DIARI DI VIAGGIO
In Sicilia c'è un paradiso fatato, tra il mare e la Rocca: viaggio nella "perla" normanna
Una mitizzazione di un tempo passato, che non cancella la bellezza opulenta e magica di questo luogo. Ultima tappa di un viaggio tra le meraviglie dell'Isola
La spiaggia di Cefalù
Sto parlando della bellissima Cefalù, perla sulla costa nord. Arrivai qua che avevo sette anni, e per altri 20 ho trascorso quelle estati che una volta erano lunghissime, iniziavano alla fine di giugno e terminavano nei primi giorni di settembre.
Un ritorno dove l’osservazione dei cambiamenti di quello che una volta era un borgo marinaro, risente di lenti antiche e dove è difficile raccapezzarsi con nuove strade, negozi, locali, eventi, e un traffico caotico che può disorientare.
Una mitizzazione di un tempo passato, che non cancella la bellezza opulenta e magica di questo luogo. La mia casa è ancora là, ora con nuovi proprietari, sulla strada che da un hotel, alle porte della cittadina, s’inerpica sino a un fontanile e una chiesetta, dividendosi poi in due colline.
Lì da ragazzi, la sera della festa del Salvatore, ci mettevamo seduti cavalcioni sul muretto per assistere ai fuochi d’artificio che visti dall’alto trasformavano la cittadina in un luogo fatato.
Se tutto questo è rimasto lo stesso, l’hotel con le scalette che portano alla spiaggia sottostante, le cappelle neoclassiche lungo la strada, i monumenti, tutto il resto è cambiato.
Anche il Club Med, dismessi i Tarè, è diventato un villaggio turistico extra lusso. Passeggiando per il corso principale ritornano in mente i vecchi negozi di una volta: l’emporio, dove era possibile acquistare qualsiasi cosa, il bar dei Normanni con la villa, la rosticceria con le arancine più buone di sempre, forse perché parte dei ricordi più belli.
E un piccolo bar con un clamoroso "Gelo di Melone" con semini di cioccolato fondente e fiori di gelsomino, senza dimenticare il negozio che vendeva ghiaccio, dove finché non abbiamo avuto la luce elettrica, (siamo stati un gruppo di pionieri pazzi che per un paio d’anni hanno vissuto con lampade a petrolio), compravamo dei grossi lastroni per tenere al fresco cibi e bevande.
Scendendo dal Lavatoio, trovo luoghi che oggi mi sono sconosciuti strade piene di gelaterie, ristoranti, negozi. Nella parte bassa ricordo un posto che vendeva parei di cotone dipinti a mano con disegni tribali, conservo ancora come cimelio uno di quei teli.
I vecchi locali pizzerie e discoteche non ci sono più, punti di riferimento di una stagione durata vent’anni. Se il contesto è cambiato ritrovo però gli angoli, di sempre, le spiagge dove tutta la nostra comitiva si dava appuntamento, alcuni popolati altri meno.
Ricordo la Piattaforma, così chiamata per uno strano scoglio piatto sul mare, l’accesso era dalla strada attraverso un filo spinato, con un sentiero che rasentava proprietà private.
Le pietre nere del “lato B” di Cefalù dopo la Rocca, una spiaggia di grossi ciottoli e scogli con un mare cristallino, o il più affollato “Tourist”, sul lungomare.
Qui la spiaggia è sempre la stessa, con lo scoglio dal quale mi tuffavo e dove l’appuntamento con gli amici non era mai prima delle 11.00.
Se da un lato provo nostalgia per questa piccola cittadina che si riempiva ad agosto e, il fine settimana, e che non aveva per me misteri, dall’altro sono felice che si sia trasformata in dei più rinomati luoghi di vacanza della Sicilia, testimonial dell’Isola per varie pubblicità.
Ho sempre pensato che il suo splendore dovesse essere valorizzato. Mi dirigo verso il Duomo salendo quelle scale che spesso a notte fonda furono, l’ultimo posto dove ci fermavamo da adolescenti, prima di tornare a casa, con "l’amico perduto" che suonava il solito giro di "do".
Rientrare qui mi rasserena, il Cristo Pantocratore dallo sguardo ieratico, per me a quei tempi "severo", mi dà emozione, e gioia.
All’esterno guardo su in direzione di quella Rocca, più volte scalata, fino a quello che chiamavamo “il tempio”. Ricordo i pozzi lungo l'ascesa, i corvi che volteggiavano, e l’incredibile panorama, una volta raggiunta la cima.
Riconosco gli stessi profumi di una volta, l’afrore della resina degli alberi, il profumo dei fichi d'India, della lantana, e quello salmastro dell’acqua prigioniera tra gli scogli, con quella luce così ben raccontata da Bufalino.
Questo viaggio in una Sicilia che non finirà mai di stupirmi, può dirsi concluso, non mi rimane che compiere un ultimo atto necessario e dovuto prima di tornare alla mia vita di sempre: entrare al museo Mandralisca.
Qui tra tele, reperti, pietre, libri c’è qualcuno che devo salutare, come ho sempre fatto in quei vent’anni, prima di ogni partenza. E’ un uomo dal sorriso enigmatico.
Un tempo era un ”Ignoto Marinaio”, gli studi hanno poi stabilito che con quell’abbigliamento ricercato e quel copricapo, l’uomo ritratto, doveva essere una persona di rango. Sono contenta che al dipinto di Antonello da Messina sia stato restituito titolo e dignità.
Avanzo timorosa nella sala, so bene che ovunque mi girerò quello sguardo ironico e misterioso mi seguirà. Ritrovo sul viso i tagli inflitti dalla figlia dello speziale di Lipari che lo possedeva, era convinta che il quadro portasse sfortuna, sembrano piccole cicatrici, le stesse che sento di avere anch’io nel cuore.
Dopo averlo osservato e reso omaggio, sono pronta ad andar via, quando all’improvviso mi sembra di ascoltare una voce che è un sussurro che arriva da luoghi lontani, remoti e perduti: “Sei tornata? Era ora, ti stavo aspettando”.
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