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La montagna, la croce e il "Castellaccio": 3 tesori (che non ti aspetti) nel borgo in Sicilia

Voci di popolo (documentate) raccontano che sia stato fondato su tre capisaldi. Vi portiamo lungo un percorso di visita che nasconde sorprese

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 30 giugno 2024

"Alcuni luoghi sono un enigma. Altri una spiegazione". Le parole di Fabrizio Caramagna sono le “vere” e “uniche” protagoniste della visita al Monte Castellaccio di Santa Ninfa.

E, improvvisamente, come in un racconto fiabesco, tutto ebbe inizio grazie a una foto [...].

L’immagine ritrae il piccolo comune di Santa Ninfa nel lontano 1860. Un paesino minuscolo, con poche case, viuzze strette e lassù, in cima, un castello.

Voci di popolo (documentate) raccontano che Santa Ninfa sia stata fondata su tre capisaldi.

Quali? La montagna, la croce e il castello stesso. Approfondite le prime nozioni, tra gli obiettivi posti senza ombra di dubbio quello di trovare (possibilmente) tracce della vecchia struttura. Invece eliminate anche le possibili omonimie con altri luoghi (tra questi il Castellaccio di Monreale), la visita regala emozioni ben lontane da quelle preventivate.

Giunti a Santa Ninfa e percorso un breve tratto della statale 119, le ultime abitazioni segnano la conclusione del centro abitato e l’inizio dei boschi adiacenti allo stesso.
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Le indicazioni per Monte Finestrelle possono ingannare i visitatori, ma una biforcazione improvvisa segna il distacco tra i due luoghi. Un centinaio di metri ancora e, lasciato il mezzo, in lontananza, su un colle, gli occhi scrutano una “garitta forestale”.

I vigneti e gli uliveti arricchiscono un paesaggio tutto da scoprire, nascosto tra i territori santaninfesi e gibellinesi. La prima parte - in sterrato - alimenta “attese speranzose”. Dopo un paio di curve inattese, gli scenari cambiano pelle e il giallo diventa il colore predominante.

I Monti di Gibellina provano a scuotere le coscienze degli intrepidi visitatori. La periferia santaninfese è un lontano ricordo e adesso, a prevalere, è il paese di Gibellina. Una rocca domina in altura quasi a scandire i confini territoriali.

Poche centinaia di metri ancora e dopo “un’acchianata ripida” si scorge il Bosco di Finestrelle. Uno scatto, seppur ne meriterebbe tanti altri. Il percorso continua imperterrito e la storia del “Castellaccio” è ancora tutta da scrivere.

La retta via è scandita dalla presenza di un cancello verde. È quello giusto, rappresenta una delle tantissime entrate/uscite dei tracciati forestali. Sin dai primi passi mossi si respira un’aria diversa, pura. Iniziano a fioccare le caratteristiche da annotare nel taccuino delle sorprese.

Il bosco - controllato dal Demanio Forestale 3 - è caratterizzato da un sentiero principale e alcune deviazioni. Queste ultime rendono la passeggiata piacevole.

Ai lati prevale la vegetazione, in molti casi folta e in altri - causa roghi passati - in attesa di consolidarsi. Nel mezzo della vegetazione sono nascoste delle strutture (bagli? No). La conta diventa improbabile (alcune di esse sono state coperte dalla natura stessa). Presumibilmente (?) era un vecchio borgo agricolo fondato per rilanciare il settore.

Una deviazione permette di scalare un piccolo colle, in presenza di forme calcarenitiche tutte da decifrare (quarzite?). Queste ultime sono visibili anche all’interno del Bosco Torello e nella zona “Montagna” di Castelvetrano. Gli sguardi attenti “penetrano” in una serie di buche particolari.

L’elemento archeologico diventa prerogativa. La noncuranza ha seppellito parte degli scavi, ma gli oggetti rinvenuti hanno segnato un periodo storico importante.

Difatti, buona parte dei ritrovamenti si trovano all’interno del Castello di Rampinzeri, dove è stato allestito il Museo dei reperti Preistorici, Protostorici e Paleontologici. Sono accolte le collezioni sul Paleolitico superiore (Epigravettiano finale) e lo splendido cratere frammentato a ceramica geometrica incisa della facies proto-elima.

Raggiunto il penultimo step, con annessi riferimenti storici, l’obiettivo finale è la vetta. La salita è breve, seppur “leggermente” impegnativa. Manca poco e la cima del Castellaccio è conquistata. A 500 metri di altezza, il respiro affannato lascia spazio alle emozioni.

I battiti aumentano di fronte all’incantevole paesaggio che ruota a 360°. Le campagne trapanesi avvolgono parte di esso e in lontananza, non molta, le forme imperfette dei monti si distinguono dalla “massa agricola”.

È giunto il momento della discesa. Semplice, senza difficoltà alcuna. Pian pianino la struttura posta in cima diventa un minuscolo elemento di un quadro perfetto. Il pensiero traccia velocemente le considerazioni finali, le fasi conclusive, altrimenti corriamo il rischio di rimanere intrappolati nella bellezza di Monte Castellaccio.
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