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Ladro o benefattore, "rubava ai ricchi per dare ai poveri": chi fu il Robin Hood di Sicilia

Il marchese di Villabianca, contemporaneo del bandito, nei suoi diari ci dà molte informazioni su questo fuorilegge, ma va tenuto conto che "attaccava" i nobili

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 18 febbraio 2024

Il masnadiere Antonino Di Blasi di Pietraperzia era un comune bandito che si diede alla macchia, o un combattente che lottava contro le ingiustizie? Come nelle più belle leggende, non sapremo mai la verità. Certo è che per la povera gente siciliana del Settecento era una sorta di Robin Hood che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Esisteva un diffuso proverbio in merito: "Arrubbari e fari limosina comu Testalonga", cioè rubare e fare elemosina come il Testalonga.

La storia, o meglio le cronache, lo riportano come un ladro "ordinario", ma da punire come uno della peggior specie. Infestava le campagne siciliane assoldando uomini in ogni dove ai quali garantiva paga e armi ed essi «recan terrore e spavento per ogni dove, apportando una grande inquietudine nel regno».

Il Testalonga era affiancato da altri due temibili banditi Giovanni Guarnaccia di Pietraperzia e Antonino Romano di Barrafranca che sottostavano agli ordini del Di Blasi.
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Il marchese di Villabianca, contemporaneo del Testalonga, nei suoi diari ci dà molte informazioni su questo fuorilegge, ma va tenuto conto che il Testalonga attaccava proprio il ceto sociale di cui faceva parte il marchese, ovvero i nobili e i grandi proprietari terrieri, perciò nelle parole del Villabianca non v'è nessun accenno per quanto concerne il lato umano del nostro personaggio.

Nel suo Palermo d'oggigiorno il marchese annota «A 3 luglio 1766. Si è imposto dal governo un taglione per l'estirpazione de' banditi comandati da Antonino Di Blasi, alias Testalonga, di Pietraperzia, col quale si spinsero altre due compagnie di ladri, capi delle quali furono Aloe Sciortino di Santa Margherita, capo di undici banditi, e li Bellitti di Caltanissetta, capi di tredici banditi».

Il bando fu promulgato dal viceré Giovanni Fogliani e sparso per tutta l'isola da Giuseppe Lanza, principe di Trabia, incaricato dal viceré della cattura del Testalonga e dei suoi compagni. Questi banditi saccheggiavano le case dei ricchi e li sequestravano in cambio di riscatti che spesso devolvevano alla povera gente:

«A 30 giugno 1766, domenica. Assaltarono li detti ladri, al numero di nove, le case della masseria di D. Pietro Trucco, nella campagna di Caccamo, e vi cattivarono l'Abate Don Antonino Trucco, figlio secondo genito di detto D. Pietro. Ma questi un giorno solo vi stette coi ladri, sotto la composizione di portar loro onze 160, e sotto la di lui parola, lo liberarono».

Il bando, l'azione militare del principe di Trabia e la taglia sulla cattura dei banditi inizialmente sfaldò l'unione delle bande criminali che si disperdevano nelle campagne e successivamente portò alla loro disfatta con conseguente condanna a morte, esecuzione e pubblica esposizione dei corpi dei più famigerati criminali.

Giuseppe Lanza in soli tre mesi estirpò "la mala pianta" della Sicilia. Ma il Testalonga e il Romano furono tra gli ultimi ad essere catturati: «Erano egli nascosti in una delle grotte del lago di Castrogiovanni in compagnia di tre altri loro compagni, ed a 18 febbraio di quest'anno (1767) furono scoperti e presi. [...] Le teste di costoro che furono impiccati a Mussumeli, arrivarono in Palermo a' 9 di marzo, e nel giorno seguente furono condotte pubblicamente per la città, e poi mandate nelle terre, dove erano nati».

Così finì la storia di Antonino Di Blasi detto Testalonga ed ebbe iniziò la sua leggenda tramandata nei proverbi, nei racconti e nei canti popolari. Certo, se sei fuorilegge ma ti sostituisci allo Stato nelle incombenze della vita, il popolo avrà sempre rispetto del tuo ricordo e costruirà la tua leggenda.

Vincenzo Linares in un suo noto racconto, Il masnadiere di Sicilia, lo dipinse come un uomo «coraggioso per indole, feroce per bisogno, aspro per costume, fiero e selvaggio, egli farà guerra aperta a' ricchi avari ed a' potenti.

Pronto al bene come alla colpa, voi lo vedrete correre in soccorso dell'orfanella e del povero oppresso, affrontare ogni pericolo, sopportare i disagi, inebriarsi di sangue e di vendette [...]». Il professore Salvatore Salomone Marino ha trascritto un antico canto popolare dedicato proprio al Testalonga che testimonia quanto il popolo gli fosse grato per quanto aveva fatto:

Gran massa di furmentu
e granu chi pigghiaru!
Li dèttiru a li poviri,
nenti sinni lassaru.
Lu Ninu Testalonga
a ddi poviri dicia:
– Eu levu a chiddi ricchi
c'hannu la barunia;
a vui, ca siti poviri,
campati 'ntra lu stentu,

manciati, stati allèghiri,
vi fazzu cumprimentu! –
Vidennu chiddi poviri
chist'attu miritoriu:
– Li santi l'ajutassiru!
l'Armi santi di Prjatoriu! –

Antonino Di Blasi, detto Testalonga, bovaro di professione, che si diede alla macchia per un furto di buoi secondo la legge, per vendicare la morte della madre secondo la tradizione popolare, fu catturato in una grotta sita vicino al lago di Pergusa, presso Enna, insieme ad Antonino Romano, rimastogli fedele fino all'ultimo, il 18 febbraio 1767.

Nella strada per Mussumeli, prima d'esser impiccato il 7 marzo 1767, «fu inghirlandato d'erbe; in mezzo all'erbe vi si posero dai popoli nastri di vari colori e carte d'oro».


(Per approfondimenti leggi Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, Vol 13-14; Storia cronologica de' viceré, luogotenenti e presidenti del regno di Sicilia di Giovanni Evangelista Di Blasi; Leggende popolari in poesia di Salvatore Salomone Marino; Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, Vol. 11-12; Il masnadiere di Sicilia di Vincenzo Linares in Racconti popolari)
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