ITINERARI E LUOGHI
In un'oasi in Sicilia ci sono le "casematte": immerse nella vegetazione, hanno 80 anni
A oggi se ne contano circa nove, tutte nella stessa area. Questi bunker servivano a impedire l'avanzata degli alleati anglo americani sulle coste siciliane
Il bunker di Fanusa
Lungi da una concezione sognante, sebbene il luogo si presti, parliamo di uno dei reperti simbolo della memoria storica in Sicilia: i bunker.
Costruiti durante il secondo conflitto mondiale, servivano a impedire l’avanzata degli alleati anglo americani che, 80 anni fa, attuavano sulle coste siciliane la campagna di liberazione nota come Operazione Husky.
Proprio nella frazione del siracusano, compresa nell'Area Marina protetta del Plemmirio, a oggi esistono circa 8/9 bunker o "casematte" (per l'apparenza di casa con feritoie e stanze vuote a prova di bomba, dove alloggiavano gli ufficiali o si appostavano artiglierie o armi da fuoco leggere) che mantengono viva la memoria di un passato macchiato di feriti, dispersi, vittime e prigionieri.
Tutti i bunker in zona, così come le batterie costiere e cittadine, fanno parte del piazzaforte di Augusta, una delle località fortificate più potenti da abbattere in quel periodo storico.
Durante il conflitto, se la spiaggia di Fontane Bianche è stato uno dei luoghi principali per lo sbarco degli alleati, la Fanusa rappresenta una tappa d’approdo inaspettata, dato il fondale basso e pieno di rocce e, di conseguenza, inaccessibile alle navi. Gli alleati, però, riuscirono a far sbarcare non solo i loro soldati a piedi, ma anche i carri armati, le jeep e gli animali grazie a uno stratagemma.
«In questa occasione - dice Daniele Valvo, dirigente provinciale dell’associazione Lamba Doria, che raccoglie da 30 anni testimonianze, documenti e reperti dello sbarco in Sicilia e si batte per la salvaguardia dei manufatti bellici - sono stati fondamentali i pontili galleggianti, diventati famosi per lo sbarco in Normandia. Li posizionavano a 200 metri dalla costa, uno davanti all'altro, per garantire l’approdo di mezzi e persone».
Una volta arrivati sul litorale, a fare da guardia ci pensavano le casematte della Fanusa dove «C’erano delle mitragliatrici - prosegue Daniele Valvo - che probabilmente non spararono, perché i bunker servivano a monitorare chi arrivava sulla spiaggia».
Fortezze utili quindi a rilevare lo sbarco delle navi a largo di Fontane Bianche; dalle cui feritoie si è assistito a vicende rimaste nella storia, come gli alianti (aerei senza motore con dentro paracadutisti) dei nemici inglesi caduti in acqua a causa delle distanze sbagliate e del forte vento.
E infine, l’annientamento da parte degli inglesi della batteria navale Lamba Doria, costruita a difesa del mare antistante Siracusa e il Golfo di Noto (Penisola della Maddalena - Capo Murro di Porco).
Fatta eccezione per le batterie, che ospitavano alcuni cannoni navali, di cui oggi si possiedono i report al minuto dei soldati; dei bunker non si ha alcun resoconto. In questo caso, come in ogni vicenda priva di dati tangibili, ci pensano i civili a tramandare gli aneddoti di quel lontano ‘43, vissuti in prima persona o lasciati in eredità dai nonni.
Alcuni parlano di soldati inglesi che passavano al buio attraverso le masserie e le case per ispezionare; altri, raccontano di volte in cui sparavano sia gli inglesi, che le milizie italiane e americane.
Fatti che, insieme ai bunker della frazione balneare Fanusa e quelli presenti nella città aretusea, rappresentano un patrimonio storico da preservare.
Impegno assunto dall'associazione Lamba Doria che, attraverso segnalazioni e proposte alla Soprintendenza, mira a impedire la distruzione degli emblemi di una campagna che ha favorito la caduta del fascismo e la firma dell'armistizio a Cassibile, diramato alle ore 19.42 dell'8 settembre 1943.
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