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In Sicilia "atturriamo" la mollica (e non solo): c'entrano gli arabi e una leggenda

Può essere il "cacio ri puvirieddi" ma all'occorrenza si trasforma in un verbo da utilizzare contro chi ci dà noie e seccature: ecco l'origine di questa parola

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 10 luglio 2024

Pasta ca muddica atturrata

A parte una sana e giocosa pigghiata pu culo che faccio ogni tanto alla mia dolce metà, debbo ammettere che più passa il tempo e più mi rendo conto di quanto sia duro il mestiere dell’insegnamento.

Riuscire a tenere a bada una ventina (se va bene) di picciuttieddi che "unni vuonno mancu a bruoro", nonché dover affrontare, a volte, qualche malaminnitta di genitore che ne vuole cento pi ravanzi solo perché si ha osato rimproverare il figlio mentre faceva Tarzan appeso alla plafoniera della classe, è cosa che richiede una devozione, passione e pazienza rari, che se facessi io questo mestiere, probabilmente, mi ritroverei dopo massimo 3 giorni ospite del "Grand Hotel Ucciardone".

Ecco, ripensando ai tempi che furono, quello appeso a fare Tarzan potevo benissimo essere io, ma con la differenza che i miei genitori, dinanzi a un richiamo scolastico, mi avrebbero sgagnato le corna.

Tutta sta premessa solo per dire che oggi, che sono adulto e forse più maturo, comprendo appieno il prof. La Barbera quando gli partiva l’embolo, soprattutto quando ci comportavamo come bertucce sotto effetto di MDMA o quando la massima attività cerebrale all’interno della nostra scatola cranica era una scimmietta che batteva dei piatti.
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Alcuni prof si erano rassegnati, ma lui ne faceva una questione di orgoglio, non era contemplato che fosse lui a soccombere, per cui quando le parole non bastavano più, ovvero la maggior parte delle volte, passava direttamente al lancio dei gessetti, che se fosse stata disciplina olimpica iddu avrebbe avuto la medaglia d’oro ad honorem.

Con tale metodo riusciva, bene o male, a gestire i nostri tumultuosi animi, tra continue ed impellenti necessità fisiologiche, nonne e parenti fino alla 7° generazione che morivano appositamente per non farci studiare a casa, lotte all’ultimo sgracchio con cerbottane ricavate dalla BIC e circa 30 diverse tipologie di masticazione molesta di “ciunga”.

Tuttavia vi erano giornate in cui anche il “professò” esauriva le risorse, ovverosia i gessetti e, nell’attesa del signor Ciulla, il bidello che non si spiegava com’è che il professore La Barbera utilizzasse tutto sto gesso, dava sfoggio delle sue qualità da tenore urlando: «Picciotti basta che ora m’ atturrastivo!», distribuendo a campione assolutamente casuale, ma di solo maschi poiché era un gentiluomo, timpulate in zona “cozzale”.

Fu in uno di questi episodi che a Catalano venne l’illuminazione e, sentendosi tutto scaltro, se ne uscì con la frase: «Professò, ma un s’atturra solu a muddica pa pasta

U professò La Barbera per un attimo fu tentato di lanciare un gessetto, che nel frattempo era arrivato, ma alla fine decise che la strategia migliore era fare pi un cornuto un cornuto e mezzo e andò alla cattedra per una di quelle lezioni alternative di cui ancora oggi gli sono eternamente grato.

Atturrare, in effetti, deriverebbe dall’antico spagnolo ”torrar”, che oltre a indicare letteralmente il tostare un cibo, veniva usato anche per identificare il processo di fabbricazione del torrone.

Non me ne vogliano gli amici di Cremona, ma in realtà, a quanto pare, la nascita del torrone la si dovrebbe agli spagnoli durante la presenza araba.

In un anonimo testo ritrovato nelle zone di quella che fu l’Andalusia araba, il cui titolo è “Kitab al-tabu fi-l magrib wa-l-andais fi asr al-muwahhidin” - che già mi si inturciunia a lingua a pronuncialo - è presente la ricetta del “Mu’aqqad”, una sorta di antenato del torrone fatto da albumi, miele e mandorle tostate, probabilmente vicino parente della “cubbaita” (dall’arabo “quibbiat” ovvero mandorlato), il nostro tipico torrone siculo fatto da mandorle e miele caramellato.

Nel nuovo dizionario Siciliano-Italiano di Antonino Traina alla voce “atturrari” possiamo legger: "[…]porre le cose al fuoco sì che secchino e non ardano ne si cuociano". A conferma di tutto questo possiamo far derivare lo spagnolo “torrar” dal latino ”torreo” che indica il disseccamento al sole del cibi, metodo usatissimo qui da noi, ma anche in Spagna, per conservare i cibi come ad esempio le mandorle (ragione per cui la “cubbaita” è detta anche “mennulata” o “petra mennula”), i pomodori, i fichi o il famigerato “astratto”.
Usando il significato del termine in modo metaforico, così come solo i siciliani sanno fare, a tal punto di può “atturrare” anche una persona.

Quando un soggetto terzo accumincia a mettersi a mignatta, disturbare, infastidire gli diciamo che, appunto, “mi sta atturrando”, paragonando l’azione del seccare i cibi, a quella di camurriare le persone.

Ma se al primo avvertimento il molestatore atturrante non demorde, occorre essere più incisivi, espondendo l’evidenza che “na sta faciennu a turrune”, con ovvio riferimento al membro maschile che, a causa sua, si sta sbriciolando così come farebbe un pezzo di torrone ripetutamente colpito!

Tutto è collegato in questo meraviglioso mondo che è la terra di Trinacria!

Ma tornando all’“atturramento” culinario, sua maestà rimane idda, a muddicca atturrata, protagonista di molteplici piatti siculi.

La nascita di tale condimento è legata a una leggenda. Pare infatti che nel 976 d.C., durante le scorribande arabe, ad una donna apparve in sogno la Madonna, comunicandole che la prossima battaglia contro gli infedeli sarebbe stata vinta e donandole un ferretto per modellare la pasta necessaria a rifocillare i combattenti.

La donna, se da un lato si siddiò picchì avia a fare pasta per un fottìo di cristiani, dall’altro fu onorata di tale dono e, quando effettivamente la battaglia contro i Saraceni fu vinta, lei dovette "calarsi le corna" e preparare la pasta.

Una volta pronta però si rese conto che non aveva conza! C’avia a dari a pasta schitta? Prese allora del pane duro avanzato, lo sbriciolò e lo tostò a fuoco vivo con un po’ d’olio, cospargendolo poi sulla pasta come se fosse formaggio, motivo per cui a muddica atturrata è detta anche “cacio ri povereddi”.

Ma attenzione, non sia mai che facciate confusione tra atturrato e atturrunato! Provate a chiedere una bella birra atturrata, e l’oste vi guarderà come a dire «ma mi pigghi pu culu?».

A differenza di atturrato, atturrunato indica qualcosa di freddo, molto freddo, che va oltre il semplice “agghiacciato”. Idealmente “atturrunato” è qualcosa di talmente freddo (spesso birra o altra bevanda) da assumere la consistenza del torrone sbriciolato.

Provenienza simile ma significati apposti...cosi ca sulu in Sicilia ponnu succierire.
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