PERSONAGGI
In Sicilia viveva un duca, poeta e fimminaro: quando faceva l'amore suonava la campana
Il suo castello, "espugnato", esiste ancora e si trova in un delizioso borgo medievale e abbandonato che era chiamato “u feu”. La storia di un viveur, amato e detestato
Fece scandalo la sua storia d’amore con Tava Daetz, per la differenza di età - lei aveva 26 anni e lui era prossimo ai 60 - ma soprattutto perché il duca lasciò la moglie e i tre figli per questa donna che in un'intervista a Enzo Biagi definì “l’unica immensa fortuna della mia vita”.
Aveva un cuore, il nobile duca, ma capirlo non era cosa per tutti, per la maggior parte delle persone era solo il rampollo di un'antica e nobile famiglia siciliana, cresciuto nell'agio e amante della bella vita. Ma non era solo questo, era dotato di grande intelletto e di una sensibilità che sfociava in malinconia.
Prima di raccontarvi di questa intensa storia d’amore, vi parleremo di questo eccentrico duca che visse la maggior parte della sua vita a due passi da Milazzo, un viveur, un “fimminaro”, un poeta. Amato e detestato.
Visse la sua infanzia a Roma studiando in famiglia. Parlava correttamente francese e inglese. Intellettuale, poeta, scrittore, fondò anche una rivista chiamata "Girasole"con un gruppo di giovani scrittori. Compose liriche in lingua francese e le raccolte di poesie in lingua italiana (Il cavaliere gotico, Ovunque confini, Macerie, seguono le poesie Ecco Perché, Solenne 1996, Il Cipresso 1997, Eravamo, Vorrei, Vado Avanti 1998, opere pubblicate nella raccolta Il Silenzio delle Pietre 2010).
Era appassionato di politica e fu anche tra i fondatori del movimento per l'autonomia della Sicilia, assieme a Carlo Stagno d'Alcontres., Francesco Paolo Lo Presti, Umberto Bonino, Gaetano Martino, Giuseppe Pulejo, Antonino Vaccarino.
La sua storia echeggia ancora tra le strade dell'incantevole borgo medievale, Sicaminò, a circa 5 chilometri dal paese di Gualtieri Sicaminò, nel sito naturalistico in cui ricade la cascata del Cataolo. Il borgo era chiamato dai gualtieresi “u feu” (il feudo).
Qui si trova il palazzo Baronale della famiglia Avarna e la annessa cappella di fine '800 e a questo luogo è legata la vita del Duca Giuseppe Avarna, amato e odiato ma che di certo non lasciava indifferenti, uomini e donne.
Il castello fu costruito per conto del Duca Bartolomeo Avarna (primo duca di Gualtieri in casa Avarna, fatto duca nel 1797 per i servizi resi a Ferdinando I di Borbone), nel secolo XIX. Da lui il feudo passò al figlio Carlo e poi al nipote Nicolò che sposò Giulia di Somma, baronessa rimasta nella memoria collettiva per la sua grande bontà.
Giuseppe Avarna visse al castello per oltre trent’anni, si era sposato nel 1941, a Cortina d'Ampezzo, con Magda Persichetti, nobildonna appartenente a un’agiata famiglia di costruttori romani, da cui ebbe tre figli, Carlo, Guiscardo e Albereda. La donna conosceva bene il “personaggio”, sapeva già che avere la fedeltà del duca sarebbe stato impossibile...
Sono diverse le scappatelle a lui attribuite e addirittura accadde che una volta, la figlia Albereda, ai tempi 22enne, arrivò alle mani con una “presunta” amante del padre, Antonina Torre e la notizia arrivò anche sui giornali. Si legge in un vecchio articolo infatti che le due donne si “sarebbero scambiate ingiurie e percosse, riportando entrambe notevli lesioni" e che la duchessina era stata ferita in diverse parti del corpo e aveva deciso di sporgere denuncia contro la donna.
Una vita vissuta al massimo quella del duca che fu conosciuto nel mondo per la sua storia di amore con una hostess di quasi 40 più giovane, Tava Daetz, americana nativa dell’Oregon, che sposò ben undici anni dopo attendendo le carte del divorzio. I testimoni di nozze furono i principi Grimaldi e Borghese.
La moglie gli tolse tutto, “Tutto ciò che possedevo” dirà in numerose interviste ribadendo che ciò che gli era stato portato via era tutto frutto del suo lavoro e di beni di famiglia. E infatti fu Tava a pensare al suo sostentamento per il resto della sua vita.
E di questo amore voglio raccontarvi adesso. Perché diversamente dalle altre volte, per il nobile messinese, quello fu il vero amore della sua vita, e con lei si rifugiò nella cappella ottocentesca adiacente al palazzo baronale.
In un articolo pubblicato da Antonino Cangemi nel 2018 su Dialoghi Mediterranei si racconta dell'amore, a partire dal loro primo incontro che avvenne nel 1976 nel pieno centro di Roma. "Tava Daetz ha occhi bellissimi dai colori cangianti tra il verde e il celeste, capelli castani scuri, un sorriso luminoso, un corpo slanciato, gambe lunghissime: è, insomma, una donna di particolare fascino che unisce all’avvenenza fisica classe e sensualità", si legge.
Era corteggiatissima ma la meglio tra tutti l'ebbe il duca Giuseppe Avarna, che a quel tempo aveva 59, ben 34 più di lei ma aveva un savoir-faire che non lasciava scampo.
E nell'articolo si legge ancora, «È stato proprio love at first sight» – confesserà Tava. Il classico colpo di fulmine. Dopo rapidi convenevoli e sguardi incisivi d’intesa, il duca le propone di bere champagne. Lei scoppia a ridere, lui le prende il braccio, con delicata naturalezza. Una delle armi seduttive del duca è l’ironia, che sa indirizzare anche nei propri confronti. Durante il primo incontro ne fa sfoggio con destrezza. Tante le sue battute brillanti che rivelano a Tava di avere incontrato un uomo di straordinaria eleganza pieno di vitalità e umorismo. Una, soprattutto, le rimane impressa: «Mi odiano tutti perché sono troppo intelligente».
Tava era attratta dal duca sotto ogni punto di vista, e forse soprattutto da quell'aria da nobile decaduto e trasandato. Passano pochi giorni dal primo incontro e i due amanti si trasferirono in Sicilia ma non nel castello di Gualtieri dove ormai la sua presenza non è più tollerata, la storia era di dominio pubblico ed era, appunto, una storia, non un semplice flirt passeggero. Fu così che la coppia andò a vivere nella cappella sconsacrata del curato e secondo le cronache con loro anche sette cani e i cavalli.
Scrive ancora Cangemi: "In quell’ambiente bucolico, l’amore trionfa – condito dai tocchi di campana –: lei suona la chitarra, lui declama i suoi versi. Ma non vivono di solo amore e poesia: il duca coltiva la terra, pianta alberi, i due amanti raccolgono l’uva e gli altri frutti, insieme puliscono i campi estirpando le erbe cattive. Su tutto s’impone la parsimonia: per spostarsi da un luogo all’altro, Giuseppe e Tava si accontentano di un’utilitaria: prima una Cinquecento, poi una 126, la fuoriserie il duca la possedeva ma dovette venderla".
La storia d’amore conquistò i rotocalchi i tutto il mondo.
Tava non smise mai di lavorare, dovendo sostenere economicamente tutte le spese anche per il futuro marito. Continuò a fare la hostess e il duca la seguiva nei continui viaggi per il mondo rendendosi utile e racimolando qualche denaro facendo il cuoco di bordo. La storia racconta che durante le loro notti d'amore suonassero la campana per fare ingelosire la ex moglie. Anche il pretore di Milazzo, cui si rivolse la ex moglie Magda Persichetti denunciando il fatto sposò la tesi e condannò il duca a un'ammenda, con tanta di pubblicazione del responso sulla “Gazzetta del Sud”.
Il Duca invece non confermò mai la tesi ma in realtà che si potesse pensare quello che si oensava lo divertiva parecchio. In un'intervista rilasciata a Biagi raccontò con entusiasmo che sì, la suonavano in momenti di euforia, di gioia, perché lui e Tava avevano, diceva, un modo di interpretare la vita con ironia e spirito e non era certo per “suonare campane a morto per la ex consorte”, ma solo per umorismo.
La sorte purtroppo alla fine con lui non fu benevole, nella morte intendo. Ebbe sicuramente una vita incredibile e piena di avventure come ogni Gattopardo che si rispetti dovrebbe avere, ma morì in solitudine e in seguito ad un drammatico evento, nel 1999, nel tentativo di salvare da un incendio la sua biblioteca.
La sua modesta abitazione, la cappella del Curato, fu misteriosamente avvolta dalla fiamme. Giuseppe Avarna duca di Gualtieri non ebbe il tempo di avvertire i pompieri e chiedere aiuto. Lo trovarono carbonizzzato nel bagno, forse cercava una via di fuga ma le grate dalla finestra bloccarono il passaggio.
Tutto andò distrutto, rimase in piedi solo una porzione di muro su cui il duca aveva scritto l’ultima poesia per Tava e la bandiera azzurra del casato, issata su un balcone. Il duca Riuscì a mettere in salvo alcuni libri e raccolte di poesie.
Il castello nel tempo rimase disabitato e fu anche oggetto di pignoramento. Fu acquistato all’inizio del 2020 dal signor D'Amico che avrebbe voluto realizzare un albergo, ma il progetto non è mai andato in porto. Oggi è di proprietà dei figli, Maria Grazia e Alessandro, che non hanno smesso di cercare il modo di realizzare il sogno del padre di valorizzare questo luogo, ma non è facile.
Quanto alla "campana d'amore" che in tanti ricordano, oggi non esiste più. Fu rubata una decina di anni fa ma c’è chi giura di sentirla ancora suonare di tanto in tanto, di giorno e di notte.
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