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La Sicilia è l'isola dei fari, il più celebre è a Messina: e ce n'è uno tra i più alti d'Europa

Quello di Punta Secca è conosciuto grazie alla serie del commissario Montalbano mentre il secondo faro siciliano per importanza era 5 secoli fa quello di Palermo

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 3 maggio 2023

Sin dall'antichità i fari simboleggiarono il pieno dominio dell'uomo sui mari, il risveglio economico-commerciale e la tutela della gente di mare.

Vennero rispettati con una certa venerazione, considerati come templi sacri alle divinità che presiedono al mare e i marinai che scampavano ai naufragi vi depositavano offerte votive. La considerazione che si ebbe dei fari da parte di tutti condusse al tacito accordo di considerarli inviolabili durante le guerre.

Il nome deriva dall’isola di Pharos, di fronte ad Alessandria d’Egitto, dove nel III secolo a.C. era stata costruita una torre per segnalazioni , sulla quale ardeva un gran fuoco, affinchè i navigatori potessero districarsi dalla retrostante palude Mareotide, dalle insidiose acque.

In Sicilia, Messina è la "città del Faro" già nel Medioevo per i cronisti del XIII secolo; “farii” sono detti i messinesi. Dominii al di là e al di qua del Faro si dirà nel linguaggio politico per intendere le terre in Sicilia e fuori dall’Isola. Il celebre Tommaso Fazello nel 1558 scrive, trattando di capo Peloro: “Sopra questo promontorio a’ nostri tempi è fabbricata una fortezza, fatta per guardia delle bocche, e per far lume a’ marinari”.
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E se non sappiamo se quello di Messina sia il faro più antico sorto in Sicilia, certamente è stato sin dall’antichità il più celebre e diciamo dell’antichità perché anche Svetonio attesta che il Faro di Messina ha dato nome allo Stretto.

Ne fu convinto anche James S. Clarke autore della celebre opera sulle scoperte marittime, “I progressi della scoperta marittima” (1803), che riteneva che Scilla fosse uno dei sacri templi o torri di fuoco costruite dagli Ammonj come segnali del mare in tempo di giorno, e come fari in tempo di notte.

Grandi crudeltà venivano commesse dai sacerdoti di questo tempio, e questa circostanza aggiungeva orrore al passaggio del faro. Da ciò ebbe probabilmente origine la favola che popolò quei luoghi di ciclopi, di furie, di arpie e di mostri antropofagi.

Oggi sempre sullo Stretto abbiamo anche Lanterna del Montorsoli (dal cognome dello scultore che la realizzò), costruita nel 1547 sui ruderi del Monastero dedicato a San Raineri del XIII secolo per controllare il traffico lungo le coste messinesi.

I Fari sono di casa per i siciliani, popolo di navigatori, insieme ai loro guardiani e alle loro leggende. La loro diffusione ha avuto un impulso in particolare grazie alla politica commerciale e militare del Regno delle due Sicilie che si è distinto in Italia per l’impegno nella realizzazione di questo indispensabile sistema di segnalazione e di sicurezza.

In particolare, i Borboni pensarono che fosse necessario fornire la costa siciliana di fari per aumentare la sicurezza della navigazione ed il miglioramento dei commerci e così nel 1856 affidarono all'Ingegnere Diliberto D'Anna, Ispettore del Regno, il compito di eseguire un censimento dei fari e dei fanali già esistenti, distinguendo tra quelli da costruire e quelli già costruiti e per questi ultimi tra funzionanti e da sistemare.

Vennero individuati e studiati i siti ove erano ubicati i fari in Sicilia, dando priorità ai posti più pericolosi e meno visibili a costa, come per esempio gli isolotti, gli scogli, e dando priorità a quelle parti della costa sporgenti ed ai punti più alti. Il progetto prevedeva 19 fari e fanali e solo successivamente fu ampliato a 23.

Lo stesso Di Liberto si occupò personalmente della costruzione di alcuni di essi, come il faro di Punta Secca (piccolo borgo marinaro che costituisce una frazione del comune di Santa Croce Camerina) , che può considerarsi una delle maggiori opere pubbliche del governo borbonico in provincia di Ragusa, con la sua torre cilindrica alta ben 36 metri.

Possiamo oggi considerarlo uno dei fari d’Italia più “televisivi”, perche negli ultimi anni è il più visto nel piccolo schermo grazie alla serie televisiva del commissario Montalbano. A Punta Secca è stata ambientata la località di Marinella, dove vive il celebre commissario dello scrittore Andrea Camilleri e “Piazza Montalbano” è stata rinominata la piazzetta antistante la casa del celebre commissario che dista dal faro solo pochi passi.

Un elenco dei fari siciliani più importanti e alcuni dei quali ancora attici ci viene fornito da Wikypedia:

Faro Biscari, Catania, Faro San Giacomo, Licata, Faro di San Vito lo Capo, Faro di Punta Secca, Ragusa, Faro di Capo Cefalù, Cefalù, Faro di Torretta Granitola (TP), Faro di Capo d'Orlando (ME), Capo Faro, Malfa (Salina), Faro di Capo Milazzo, Milazzo, Faro di Capo Peloro, Messina, Faro di Punta San Raineri, Messina, Faro di Capo Rasocolmo, Messina.

E ancor iò Faro di Punta dei Porci, Lipari, Faro di Marina Corta, Lipari, Faro di Punta Lingua, Santa Marina Salina, Faro di Capo Molini, Acireale, Faro di Brucoli, Augusta, Faro di Santa Croce, Augusta, Faro Capo Murro di Porco, Siracusa, Faro di Cozzo Spadaro, Portopalo di Capo Passero, Faro di Pozzallo, Faro di Punta Cavazzi Ustica, Faro di Punta Omo Morto Ustica, Faro di Capo Zafferano, Santa Flavia, Faro di sulla diga foranea, Palermo, Faro di Capo Gallo Palermo, Faro di Scoglio Palumbo, Trapani, Faro di Isolotto Formica, Trapani, Faro di Capo Grosso, Favignana, Faro di Scoglio Porcelli, Trapani, Faro di Punta Libeccio, Favignana, Faro di Punta Sottile, Favignana.

Ma non finisce qui. Nell'elenco sono presenti anche il Faro di Punta Marsala, Favignana, Faro di Marsala, Faro di Capo Granitola, Campobello di Mazara, Faro di Strombolicchio, Faro di Capo Grecale, Lampedusa, Faro di Linosa, Faro di Capo Rossello, Realmonte, Faro di Capo San Marco, Sciacca, Faro S. Leonardo, Pantelleria, Faro di Punta Spadillo, Pantelleria.

L’Agenzia del Demanio, con l’iniziativa ‘Valore Paese Fari’, dal 2016 assegna tramite bando pubblico la gestione dei fari dismessi, trattandosi di un bene da tutelare.

Posti al crocicchio di tutte le rotte del Mediterraneo, i fari siciliani hanno caratteristici edifici: abbiamo torri cilindriche ortogonali, torrette, edifici in muratura, ecc. Sono spesso rifacimento di antiche costruzioni.

Per realizzare questi fari si estraeva il materiale necessario da una cava non distante dal luogo e poi veniva lavorata da abili scalpellini che creavano le forme scelte in modo che ogni pietra, una volta messa a dimora, entrava esattamente nell’altra, creando una torre che diventava come un unico blocco.

Queste torri erano abbastanza larghe alla base, e si restringevano verso la cupola, facendo dire ai guardiani che “sembrava di lavorare dentro la cappa di un camino”.

L’idea di supportare le rotte con segnalazioni luminose da terra e che potessero proteggere le navi da secche o da scogli affioranti, risale infatti a secoli molto lontani ma non sappiamo bene a quale civiltà vada il merito.

In tempi assai remoti era sufficiente accendere un'enorme catasta di legna resinosa ogni notte, su una posizione sopraelevata all'imboccatura dei principali porti per indicare la rotta più sicura e mettere in salvo l'equipaggio e il carico. Successivamente furono creati appositi edifici in muratura per proteggere la fiamma dai venti e dalla pioggia e divenne indispensabile in quel contesto anche la figura del guardiano del faro e così alcuni fari si presentano anche con appartamenti per questi custodi.

Il loro ruolo divenne ancora più importante quando il funzionamento dei fari sarà a petrolio o a carburo o a gas e la presenza del fanalista era quindi indispensabile per la manutenzione e il governo del faro.

Quello che può sembrare un mestiere romantico, il guardiano del faro, è sempre stato in realtà assai duro e massacrante. Era ed è sufficiente, ad esempio, una tempesta perché in certe situazioni si possa restare per giorni e giorni isolati e senza cibo o generi di prima necessità.

Il guardiano ha dovuto saper far di tutto nel corso dei secoli: costruire parapetti, coperture e muretti di protezione; occuparsi di vetri che dovevano essere continuamente puliti per più volte nel corso della stessa notte; caricare ogni 4 o 5 ore il meccanismo rotante ad orologeria che faceva girare la lanterna; controllare strumentazioni sempre più sofisticate e delicate, per riferire solo di un piccola parte delle quotidiane fatiche di un guardiano. Il tutto in una condizione di vita non certo esaltante.

Oggi anche in Sicilia pochi guardiani sono rimasti in attività perchè i fari sono tutti automatizzati. In Italia, dal 1961 è San Venerio il Santo protettore dei faristi.

Fondamentali furono nei vari secoli anche i portolani, libri utilizzati per la navigazione marittima, in cui sono descritti porti, coste e naturalmente anche le posizioni dei fari. Oggi sono chiaramente segnati sulle carte nautiche che ne riportano anche l’altezza focale, assieme alla caratteristiche del segnale luminoso emesso che li individua in modo univoco.

“Il portolano di Sicilia” di Filippo Geraci, del secolo XVII, indica come sicuri soprattutto gli approdi dove sorgevano i fari e documenta l'importanza strategica della presenza delle lanterne, poste all'imboccatura dei principali scali marittimi.

In questo testo leggiamo che, dopo il faro di Messina, il secondo faro siciliano, in ordine d'importanza, era cinque secoli fa quello del porto di Palermo, conosciuto soprattutto con il termine di Lanterna del Molo, probabilmente edificata alla fine del XVI secolo e nel 1680 dotata di batterie di cannoni, capaci di sparare micidiali bordate a pelo d'acqua, per colpire il naviglio avversario lungo la linea di galleggiamento; era così ben fortificato da essere pressoché inespugnabile da un eventuale attacco dal mare.

Nello stesso periodo dava un prezioso contributo contro la pirateria mediterranea il faro della piazzaforte di Augusta, nella costa orientale.

Su un isolotto prospiciente la punta esterna della città, venne edificato un fortilizio a pianta circolare, dotato in sommità di una torretta che fungeva da Faro e contemporaneamente da postazione di avvistamento e con potente artiglieria sopra, e dentro il vi era la lanterna, con un ottimo fanale.

Ai fari venivano affiancate altre strutture, anche militari per compiti di sorveglianza e di difesa. Ciò ha comportato che divenissero strutture sempre più possenti per dimensione: come è il caso del faro San Giacomo nel comune di Licata, realizzato nel 1894 su progetto dell’Ingegnere Piero Davanteri, che ancora oggi risulta tra i fari più alti d’Europa con i suoi 40 metri di altezza.

Tutte le differenze che vediamo nei fari in Sicilia si devono al fatto che ci sono quelli nati per scopi commerciali e quelli per esigenze militari e - chi più chi meno - sono stati nei secoli un concentrato di ingegneria, architettura, storia e organizzazione.

Si è andata modificando, ad esempio, la fonte luminosa: fuochi con legna o carboni, fiamme prodotte da sostanze grasse, oleose o a gas, ed in ultimo l'elettricità.

Per diffondere la luce sono stati utilizzati sistemi chiamati catottrici: il raggio di luce colpisce una superficie riflettente e ne rimandata indietro con un certo angolo.

La lanterna in vetro si ebbe solo con l'avvento dell'olio minerale. Questa struttura è tecnicamente suddivisa in tre parti: la parte bassa, detta piedistallo, la parte intermedia, chiamata "invetriata" ed infine il tetto a forma di cupolino semisferico, a più strati, con un vero e proprio ventilatore di aspirazione dei fumi.

Arrivò poi anche la rotazione delle lenti che avveniva con meccanismi di vario tipo, il più comunemente usato era quello a "orologeria a peso motore". I tipi di segnali riconosciuti si distinguono in: intermittenti, lampeggianti, ad eclissi, in codice Morse.

Oggi i fari sono sostituiti da sistemi digitali (LORAN, GPS, etc.) di aiuto alla navigazione e quelli ancora operativi stanno subendo un processo di automazione totale per ridurre i costi di gestione e manutenzione.

Ma i fari continuano comunque a darci quelle emozioni che devono avere ispirato Virginia Woolf (“Gita al Faro”): “(Il Faro) torreggiava, nudo e diritto, scintillando, bianco e nero e si vedevano già le onde che si frangevano in bianche schegge come frammenti di vetro sugli scogli”.
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