Donna Franca – passa sotto le procuratie: alta, snella, pieghevole, ondeggiante, con quel passo che gli antichi veneziani chiamavano appunto alla levriera.

Subitamente rivive nella mia immaginazione una cortigiana del tempo glorioso: Veronica Franca. Ella è bruna, dorata, aquilina, e indolente.

Un’essenza voluttuosa, volatile e penetrante emana dal suo corpo regale. Ella è svogliata e ardente, con uno sguardo che promette e delude.

Non la volontà ma la natura l’ha creata dominatrice. Ella ha nelle sue mani doro tutto il bene e tutto il male".

Franca Florio e il Vate si rividero un paio di anni dopo, il 15 Aprile del 1899, a Palermo, in occasione della prima de La Gioconda, tragedia che sanciva la nascita della coppia Eleonora Duse - Ermete Zacconi.

Dopo la rappresentazione al teatro Bellini, ebbe luogo un grande ricevimento organizzato dai Lanza di Trabia, cognati dei Florio, nella loro villa alle Terre Rosse.

Per tutta la serata D’Annunzio conversò amabilmente con Franca, mangiandosela con gli occhi e riuscì persino a convincerla a non indossare più orecchini, perché – affermava con veemenza – erano gioielli che non valorizzavano i suoi bei lineamenti.

Donna Franca per molti anni non avrebbe portato orecchini, trasformando quelli già in suo possesso in spille, anelli o pendenti.

Il Vate non faticò molto ad accorgersi che la nobildonna palermitana non era “alla sua portata”: in futuro ci sarebbero stati rapporti cortesi, cordiali scambi di piccoli doni, ma nulla di più.

Franca, nei primi periodi della loro frequentazione, parecchio infastidita, appuntava sul suo diario: “4 maggio 1899, messaggi furtivi, biglietti, lettere, piccoli cadeau…da tempo, da anni.

Non mi fido di Gabriele, è più forte di me. Certo mi lusinga quel che dice e scrive di me, apprezzo le pubbliche benemerenze che mi indirizza quando è distante e i complimenti quando è tanto vicino da sfiorarmi quasi.

Ma a volte sanno di lascivo. Mi ha turbato il suo "Il Piacere", non posso negarlo. E poi perché darmi dell’aquilina proprio mentre camminavo sotto le procuratie di Venezia con il passo per di più alla levriera? Il mio naso? Non lo cambierei con quello di nessun’altra.

C’è il segno dei miei avi. Che lo sappia il Vate Volpino: io mi ricordo bene di Fedro”.

Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse furono ospiti dei Florio. Il poeta amava passeggiare per i giardini dell’Olivuzza e si spingeva fino a raggiungere il vicino Castello della Zisa.

Gli piaceva assai l’impareggiabile cucina dello chef di casa Florio: in particolare apprezzava il capretto stufato e le amarene sciroppate, preparate dalla baronessa Giovanna D’Ondes, madre di Ignazio e Vincenzo, in persona.

Franca non cucinava. Come affermerà la nipote Costanza Afan de Rivera, “non avrebbe tollerato di prepararsi da sé neanche un uovo al tegamino”; ma sapeva ricevere.

Gli eventi di casa Florio erano argomento di conversazione per giorni e giorni a Palermo. La preparazione delle feste e dei ricevimenti non durava meno di 10 giorni e il servizio doveva essere impeccabile.

Si legge infatti nel diario di Franca: “1 Ottobre 1899, oggi lavata di capo al nostro maggiordomo: i nuovi servitori sembrano sconoscere le regole della Casa. Ho voluto che li facesse esercitare…piedi uniti sulla soglia e orecchie all’anticamera, perché gli ospiti hanno diritto alla loro riservatezza.

Si muovano solo a seguito di cenni precisi e aprano bocca solo per due parole: Si, Signore. Anche i mancini devono saper usare la destra per servire le bevande sempre da destra.

Non vorrei più vedere arrivare camerieri con piatti per due o tre ospiti diversi per risparmiare il numero dei viaggi. E vorrei non sentire alcun rumore nel poggiare i piatti in tavola o sui piani.”

D’Annunzio dal canto suo, era solito eccedere non solo a letto ma anche a tavola. Tra eros e cibo si consumava il sodalizio perfetto: l’alimentazione era una raffinata e stimolante metafora della seduzione, tavole apparecchiate con eleganza e pietanze afrodisiache richiamavano o riuscivano a sublimare l'incontro d'amore ("La finezza dei cibi aiuta l'armonia mentale" affermava Gabriele).

Il Vate amava regalare alle sue amanti dolci, cioccolatini e marrons glacés, di cui era particolarmente ghiotto.

Avrebbe avuto una cuoca, che lo avrebbe servito per vent’anni, fino alla morte del suo padrone, tale Albina Lucarelli.

Gabriele l’avrebbe chiamata con una serie di nomignoli stravaganti e un tantino licenziosi: Santa Cuciniera, Suor Ghiottizia, Cuoca Pingue, Suor Intingola; mentre avrebbe definito sé stesso il "Priore" e le ospiti di casa le badesse.

Gabriele mangiava giornalmente 4-5 uova, gli piaceva la bistecca al sangue, riusciva a divorare una dozzina di gelati di seguito (il suo preferito era il sorbetto al limone).

Alternava banchetti pantagruelici e solenni scorpacciate di patate fritte, cotolette, cannelloni (“bisogna che tu abbia cannelloni pronti in ogni ora del giorno e della notte”, scriverà ad Albina) a digiuni salutistici di minestre e mele cotte.

Si dice inoltre che fu D’Annunzio a coniare il termine “tramezzino”, per sostituire la parola inglese sandwich.

Nonostante una punta di gelosia, Ignazio Florio riconobbe subito il valore del poeta abruzzese e lo interpellò per iscritto, nel giugno del 1899, chiedendogli consiglio per il nome Igiea, dea della salute, con cui avrebbe battezzato l’albergo di lusso inaugurato nel dicembre dell’anno successivo.

Si dice che i rapporti tra Ignazio e Gabriele si raffreddarono dopo il marzo 1901 quando Lina Cavalieri, “la donna più bella del mondo”, venne fischiata dalla claque di Donna Franca al termine della sua esibizione al teatro Massimo.

Lina fuggì da Palermo e mollò all’improvviso Florio (con cui aveva intrecciato una pericolosa relazione) per volare tra le braccia del Vate.

Probabilmente si tratta di dicerie: il 28 agosto 1907 infatti il poeta partecipò alla Coppa Florio organizzata a Brescia.

Si leggeva su il "Mattino" di Napoli: «Gabriele D’Annunzio corre a 120 all’ora perché una fattucchiera gli ha predetto con certezza che non morirà prima del 1909, per colpa di una pugnalata al cuore. Il poeta conosce il giorno e l’ora esatti del suo decesso».

Inoltre nel settembre 1910, Ignazio Florio scrisse a Gabriele D’Annunzio, rinnovando la proposta di collaborazione al giornale L’Ora, di cui dal 1904 era diventato proprietario, subentrando a Starabba di Rudinì.

“Caro D’annunzio, se ti sovviene fu già da tempo che ebbi da te la promessa di un romanzo per il giornale L’Ora, non ti ho sollecitato per non sottrarre al tuo febbrile lavoro, del tempo prezioso.

Ora però, che “L’Ora” va verso una vita nuova, data la trasformazione della sua redazione.

Non dico un romanzo, che troppo ardire sarebbe sperarlo, ma una tua novella di tanto in tanto, su le colonne dell’Ora, darebbe un impulso alla maggiore diffusione che ci ripromettiamo, facendo acquistare quel pregio che solo tu, magnifico Signore del pensiero, puoi apportare con la tua magica parola.

Non dispero mi contenterai, anzi oso affermare, non disdegnerai rispondere all’appello fraternamente. Stringendoti la mano cordialmente, Ignazio”.

Con il tempo anche tra Franca e D'Annunzio si creò un rapporto cordiale e amichevole. Nel dicembre 1901 lui gli inviava in dono un ventaglio e le mandava i biglietti per la prima rappresentazione di Francesca di Rimini al Costanzi di Roma, scusandosi per non aver trovato un palco più vicino alla scena.

Scriveva Gabriele: “Gentilissima Donna Franca, eccole finalmente il ventaglio con alcune delle parole che le rimasero nell’anima.

Umile omaggio a una creatura che svela in ogni suo movimento un ritmo divino” e ancora “Attendo il talismano infallibile e chiedo la gioia di rivederla”.

Franca gli inviò un grano di corallo, che lui custodì gelosamente e che gli portò fortuna, tanto che finì per chiederne un altro: “Ho sempre il grano di corallo. Ne domando un altro per domani sera”.

D’Annunzio ritornò a Palermo nel 1904, in occasione della rappresentazione de "La Figlia di Iorio" al Teatro Biondo, con Irma Gramatica nella parte di Mila (che fino all’ultimo la Duse sperava per sé).

Nel Gennaio 1910 il poeta fece recapitare a Franca il suo romanzo Forse che si forse che no, con dedica sul frontespizio: “a donna Franca Florio, devotissimamente Gabriele D’Annunzio”. Il Vate e la Regina di Palermo erano diventati “vecchi amici” ormai.

Il 28 Febbraio 1916 la signora Florio annotava con apprensione sul suo diario: “Ho avuto notizia che Gabriele D’Annunzio è rimasto ferito in un’azione di guerra. Rischia di perdere un occhio se non entrambi. Gli scriverò promettendomi di andarlo a trovare presto”.

Quando il poeta morì per emorragia celebrale il 1 marzo 1938 Donna Franca, sinceramente addolorata, lo avrebbe ricordato con parole affettuose: “Ieri sera nella sua villa di Gardone è morto Gabriele D’Annunzio.

Quanti ricordi teneri mi legano a quel coccio di tacca irresistibile! Un colpo improvviso se lo è portato via mentre scriveva. Non può che essere un segno, il definitivo suggello.

Perché ad uno come lui, trionfatore di talami, voli arditi e siluri, parole nuove o deflagrate nel petto delle più belle, inventore di motti e illusioni, di legioni e questioni spadaccine, scrivere, in verità, era quel che meglio gli riusciva”.
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