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L'enorme croce a Montagna Longa: simbolo di un disastro aereo o di un sabotaggio

Per i giudici l'incidente fu causato da un errore dei piloti. Ma buona parte dei parenti delle vittime non ha mai creduto a questa verità. Adesso uno studio sembra dare loro ragione

Balarm
La redazione
  • 3 gennaio 2022

La croce su Montagna Longa che ricorda le vittime del disastro aereo del 1972

C’è un posto tra i comuni di Cinisi e Carini, nel Palermitano in cui un simbolo testimonia una triste vicenda che, per dettagli e coincidenze, ricorda un altro triste evento che riguardò la Sicilia.

Stiamo parlando di Montagna Longa, un monte nei pressi dell'Aeroporto di Punta Raisi, in cima alla quale si trova una croce in ferro, imponente, a ricordare le oltre cento vittime di un disastro aereo avvenuto, ad inizio anni ’70, proprio ai suoi piedi.

Per la precisione è il 5 maggio 1972 quando, con condizioni meteorologiche ottime, da Roma Fiumicino decolla un aereoplano, il volo Alitalia AZ 112, in direzione dell’aeroporto Punta Raisi di Palermo, con 115 persone a bordo.

Molti dei passeggeri ritornavano in Sicilia in occasione delle elezioni che si sarebbero tenute due giorni dopo; tra questi c’erano anche persone di spicco, in qualche modo: il regista Franco Indovina, l’ex medico del bandito Salvatore Giuliano, e il sostituto procuratore di Palermo, Ignazio Alcamo (colui che aveva disposto il soggiorno obbligato per Antonietta Bagarella, colei che avrebbe sposato Salvatore Riina).
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Pochi minuti prima dell’atterraggio, mentre tutto era fino a quel momento risultato normale, il DC 8 invece di seguire la normale procedura prevista dalle normative, prosegue oltre schiantandosi alle 22.23 contro il crinale di Montagna Longa, alto 935 metri. Nessuno dei passeggeri a bordo si salvò.

Una vicenza che segnò la memoria di tutti, dei familiari delle vittime certamente ma anche della gente comune.

All’epoca, va da sé, non c’erano a disposizione tutti i mezzi di comunicazione odierni e solamente l’indomani si venne a conoscenza della portata della tragedia.

Tra i familiari delle vittime si mobilitò ben presto un’azione che non facesse dimenticare, almeno simbolicamente, l’accaduto e, il 5 maggio del 1973, ad un anno dal disastro, sulla Montagna Longa venne posta questa croce di ferro a imperituro ricordo.

Nonostante la ruggine abbia ricoperto questo simbolo, nonostante siano passati decenni e molti sembra abbiano dimenticato, con buona pace delle incongruenze rilevate, quella croce rimane, non solo per i carinesi, un monito a non dimenticare.

Secondo le indagini eseguite si trattò di un errore umano anche se alcuni dettagli, non presi in considerazione, insinuarono sospetti.

Le immagini recuperate la mattina dopo il disastro, in particolare una foto relativa ad una porzione dell’ala del Dc 8, notata da una nipote delle vittime e presa in considerazione durante una rilettura degli atti dell’inchiesta, mostrava dei fori d’entrata, probabilmente provocati da un’arma di grosso calibro. Pista che non venne approfondita, a quanto sembra.

Per un breve periodo fu presente anche l’ipotesi della presenza bordo di una bomba ma la vicenda fu archiviata come “disastro” nonostante la presenza di alcune registrazioni, agli atti, intercorse tra il volo Alitalia Az 136 (che aveva preceduto di poche ore la tratta percorsa dal Dc 8) e la base a terra.

E adesso pare che quelle ipotesi possano diventare prove grazie a uno studio terminato nel 2017 e commissionato dall’Associazione "Parenti delle vittime di Montagna Longa" che oggi è diventato un libro.

L'autore è il professore Rosario Ardito Marretta, docente di Aerodinamica e dinamica dei fluidi all’Università di Palermo, secondo cui l'incidente avvenne a causa di un sabotaggio del velivolo.

Una conclusione raggiunta attraverso complesse equazioni matematiche che hanno permesso a Marretta di verificare le sue tesi. Il lavoro - «Unconventional Aeronautical Investigatory Methods. The Case of Alitalia Flight AZ 112» - è stato pubblicato da Cambridge Scholars Publishing, nella traduzione dall’italiano di Katy Rose Wallis.

Le premesse da cui parte lo studio di Marretta riguardano il guasto della scatola nera che, secondo gli inquirenti era semplicemente inservibile. Dal manuale d’uso del Dc8 (trovato intatto da Marretta), si evince che questo tipo di guasto (indicato come 1A, la categoria più alta di gravità) costringe a terra l’aereo.

C’è di più: il nastro della scatola nera fu trovato spezzato e non aveva registrato le ultime sette ore di volo. Ciò significa che gli equipaggi, almeno cinque, che si erano alternati ai comandi, non si erano accorti del mancato funzionamento dello strumento. Impossibile, taglia corto Marretta, che sottolinea come l’I-Diwb (la «targa» del velivolo che portava il nome di Antonio Pigafetta), fosse stato sottoposto a manutenzione il 30 aprile, cioè cinque giorni prima dell’incidente, e che quelle sette ore mancanti di registrazione siano proprio il cumulo dei tempi di volo del Dc8 fino al disastro.

Da qui l’ipotesi del sabotaggio, realizzato in modo da impedire ai piloti di accorgersi del guasto.

Un altro elemento a sostegno della tesi di Marretta scaturisce dall’osservazione del suolo su cui l’aereo si schiantò e dagli esperimenti effettuati in laboratorio bruciando il kerosene su una superficie che riproduce quella di Montagna Longa. I resti dell’aereo mostrano la parte destra dell’impennaggio di coda particolarmente danneggiata dalle fiamme, mentre la parte sinistra della stessa struttura non ha segni di bruciatura.

Nei paraggi, inoltre, alcuni oggetti (cappelliere, sedili, pneumatici del carrello) non sono stati sfiorati dal fuoco. Dove sono finite le 18 tonnellate di carburante imbarcato prima del decollo?

Dunque, l’energia dell’esplosione non è quella prodotta da un carico così cospicuo di carburante, che secondo i calcoli di Marretta è, invece, uscito dal serbatoi nella fase finale del volo attraverso un foro vicino alla manichetta d’espulsione del kerosene, sull’ala destra, che potrebbe essere stato causato - secondo Marretta - da una micro carica posta in un piccolo incavo.

Le simulazioni al computer porterebbero a queste conclusioni che secondo lo studioso non lasciano dubbi.
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