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La aspetti tutta la settimana: perché la domenica in Sicilia mangiamo "a tinchitè"

Non chiamatela esagerazione, ma pura dimostrazione d’amore per i commensali: cosa attende ogni siciliano durante il pranzo della domenica a casa dei parenti

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 19 gennaio 2025

La domenica in Sicilia si mangia a tinchitè

Domenica: il giorno della settimana più agognato dedicato al riposo di corpo e mente. Le lancette della sveglia vengono ignorate, le pantofole restano a riposo per qualche ora in più e ci si lascia cullare solo da un sonno ristoratore.

Generalmente è così, prima che avvenga un pacato risveglio e… ci si prepari al noto pranzo della domenica. Un evento che in Sicilia ha come simbolo tavolate immense di cibo in cui si mangia a tinchitè.

Una parola che indica proprio abbondanza e ricchezza delle portate. L’espressione sarebbe un retaggio della dominazione spagnola in Sicilia. Infatti, nello stato dell’Europa occidentale è molto utilizzata la forma “a tingut tè - oltre all’avuto, eccoti ancora”.

Dunque, tinchitè o tinghitè - in base alle zone della Sicilia - non manca quando ci si siede insieme a tavola davanti a pietanze che superano di gran lunga il numero dei commensali.

Difatti è ordinaria amministrazione avere per 5 persone le portate di 10 e per 10, quelle di 20. Non chiamatela esagerazione, ma pura dimostrazione d’amore per ciascun commensale.
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Se dovessimo fare di tinchitè un parallelismo con un termine italiano sarebbe “a iosa”. Modo di dire che significa "abbondantemente" o "in grande quantità".

Deriva da “chiosa”, che indicava le monete finte e di poco valore usate nei giochi fra bambini e con le quali di conseguenza erano permessi acquisti abbondanti.

Ma tornando alla parola tinchitè, oltre a indicare un numero cospicuo a tavola, viene anche utilizzata per tendenze particolari relative al singolo individuo. Del tipo: l’abitudine a mangiare troppo o in generale a fare manbassa di qualcosa.

Alcuni esempi li troviamo nelle opere di Andrea Camilleri. Ne I romanzi di Vigata un certo onorevole Sferlazza viene indicato come colui che “mangia a tinchitè”.

E in questo caso, abbiamo un riferimento diverso da piatti speziati o zuccherosi, perché si parla di mazzette. Oppure in Riccardino, tinchitè indica il numero di testimoni a processo.

Una parola di abbondanza culinaria e azioni ancora oggi talmente utilizzata, da trovare locali in giro per la Sicilia che prendono proprio il suo nome.

E a ogni soglia varcata ci si aspetta di fare un pranzo o una cena abbondante come quella che attende ogni siciliano a casa dei parenti, o almeno si spera.
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