STORIA E TRADIZIONI
Le figlie "smonacate" del principe Grimaldi: le due ribelli che fecero scandalo in Sicilia
Concetta e Francesca, si ribellarono alla decisione del padre. Volle fare prendere i voti a 6 delle sue 7 figlie. Alla fine il principe dovette cedere. La loro storia
Donna Concetta e Donna Francesca Grimaldi
Nella seconda metà del ‘700 abitano lì il Cavaliere di Gran Croce Don Michele dei principi Grimaldi e la moglie, Antonia Nicolaci, principessa di Villadorata con le figlie, sette femmine (l'ottava era morta appena nata).
La mancanza di un figlio maschio, al quale per la regola del maggiorascato sarebbe spettato il titolo nobiliare e il patrimonio, è una spina nel cuore per il padre perché interrompe la sua linea di successione diretta. Un giorno, la famiglia è riunita per il pranzo: ai due capi del lungo tavolo siedono i genitori, ai lati le sette figlie.
Mentre la servitù, silenziosa, si affaccenda intorno per il servizio, il padre prende la parola e comunica la sua decisione di dare in sposa la primogenita e far prendere i voti alle altre sei.
Il mondo, fuori dalle mura domestiche, è infido e pericoloso, aggiunge il padre, e il convento è il posto più sicuro per fanciulle perbene: il silenzio delle figlie è un (passivo) consenso e l'argomento è chiuso. La monacazione forzata, del resto, era un’istituzione molto diffusa in quell’epoca, a volte per la mancanza di una dote adeguata, altre per un matrimonio andato a monte o persino per scarsa avvenenza fisica della fanciulla e la conseguente difficoltà a trovare marito o per punire una “ribelle".
Mille motivi rendevano il convento la “soluzione" migliore. Le sei giovani Grimaldi entrano dunque in convento per il noviziato sotto lo sguardo paterno, vigile e austero, ma le cose non vanno come il principe Michele aveva previsto. Due di loro, Concetta e Francesca, mostrano segni di insofferenza alle regole e rifiutano persino di indossare l’abito consono al nuovo ruolo di novizie.
E la protesta raggiunge il culmine il giorno dei voti: viene organizzata un festa, alla quale però Concetta e Francesca non partecipano, le cercano e alla fine le trovano, piangenti, in una cella. Ovviamente, l'atteggiamento delle due ragazze non passa inosservato alla piccola società modicana che non risparmia loro critiche e biasimo.
Trascorrono anni pesanti, Concetta e Francesca non si rassegnano alla condizione di recluse e la loro salute, psichica e fisica, peggiora. Francesca, la più fragile, deperisce a vista d'occhio, destando finalmente la preoccupazione (e i sensi di colpa) del padre.
Un consulto di medici della autorevole Scuola Medica di Modica dichiara l'inabilità delle due ragazze alla vita in convento e la necessità di un cambiamento d'aria.
La studiosa Teresa Spadaccino ha trovato all’archivio di Modica gli Atti del processo di smonacazione di Concetta e Francesca Grimaldi e racconta in un saggio il ravvedimento del principe che così scrive al vescovo: “ …Scrivo più con le lacrime che con la penna…”, chiedendo che le figlie possano per qualche tempo lasciare il convento e tornare in famiglia.
Ma non è questo il desiderio delle due che, ormai libere dalla soggezione all'autorità paterna, con un gesto di totale ribellione chiedono e ottengono il processo di smonacazione che ne sancisca ufficialmente lo stato civile libero: è il 1792, scoppia uno scandalo.
I tempi non sono maturi per un'affermazione cosi forte di sfida sociale in nome dell’autonomia femminile! Concetta (nata nel 1763) e Francesca (nata nel 1767) precorrono di secoli il femminismo e pagheranno con l'oblio sociale il loro faticoso cammino verso la libertà.
Per molto tempo infatti nessuno le ha volute ricordare e sono state ignorate nonostante siano diventate, a seguito della smonacazione, due generose benefattrici per la loro città. Entrambe si sposano, non hanno figli e, rimaste vedove, destinano il patrimonio ereditato dai mariti ad opere sociali e culturali quali la costruzione di chiese, orfanotrofi e soprattutto scuole professionali destinate a dare un futuro lavorativo alle donne.
Mostrando anche in questa occasione uno straordinario spirito di iniziativa perché non consegnano alla Chiesa tale patrimonio bensì preferiscono occuparsi personalmente della destinazione dei loro beni.
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