CURIOSITÀ
In Sicilia esiste una parola per tutte le camurrie: la storia (triste) di "muschitta"
Con questo termine non indichiamo solo i fastidiosi insetti ma anche tanto altro. Vi raccontiamo le origini e tutti i significati di questo modo di dire siciliano
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Per questo motivo il nostro cane di mannara domestico viene affettuosamente soprannominato “Attila” dai sui affezionati padroni, poiché quando corre, gioca o insegue i palumme (sua attività preferita) sui suoi percorsi non cresce più l’erba.
Non scansa le siepi, piante e fiori ma li “salta” con un’agilità che i padroni non avranno mai, e se per caso è in preda alla furia del gioco o della fase “s'annagghiu a palumma ni fazzu minnitta”, che poi c’ha pure ragione dato che gli "agghiacciano" i croccantini, investe direttamente creando nelle siepi dei buchi simili a quelli che lasciava Willy il coyote nelle rocce del Grand Canyon.
Giorni fa, al termine del lavoro tra le fresche frasche, mi sono assettato reintegrando le mie copiose perdite sudorifere con una sacrosanta birra atturrunata, ed ammirando, compiaciuto, l’opera di sistemazione.
Facendo vagare lo sguardo, mi sono soffermato sulla casetta degli insetti che ho messo vicino l’ “albero” di rosmarino, bloccandomi su un nugolo di moscerini che avevano organizzato una specie rave party.
Per uno di quei miei flash mentali per i quali non sono mai riuscito a trovare una spiegazione, la memoria è andata a un’estate della mia infanzia passata nella casa di OrtoLiuzzo dei miei nonni.
Quell’anno c’era stata una vera e propria invasione di moscerini ed altri insettini svolazzanti, che sicuramente hanno la loro importanza nel delicato ecosistema, ma che all’atto pratico erano diventati una vera scocca di camurria.
Arrivò il momento in cui la situazione divenne insostenibile, così mio nonno, da sempre contrario all’uso di prodotti chimici, cominciò a sperimentare soluzioni “green”.
Il primo tentativo vide la distribuzione, in giro per casa, di fogli di carta da zucchero, quella turchese chiaro che si usava una volta, con sopra spalmato del miele.
La cosa sembrò funzionare, ma aveva il “piccolo” difettuccio di intrappolare anche api e farfalle, cosa assolutamente deprecabile per mio nonno. Passò quindi al piano B prendendo dei bicchieri riempiti per metà di vino (che non mancava mai, quantomeno pi abbagnarici i pessiche), e sciogliendoci sempre del miele.
Coprì infine il bicchiere con la juta tenuta ferma e tesa con un lazzitieddu.
Il principio di base era che i muschitte attirate dalla fermentazione del vino con il miele entravano facendosi strada tra le maglie della juta, e poi, stordite dai fumi, non riuscissero più ad uscire.
Non risolse del tutto il problema, ma si riuscì ad avere un discreto controllo demografico della popolazione insettivora camurriusa.
Non a caso infatti, in Sicilia, utilizziamo muschitta, oltre che per indicare tutti gli insetti volanti fastidiosi come moscerini della frutta, zanzare, pappataci ecc., anche per indentificare qualcuno che "ni camurria".
Voci non verificate e fumose vorrebbero l’origine alla dominazione araba. Durante la loro presenza, i tuicchi trasformarono le chiese in moschee e imposero l’Islam come religione, ma, seppur sotto lo stato giuridico di “dhimmi”, che imponeva il divieto di proselitismo ed edificazione, consentirono ad alcuni “raccomandati” cattolici, chi sacchette piene di pila, di poter praticare il culto dietro pagamento di un obolo.
Non è che fosse tutto sorrisoni, pacche sulle spalle e schiticchi, ma proprio per questa concessione era possibile, all’interno dello stesso tempio, che musulmani e cristiani fossero intenti alle loro pratiche religiose, creando una certa vucciria e, di conseguenza quel tipico afrore di “beccume e ciuri i zagara fracidi”, soprattutto nei mesi caldi, il che attirava orde di insettini, molti di quali provvisti di pungiglione o tenaglie.
Appurato che ancora non esistevano le racchette elettriche si andava a forza di muscalori, corde chi pampine e buffazze sui cozzi per ammazzare quelli che gli arabi sicilianizzati cominciarono a chiamare masidsharta, dall’unione di masijd (moschea) e hoshara (insetto), parola che poi fu imbastardita in masharta, fino a quando i siciliani DOC la storpiarono in muschitta per identificare sia i fastidiosi insetti che gli, altrettanti fastidiosi, invasori.
Meno affascinante, ma probabilmente più realistica è la possibile origine dal normanno moustique, che identificava proprio le zanzare e insetti simili, per poi essere “fuso”, all’arrivo degli spagnoli, con mosquito.
Divenne infine, muschitta, usata dai siciliani, per indicare anche quella piccola punta di barba sotto il labbro inferiore che andava tanto in voga presso gli iberici tanto somigliante ad una mosca, e solitamente le mosche dove si poggiano? Ecco bravi!
Tra una pigghiata pi fissa agli invasori e un'altra, ai siciliani toccava comunque mettere il pane a tavola, e il lavoro più utile e richiesto, ai tempi, era la coltivazione delle terre. Quindi si alzavano all’alba, a volte anche prima, si portavano un bummulu d’acqua ed un pezzo di tumazzo e, mischineddi, si andavano a spaccare la schiena zappando e sudando copiosamente, attirando degli insetti molto simili a delle zanzare giganti, che non pungevano, ma bastevolmente fastidiose con il loro ronzare e svolazzare..
Si trattava delle tipule, insettoni appartenenti sempre all’ordine dei ditteri, e quindi molto simili alla zanzare, ma non emofaghe e fitofaghe, motivo per cui erano così attratte dall’odore pungente del sudore degli zappatori.
Dato che spessissimo andavano a inquietare proprio gli zappatori, presero il nome di zappagghiuni, come a dire gli insetti degli zappatori, ma in relatà erano tipule.
Da zappagghiune derivò anche zappagghiata, per indicare l’incedere claudicante e tremolante di questi insetti, soprattutto quando erano sul pelo dell’acqua e, per paragone, il fare di qualcuno che si arrabatta, si arrampica sugli specchi, che ha un ruolo per il quale non è assolutamente qualificato assolvendo ai suoi compiti in malomodo, senza attenzione, a cumegghiè, un po’ come i tombini di Agrigento coperti con l’asfalto e poi cercati con i metal-detector.
Questo è un mirabile esempio di zappagghiata, oltre che di solenne minchiata, pratica nella quale la nostra classe politica riesce egregiamente tanto quanto uno zirma i muschitte.
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