MISTERI E LEGGENDE
L'arte esoterica in Sicilia: un itinerario d'eccezione tra ville, giardini e palazzi storici
La Sicilia era tra le mete favorite anche per il tour massonico. La storica dell'arte Daniela Brignone ci porta tra quei luoghi, svelando il significato dei simboli alchemici
Il tempietto del Castello di Donnafugata a Ragusa (foto di Giancarlo Tribuni Silvestri)
Frotte di studenti, intellettuali, artisti e curiosi, già dapprima del Cinquecento, si spostavano da una corte all’altra per completare e perfezionare i propri studi dinanzi ai maestri dell’arte, alle monumentali scoperte archeologiche o alle meraviglie della natura.
La Sicilia era tra le mete prescelte perché, ieri come oggi, consentiva di godere delle suggestioni dell’arte e dell’ambiente paesaggistico in modo pressoché completo. Non può dunque stupirci il fatto che l’Isola era diventata luogo eletto anche di quella ristretta cerchia di affiliati alla Massoneria che la inserirono nel loro programma di viaggio.
Torna allora utile il contributo di una valida storica dell’arte palermitana, Daniela Brignone, che spiega, qui su Balarm, il significato di quei simboli diffusi nell’arte esoterica della Sicilia dell’epoca.
Le molteplici forme dell’arte, dall’architettura alla pittura, dalla poesia alla musica, si prestavano come medium di codici comprensibili solo ai seguaci dei circoli iniziatici e ne marcavano l’appartenenza.
Fulcanelli, alchimista dei primi anni del Novecento, nel suo cult Il mistero delle cattedrali (1922), ha rivelato che persino il termine ‘gotico’ – che nei nostri libri di scuola si fa risalire ai barbari Goti in contrasto alle forme classiche del Rinascimento – sia in realtà una storpiatura cabalistica e quindi un sinonimo di ‘magico’: esso alluderebbe alla simbologia alchemica nascosta nelle cattedrali medievali (come Notre Dame), libri di pietra da interpretare esotericamente quali “frasi in bassorilievi e pensieri in ogive”.
Brignone non a caso ricorda che anche tra gli affreschi dei nostri palazzi nobiliari o le statue dei giardini – compresa la settecentesca Villa Giulia di Palermo – si nascondono tuttora «antichi segni e simbolismi velati, che fanno leva su un rituale consolidato nei secoli e la cui origine si perde nella notte dei tempi».
Conosciamo tutti l’amore che Goethe nutriva per la nostra Isola, ma pochi forse sanno che egli fu anche appassionato studioso di alchimia e che «nella sua visita in Sicilia [1786-87], incluse tra le mete obbligate la Villa Palagonia di Bagheria e la dimora catanese di Ignazio Paternò Castello, noto esponente della Massoneria».
Tra i luoghi più battuti dall’élite massonica vi erano proprio le ville bagheresi, quella dei Mostri in testa, creata dal Principe di Palagonia, detto non a caso il Negromante, e i prestigiosi palazzi palermitani come il Branciforte di Butera che si affaccia sulla storica passeggiata del Foro Italico.
Sono edifici che mostrano un comune «programma decorativo che riunisce elementi massonici e alchemici», sia all’interno che all’esterno. «I percorsi nei giardini introducono in un sentiero iniziatico, scandito da quelle statue che a Villa Palagonia hanno le connotazioni mostruose della materia informe, della materia nello stato primordiale, in attesa cioè di essere plasmata».
Un ruolo chiave è giocato dal soggetto mitologico, che, in affresco o in scultura, codifica in qualche modo una simbologia che rendeva il padrone di casa subito riconoscibile agli iniziati: tra i più raffigurati vi sono Apollo, che, assimilato al Sole, è «colui che scruta le cose occulte», oppure Ercole, le cui dodici fatiche «corrispondono ai gradi dell’iniziazione».
Come nella famosa incisione di Dürer, la Melanconia, o nel portale di ingresso di Notre Dame, si dispiegava ovunque una teoria di simboli più o meno a noi visibili ma ben condivisi dagli iniziati: «la squadra e il compasso, segni massonici allusivi alla materia e allo spirito e ai gradi della conoscenza, sono tra i più noti e antichi della Massoneria, risalenti ai primi affiliati, i Liberi Muratori settecenteschi.
La torcia è la luce del sapere, la clessidra è connessa al ciclo vitale, il cane è il richiamo alla fedeltà massonica».
Tra gli affreschi di Palazzo Butera compaiono altri simboli come «la civetta, collegata a Minerva, espressione della Saggezza e componente della triade di cui fa parte anche Ercole (la Forza) e Venere (la Bellezza) oppure il rametto di corallo che spesso fuoriesce da una cornice del soffitto o da un vaso, e che ha un duplice valore, apotropaico e rigenerante giacché comunemente accostato alla pietra filosofale».
La compresenza alchemica di altri elementi, come la Luna e il Sole, simboli di oscurità e luce, dello Yin (il nero, la notte) e dello Yang (il bianco, il giorno) cinesi, del femminile e del maschile, è «espressione di un dualismo e di un potere energetico che mira all’equilibrio dell’individuo».
Negli affreschi delle volte del palermitano Palazzo Sant’Elia – ex Celestri di Santa Croce – compare un ulteriore e diffuso motivo, l’ouroboros, l’armonioso e flessuoso serpente che si morde la coda, «descrivendo un movimento circolare che evoca la ciclicità continua della nascita e della morte, della creazione e della distruzione».
Un altro suggestivo esempio di tradizione misterica, seppur meno noto, è offerto dal Castello di Donnafugata a Ragusa, dimora del Barone Corrado Arezzo de Spuches, in cui «le atmosfere esoteriche dei saloni e del giardino si compenetrano, denunciando la presenza di numerosi simboli».
Se all’interno si mimetizzano, per esempio, la squadra e il compasso, ma anche il melograno, «i cui chicchi fanno riferimento alla fratellanza degli iniziati», all’esterno si trovano disseminati altri segni, «le grotte artificiali, il labirinto o la vasca d'acqua, annunciati dalle statue di Ercole e di Minerva, che alludono alle prove del percorso misterico.
Il sentiero della grotta/caverna definisce una seconda nascita dopo la morte iniziatica che si attiva nel passaggio metaforico dall’oscurità alla luce. Il labirinto rappresenta il viaggio intrapreso dagli iniziati che anelano al divino, mentre la vasca è fonte di purificazione».
Su una piccola collinetta artificiale del parco del Castello sorge infine un tempietto di forma circolare, geometria perfetta che evoca il principio e la fine.
Le otto colonne che lo compongono sostengono una cupola con raffigurato il cielo stellato, simbolo di trascendenza, infinito, assoluto ed eternità e dunque «immagine che traccia un confine metaforico tra la sfera profana e quella sacra».
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