STORIE
La vendemmia più grande d’Europa è in Sicilia: quando l'agrigentino profuma di mosto
Diodoro Siculo riportare che nel V secolo a.C. nella città e nel territorio di Akragas si viveva nel benessere e c’erano vigneti di eccezionali dimensioni e bellezza
Vendemmia di uva bianche
Ed è sempre Diodoro Siculo a riportare che nel V secolo a.C. nella città e nel territorio di Akragas si viveva nel benessere e c’erano vigneti di eccezionali dimensioni e bellezza.
Policleto racconta che mentre era soldato nella città di Akragas ha visto cantine in cui c’erano 300 vasche scavate nella roccia, ciascuna delle quali conteneva 100 anfore e che nei loro pressi c’era una cisterna riparata con mastice in grado di contenere 1000 anfore e da cui il vino scorreva nei vasi.
Queste cantine erano nella casa del celebre Gellia, il più ricco e al tempo stesso il più accogliente di tutti gli abitanti di Akragas.
Fanno bella mostra di sé nel museo archeologico “Pietro Griffo” di Agrigento antiche anfore vinarie di tutte le dimensioni di epoca greca. In anni recenti, nell’area del Gymnasium, nell’agorà di Akragas, è stata individuata un’istallazione interpretata dagli archeologi come un torchio per la spremitura dell’uva.
A ben ragione, dunque, anche in questi giorni sotto il Tempio di Giunone ad Agrigento riprende in questi giorni la vendemmia e presto avremo imbottigliato elegantemente “Diodoros”, il “Vino della Valle”.
Se il Nero d’Avola è un grande vitigno, Diodoros è il suo profeta, che si degusta (e si acquista) tra il tempio di Castore e Polluce e quello di Vulcano, nel wine shop presso il Giardino della Kolymbethra. Tutto a cura dell’Ente Parco.
Né solo durante il periodo greco il vino non mancava mai nelle case degli agrigentini, durante l’Impero Romano, infatti, la produzione vinicola siciliana raggiunse il massimo splendore. Era sviluppata anche da importanti centri enologici dell’ epoca come Taormina, Siracusa, insieme a quelli di Agrigento.
Nel 60 a.C. Plinio raccomandava di non vendemmiare quando c’era troppo caldo o troppo umido. Fiorì così in alcune zone dell’agrigentino la vendemmia notturna che ancora si pratica in varie tenute della provincia.
Gli Arabi, conquistata ad Agrigento, proibirono finchè dominarono in Sicilia, la produzione di vino, ma non la produzione di uve da tavola, cos’ da poter avere l’ uva passa da offrire ai sultani; non a caso questo tipo di uva è anche chiamata ‘‘ sultanina ’’.
La viticoltura in provincia di Agrigento attraversò un periodo di decadenza, per poi riprendersi dal XIII º secolo in avanti.
Con gli Aragonesi nella prima metà del XIV sec. nacquero le prime maestranze dei bottai e dei vigneri di Girgenti. Tanti atti notarili conservati nell’Archivio di Stato di Agrigento ci parlano della diffusione dei vigneti in provincia, come un rollo della Confraternita di Santa Maria (dedita alla buona morte), a Racalmuto, dove vengono indicati 102 vigneti di varia dimensione, con vette di 18.000 viti e coltivati in vario modo: “vinea de aratro” (come dire che fra vite e vite si poteva arare e quindi coltivare frumento o legumi o altro); “vinea cum suis arboribus”.
La provincia di Agrigento annovera inoltre uno dei più grandi studiosi di viti. Sul finire dell’Ottocento, il barone Antonino Mendola, di Favara, agronomo e ampelografo, si dedicò infatti allo studio delle viti, compilando un dettagliato elenco di oltre 4 mila varietà. Fra i documenti ritrovati c’è quello che è l’atto di nascita del “Grillo”, datato 1874, uno dei vitigni simbolo della viticoltura siciliana, nato nelle campagne agrigentine, nel vigneto Piana dei Peri presso Favara.
In anni più recenti il territorio Canicattì, nella provincia agrigentina, divenne famosa per i suoi vigneti. I contadini della zona hanno scoperto negli anni Settanta che la loro terra argillosa è particolarmente adatta alla vite. Eliminarono mandorle e ulivi e piantarono filari di viti.
Agricoltori che a mala pena sopravvivevano si trovarono a guadagnare 300.000.000 di lire all'anno. La vite portò enormi profitti, sette volte l'investimento. I nuovi magnati del vino di Canicattì furono catapultati all'apice delle classifiche di ricchezza. Ed è di Canicattì il vino bianco Campione del Mondo del 2016. È l'Aquilae Grillo Bio 2015 di Cva Canicattì, che ha conquistato la Gran Medaglia d'oro e il titolo di "Vino bianco rivelazione" del XXIII Concours Mondial de Bruxelles, da sempre ritenuto, per la giuria e la scientificità del suo giudizio il "Campionato Mondiale dei Vini".
E tante sorprese continua a riservare la terra agrigentina. Viti spontanee crescono immerse nella sabbia delle dune a tre metri dal mare. La straordinaria scoperta è avvenuta a Menfi, sulla spiaggia di Lido Fiori. E ancora a Menfi abbiamo la vendemmia più grande d’Europa: un vigneto che si estende per 6.000 ettari, dove trovano spazio 27 varietà differenti di uva, un habitat naturale incontaminato, fatto di verdi colline che guardano il mare. Qui si celebra dal 1996, nel mese di giugno, “Inycon”, la festa del vino, per promuovere l’eccellente produzione vinicola del territorio.
Il vino è il vero protagonista del territorio nella “Strada del vino dei Monti Sicani”, un itinerario per percorrere e conoscere il territorio dei Comuni di Menfi, Montevago, Sambuca e S. Margherita di Belìce: i suoi vini, la qualità dei prodotti tipici, le peculiarità del suo territorio e delle sue tradizioni enogastronomiche.
E concludiamo ricordando che in una contrada di Canicattì, nel terreno sequestrato ad una famiglia mafiosa, è arrivata la vendemmia e anche quest’anno verrà imbottigliato dalla cooperativa Placido Rizzotto il vino “Centopassi”, che sarà venduto nelle “Botteghe della legalità” e dedicato alle vittime delle cosche, perché anche col vino in provincia di Agrigento si fa la lotta alla mafia.
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