ITINERARI E LUOGHI
In Sicilia c'è la "chiesa di lu Purgatorio": da fuori incute timore ma dentro è bellissima
Riserva angoli di storia da approfondire. Nonostante alcuni interventi eseguiti negli anni, merita lavori di restauro per non perdere un capolavoro spesso incompreso
La Chiesa del Purgatorio
Un luogo che riserva angoli storici che vanno approfonditi e delineati con tanta leggerezza. La chiesa incute paura e colpisce la “diversità” dal resto del contesto. Le recensioni lasciate dai turisti ingannano la realtà e magari, colpiti dalla facciata, non riescono a calarsi bene nella parte e commentano con accanimento negativo.
Un errore marchiano senza aver dato adito alla conoscenza storica e osservato le bellezze che custodisce al suo interno. Fu edificata tra il 25 maggio del 1642 ed il 1664 per volere di Diego Aragona Pignatelli, principe di Castelvetrano. I lavori vennero effettuati su un sito adibito precedentemente a una piccola chiesa (S.Eligio) e comportarono il rifacimento e l’ampliamento dell’edificio originale retta dalla congregazione del Purgatorio.
Si mescolano elementi barocchi con tocchi del tardo manierismo e prevale la funzione scenica del decoro urbano. Una conferma netta grazie al forte verticalismo che accentua il movimento. Le porte laterali vennero ravvicinate a quella centrale.
La presenza di otto lesene slanciate dai plinti di sostegno scandiscono la zona inferiore del prospetto. Essi incorniciano le tre porte d’ingresso e le due nicchie con statue dedicate a S.Sebastiano e S.Filippo Neri. Il movimento culminava verso l’alto, in centro, nel gruppo di angeli sopra il cornicione reggenti la croce. Venne distrutto dal sisma del ‘68. Un pezzo di storia della chiesa è scandita dalla campana.
Fu collocata nel 1702 per volontà del governatore-padre Pecoraro. La costruzione della stessa avvenne nella ridente cittadina di Burgio (paesino dell’agrigentino), nella bottega dei fratelli Arcuri con arte semplice. Riporta in alto, su quattro fasce, una scritta con la data e nel ventre, un cuore infiammato.
Rappresenta il simbolo degli Oratoriani. Tra le fiamme sono visibili due anime purganti. La campana è dedita ai santi Sebastiano e Filippo Neri. Alcuni anni orsono, è stata rimossa dalla sua collocazione originale per lavori alla trave che la sosteneva.
Le condizioni precarie non permettevano il giusto sostegno e l’effettiva sicurezza. Nei pregiudizi di facile costume, sarebbe giusto addentrarsi nel complesso e descrivere con mera attenzione le parti principali e gli avvenimenti storici accaduti. A partire dal 28 giugno del 1673 quando vennero collocate le reliquie dei santi Eustachio, Placido e Lucio da parte dell’arcivescovo di Mazara monsignor Cicala.
L’interno è solido ma elegante. Presenta una planimetria basilicale a tre navate. Quella centrale è sormontata dal claristorio (o cleristorio) sostenuto da colonne con archi a tutto sesto. Culmina in un'abside rettangolare dove è sito un altare maggiore.
Gli altari minori (navate laterali) sono posti in piccole cappelle di gusto baroccheggiante. Cappelle che si sviluppano lungo una navata centrale coperta da volta a botte e due navate laterali coperte da volte a crociera. Le navate laterali sono affiancati in lunghezza da una successione di nicchie laterali. I prospetti interni sono caratterizzati da paraste con capitello ionico sormontate da una corposa trabeazione perimetrale costituita da due cornici in gesso e un fregio con motivi floreali.
Tra le paraste si aprono gli archi di accesso alle nicchie, dotati di archivolti con quote di imposta alternate. Pregevoli, all’interno, la decorazione in stucco dell'abside eseguita nel 1746 dai fratelli castelvetranesi Nicola e Gaspare Curti. Alcune tele e statue sono custodite presso la Chiesa Madre.
Il culto è stato definitivamente chiuso nella seconda metà del XX secolo. Sono stati chiamati in causa gli enti preposti per un restauro che porti all’originalità “la chiesa di lu Purgatorio”. Nonostante alcuni interventi eseguiti negli anni scorsi, attualmente, merita notevoli lavori di restauro nella speranza di non perdere un capolavoro spesso incompreso.
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