STORIE
Le "sue" piume hanno fatto la storia della moda di fine '800: la collezione di Donna Enrichetta
Fu il cavaliere Giovanni Portalupi, nel suo testamento, per volontà della moglie Donna Enrichetta, a donare la collezione di uccelli esotici al Museo Antonio Salinas di Palermo
Gli uccelli della Collezione Cafiero Portalupi
Se oggi, più di ieri, la sacrosanta crociata contro le pellicce naturali trova più facile accoglimento e condivisione di pensiero, c’è stato un altro momento - per fortuna oggi archiviato come storia della moda - in cui diverse specie di uccelli rischiarono l’estinzione a seguito dell’utilizzo delle loro coloratissime piume come accessori di lusso per abiti, cappelli e rifiniture.
Tracce di questa ricerca spasmodica di piume particolari se ne conservano ancora oggi a Palazzo d'Aumale, Museo regionale di Terrasini, che custodisce la collezione Cafiero Portalupi, una raccolta di un centinaio di esemplari imbalsamati che erano destinati alla moda, risalenti alla fine dell’800.
Se ci riflettiamo un attimo tutti abbiamo un ricordo, tra gli altri accessori, delle fasce ricche di paillettes e piume che, agli inizi del ‘900, soprattutto grazie al periodo della Bella Epoque parigina, al successo del Moulin Rouge e del Folies Bergère, passando dai teatri di prosa e dal cinema muto dell’epoca, realtà che diffondevano questo modello di ricchezza e ricercatezza in cui non dovevamo mancare piume di cigni, struzzi, pavoni e marabù.
Facendo un passo indietro notizie relative all’impiego delle piume, con valenza fortemente simbolica, risalgono all’epoca egiziana periodo in cui venivano realizzati grandi ventagli con piume di struzzo.
Anche la Dea Maat, custode dell’ordine, dell’equilibrio del mondo, dell’equità, della pace, della verità e della giustizia, veniva rappresentata come una donna che indossa una piuma di struzzo o una semplice piuma sull’acconciatura.
Via via praticamente quasi tutte le culture e le civiltà dell’umanità hanno dato testimonianza dell’uso delle piume con diverse finalità (ricordiamo ad esempio i primi popoli cinesi che usavano ventagli di piume, le civiltà precolombiane che le usavano come elemento decorativo e ornamentale o i nativi americani che vi attribuivano virtù medico-magiche).
Giungendo ad epoche più vicine ai giorni nostri - come dicevamo - con l’avvento della moda vittoriana le donne si impossessarono del così detto plumage, cioè di quell’oggetto, prettamente maschile, utilizzato nel cabaret di quel periodo.
Fu Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI a lanciare questa moda ad inizio Settecento, ma l'exploit si ebbe solo nell'ultimo ventennio dell’800, diffondendosi praticamente in tutto il mondo in questa nuova veste, certamente più frivola.
I parametri più ricercati erano i colori appariscenti (di cui soprattutto gli uccelli esotici sono normalmente provvisti), la morbidezza delle piume e la reperibilità.
Tale spasmodica ricerca durò fino al 1920 circa ponendo le piume come accessorio immancabile nel guardaroba femminile.
Quelle più belle, rare e costose divennero simbolo di ricchezza e icona di un ceto sociale elevato, tanto che in breve tempo il loro utilizzo nel campo della moda raggiunse livelli di lavorazione industriale.
I numeri relativi alle uccisioni di animali, al fine di ottenere il piumaggio, raggiunsero cifre sconvolgenti (l‘Unione Ornitologica americana stimò una media di circa 5 milioni di struzzi e uccelli in Birmania, Malesia, Australia e Indonesia) tanto che il 3 marzo del 1973 è stata aperta alla firma, a Washington, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES), entrata in vigore il 1° luglio 1973.
La convenzione multilaterale mira a proteggere le specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione regolando il commercio internazionale di tali specie. Attualmente ha 183 Stati come parti, più l'Unione europea. Sono compresi tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, ad eccezione di Andorra, Corea del Nord, Micronesia, Haiti, Kiribati, Isole Marshall, Nauru, Sud Sudan, Timor Est, Tonga, Turkmenistan e Tuvalu.
Ritornando alla collezione Cafiero Portalupi, nel dettaglio a Terrasini si trovano 8 cassette contenenti 94 uccelli, in ottime condizione di conservazione, dalle piume coloratissime.
Il cavaliere Giovanni Portalupi, nel suo testamento risalente al 22 luglio del 1888, per volontà della moglie Donna Enrichetta Cafiero Portalupi, donò questa collezione di uccelli esotici al Museo Antonio Salinas di Palermo, che già allora era un museo archeologico.
Tuttavia il professore Salinas, direttore allora dello stesso, accolse la donazione e la custodì, riconoscendone il valore quanto meno storico, contattando, nel frattempo, li professore Pietro Doderlein, direttore del Museo zoologico dell’Università.
Il passaggio con l’istituzione più appropriata non avvenne, probabilmente perché il materiale non riportava il corredo informativo ritenuto indispensabile e la collezione non fu ritenuta di alcun valore scientifico.
Tutto tacque fino al 1978 quando il soprintendente Vincenzo Tusa, trovò nei magazzini del museo Salinas le scatole con gli uccelli in questione e chiese, nuovamente, al direttore dell’istituto di Zoologia una valutazione più attenta che, questa volta, arrivò.
La collezione, quindi, ritenuta importante venne sistemata, disinfettata, studiata e riconsegnata alla Soprintendenza Sezione per i Beni Naturali e Naturalistici e, successivamente, affidata al Museo di Scienze Naturali, dove ancora oggi è custodita e a disposizione per gli studiosi.
È doveroso precisare che oggi tutte le piume utilizzate nel mondo della moda provengono dalla produzione alimentare (tra polli, tacchini, oche, fagiani, anatre, pernici, faraone e marabù); solo nel caso dello struzzo le piume sono tagliate ad animale vivo (come fosse un semplice taglio di capelli) senza nessuna sofferenza per gli animali.
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