ECCELLENZE
L'origine del kakì di Misilmeri: così la "mela d'Oriente" conquistò (anche) la Conca d'Oro
Da questo paese il "cibo degli Dei" si cominciò così ad espandere. Chiamato anche "albero della pace" perché sopravvisse alla bomba atomica di Nagasaki
Cachi di Misilmeri
Detto mela d'Oriente, fu definito dai cinesi l'albero delle "sette virtù" che, secondo la leggenda, erano la longevità, l’ombra, la resistenza al freddo, la possibilità di nidificare fra i suoi rami, l’assenza di tarli e le foglie giallo-rosse che in autunno oltre ad essere decorative fino ai geli, fornivano ricche sostanze concimanti.
Registrato con il nome di Diospyros kaki, derivante dall'unione delle parole greche Diòs (Zeus) e pyròs (grano) e letteralmente definito come "il cibo degli Dei", il kaki nel linguaggio comune è un tipico frutto autunnale che si caratterizza per il colore arancio brillante, la buccia liscia e lucida, che tende a rompersi facilmente quando il frutto è maturo, e la polpa molto dolce, simile ad una crema.
Proprio per questa sua utilizzazione, sicuramente giunse nel 1692 alle porte di Palermo, nella cittadina di Misilmeri, dove dall’illuminante idea di Don Giuseppe Bonanno del Bosco (Principe della Cattolica e Duca di Misilmeri) si dava inizio alla creazione di uno dei primi orti botanici d’Italia, affidato alle cure del francescano Padre Francesco Cupani di Mirto.
Fu proprio quest’ultimo, allievo del monaco naturalista palermitano Paolo Boccone, pioniere della botanica in Sicilia, ad introdurre la pianta in quel giardino, con chiare e semplici intenzioni ornamentali e scientifiche, tanto da descriverla in tre specie (lotus arbor) nel 1696 nella straordinaria catalogazione da lui stesso redatta e intitolata "Hortus Catholicus" in onore del suo mecenate Principe.
Successivamente anche Bernardino Ucria nella classificazione delle piante dell’orto Botanico palermitano nel 1789, ubicato sul civico bastione di Porta Carini, lo descriverà come albero siciliano molto diffuso il cui frutto derivava dal “lignu Santu”.
Nella metà dell'Ottocento il cibo degli dei era già diffuso in America e Europa e in Italia già alla fine del XIX secolo riscuoteva uno straordinario successo. Apprezzato, fra i primi, anche da Giuseppe Verdi che nel 1888 scrisse una lettera nella quale ringraziava chi gliene aveva fatto dono.
L’inizio della coltura del Kaki a Misilmeri (in siciliano kakì ri Musulumeli) e la consequenziale commercializzazione dei suoi frutti si presume che risalga ai primi del '900 con poche piante impiantate in alcuni frutteti familiari, che trovando il loro habitat favorevole, successivamente tra il 1935 e 1940 gli agricoltori pensarono bene di estendere ad una più ampia superficie.
La coltura si cominciò così ad espandere rapidamente, tanto che nell’arco di un ventennio giunse ad occupare un’area ben consistente e quasi uniforme nella piana della Conca d’oro.
I mesi di ottobre e novembre vedono gli agricoltori misilmeresi impegnati nella sua raccolta, periodo in cui il frutto raggiunge una maturazione quasi ottimale alla consumazione; occorrerà aspettare qualche giorno dopo per potere gustare il frutto al massimo della sua dolcezza.
Il distacco dalla pianta, infatti, comporta un’ulteriore maturazione del frutto, che deve essere "ammanzito", quindi coperto nei classici casciuni, dove il kaki perde il suo elevato contenuto di tannini che caratterizzano l’effetto astringente al palato, volgarmente detto "allippatura".
L’agro misilmerese è soprattutto specializzato nella coltivazione della "cultivar farmacista honorati", particolare varietà che presenta l’assenza dell’osso interno del frutto, che ha riscosso grande notorietà e apprezzamento tra gli estimatori dei prodotti agroalimentari tradizionali siciliani e da prodotto di nicchia a diffusione locale si è passati in questi ultimi anni, grazie all'incremento delle superfici coltivate ed ad una migliore organizzazione dell’offerta, ad un consumo del prodotto sia in altre aree della Sicilia che oltre lo Stretto.
Il kaki è oggi considerato "l'albero della pace", da quando nel 1994 Masayuki Ebinuma, arboricoltore di Nagasaki, iniziò a curare un fragile albero della specie, che aveva resistito al bombardamento atomico del 9 agosto 1945.
Il medico trovò che la forza di questa pianta non era altro che un potente messaggio di pace da divulgare in tutto il mondo in modo da ricordare a tutti l’inutilità di qualsiasi guerra e, dal frutto cresciuto dell’albero di kaki faticosamente sopravvissuto alla bomba atomica caduta sulla città, prelevò alcuni semi, e riuscì così a far nascere nuove "pianticelle di kaki della seconda generazione".
Poi cominciò ad affidare le pianticelle ai bambini che visitavano il museo del bombardamento atomico, chiedendo loro di farle crescere perché diventassero simboli di pace, grazie al progetto “Revive time – L’albero del kaki”, che cerca genitori adottivi a cui affidare le pianticelle.
Questo progetto si è sviluppato in tutto il mondo, iniziando da Nagasaki e proseguendo sino a scuole di varie località giapponesi, per giungere infine ad altri punti della Terra spargendo in tutto il mondo i semi del cachi superstite attraverso la collaborazione di molte persone.
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