CURIOSITÀ
In Sicilia le femmine si "mummìano" (con talento): storie e curiosità di un'antica arte
È un'usanza assai diffusa fin da tempi immemori che si pratica estate e inverno, sia all’aperto che al chiuso. La parola pare che abbia origine da una mala-traduzione
Eppure Johann Georg Krünitz era un enciclopedista tedesco, medico di professione, che a metà del 700 conseguì il dottorato con una tesi intitolata De matrimonio multorum morborum remedio, cioè "Il matrimonio è il rimedio per molte malattie".
Sarà che zio Aspano era di tutt’altra scuola di pensiero, ma non c’era giorno che non mi ripetesse "Gianlù, se non ti vuoi ammalare non ti sposare".
La verità è che Aspano ancora si sentiva un picciottello, e come entrava giugno caricava mezza casa sul portapacchi della 127 color puffo (zia Agatina compresa) e ci portava alla casa di Triscina, dove avrebbe mummiato in santa pace tutte le femmine del lungomare.
Già, quello di ammirare la bellezza femminile in tutte le forme possibili e immaginabili era il suo sport preferito. E ancora oggi, quando voglio fare un augurio a qualcuno/a, dico sempre: "Trovati qualcuno che ti guardi come mio zio Aspano si mummiava le femmine".
E ancora "rendersi irriconoscibile coprendosi il volto (pratica comune dei piccoli ladri a cui per punizione veniva mozzato un orecchio o il naso)".
Ma la parte più interessante arriva quando Giovannino Skatarrat Krünitz si occupa delle traduzioni, perché ci dice: “in francese Mommeur, in italiano Mommiare, Mummiare".
La cosa fantasmagorica è il cercare di immaginare - poiché ricostruirlo è impossibile - come questa malatraduzione dall’italiano (perché è assolutamente sbagliata) sia potuta arrivare in Tedeschia e finire addirittura nelle enciclopedie.
Per dir la verità, la Sicilia del XVIII secolo era già il pezzo forte dei Tour Operator di tutto il continente.
Goethe, Brydone, Guy de Maupassant, e tanti altri, che trovandosi sull’isola hanno potuto apprezzarne gioie e dolori, profumi e colori, ricchi signori e scafazzati. Niente di strano che qualcuno di questi, tornandosene in patria, insieme alla magliettina de "il Padrino", si sia riportato anche qualche parola o modo di dire tipico.
La mummiata, dunque, è usanza assai diffusa fin da tempi immemori che si pratica estate e inverno, sia all’aperto che al chiuso.
Non è un caso che i Vespri Siciliani del 1282 scaturiscano da una mala mummiata del soldato Droetto ai danni di una bella figghia, e che il meno noto Vespro antispagnolo del 1511 nasca anch’esso da una mummiata di un soldato nei confronti di Donna Nina, zita di Giovanni Pollastra, detto Surciddu.
Non una, non due, ma cinquanta sfumature di mummiata perché come non vedrete mai due fiocchi di neve gemelli, allo stesso modo non troverete mai due mummiate identiche per stile o tecnica.
Quelli che nascono col talento operano con nonchalance e li riconosci dalla faccia rassegnata di chi aspetta il Palermo -Messina che porta 40 minuti di ritardo sui già annunciati 40 di ritardo.
Poi, una volta passata la ninfa tentatrice, depongono la purezza in tasca insieme al fazzoletto sporco di moccolo, e se la mummiata è appagante anche di schiena tirano fuori la poesia: pigghia stu nummaro i taigga (prendi sto numero di targa”.
I comodisti, invece, il più delle volte fanno largo utilizzo di dissuasori come telefoni, occhiali da sole, finto allacciamento di scarpe o giornali messi a schermaglia. Zio Aspano, per esempio, era un fan del Giornale Di Sicilia perché era così ampio che lo potevi usare come tovaglia da tavola o ombrellone.
Dopo anni di allenamento e diottrie autoinflitte, ormai gli era venuta la vista a 360° e gli occhi indipendenti l’uno dall’altro uguale uguale ai camaleonti.
Era bravissimo e zia Agatina non se ne accorgeva quasi mai. Ma quelle poche volte che lo incocciava, si sfilava la ciabatta dal piede col trillice uncinato come i velociraptors e lanciandogliela contro gli urlava: pari u muommo delle catacombe!".
Antonio Prestigiacomo si chiama il signore in questione, conosciuto appunto come l’arché e principe supremo di tutti i mommi di Palermo.
Secondo la leggenda 'Ntonio era un signore benestante che aveva la passione sfegatata per belle donne, e Palermo ce n’erano assai.
Proprio a causa di una di queste, un giorno si ritrovò a perdere la vita durante un duello. Chi teneva i piccioli, ai tempi, si faceva tumulare alle catacombe, un po’ perché andava di moda fra i ricchi, un po' perché era l’unico modo per prendere in giro la morte, dato che i corpi rimanevano inspiegabilmente intatti.
Beh, va bene la mummificazione, va bene stare appeso come un salame al muro, ma ad Antonio solo una cosa non gli potevi levare: mummiare le femmine.
Per questo motivo al bell’Antonio - ancora oggi alle Catacombe - furono istallati due occhi di vetro affinché potesse continuare a godere del gentil sesso anche da morto. Questa ovviamente è una leggenda, perché si dice anche fosse sposato e che sia morto per avvelenamento.
Tuttavia, secondo questa versione, il verbo mummiare, cioè ammirare una donna stando imbalsamato come una mummia, viene proprio dal bell’Antonio e dai suoi occhi di vetro.
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