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In atelier con Emilio Angelini: tra Monelle pazze, Fossili Meccanici e Donne totemiche

L'artista palermitano crea le sue sculture letteralmente immerso tra le opere presenti nel laboratorio/vetrina/atelier di via Domenico Scinà a dieci passi dal Teatro Politeama

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 4 gennaio 2022

Monelle pazze, Barocchismi, Fossili Meccanici, Donne totemiche, sono queste alcune delle suggestive opere appartenenti a filoni tematici al tempo stesso personalissime invenzioni spaziali create dalla straordinaria capacità plastica di Emilio Angelini.

Scultore memore di insegnamenti testimoni di un'epoca altra e acquisiti sin dagli anni di frequentazione del Liceo Artistico, l'artista palermitano crea le sue sculture letteralmente immerso tra le opere presenti nel laboratorio/vetrina/atelier di via Domenico Scinà 217, a dieci passi dal Teatro Politeama in un’atmosfera da “Emporio fenicio” in cui chi vi accede ritrova echi singolari di un arcaismo che non attende semplicemente a rimandi formali ma rappresenta l'essenza stessa della ricerca portata avanti da Angelini negli ultimi quarant’anni di isolamento creativo.

Dai primi studi di via Sammartino e Cardillo, Angelini è passato a creare in questo scorcio di belle époque senza essere mai stato attratto dalle sinuosità floreali, accarezzando altresì allo stesso modo e con la stessa intensità concettuale le curve barocche e le robuste rotondità archeologiche puniche dei sarcofagi antropoidi della Cannita presenti al Salinas, con i quali dialogano in perenne rimando i volti ammiccanti e voluttuosi delle donne plasmate dalla argilla e spesso rese lucide dal bianco smaltato che non può che rimandare ancora a Serpotta.
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Potrebbe sembrare una ricerca artistica votata al passato ma è proprio l'opposto. «Per me – confessa l'artista – il lavoro è ricerca attorno alla materia e alle diverse potenzialità dalle materie offerte. Il mio arcaismo che mi riconduce spesso alle pitture rupestri, si rivolge al futuro, io sono dopo, i miei fossili meccanici sono proiettati ad esser scoperti da società del
futuro. Sono meccanici e non sono virtuali».

Tale condizione di denuncia attiva a sostenere il lavoro diretto a continui dialoghi con la materia fisica, attraversa soprattutto la ricerca artistica messa in mostra negli ultimi vent'anni, dalla prima mostra personale di Angelini al Museo delle Trame di Gibellina curata da Enzo Fiammetta e Maria Regginella con la presentazione di Ludovico Corrao nel
2000, alle recenti mostre curate da Francesco Piazza: Viaggio nel futuro arcaico al Galata Museo del mare di Genova nel 2017, e Frammenti di città, collettiva nella galleria palermitana Almareni nel 2020.

Ma come tutte le creazioni plasmate dalle sapienti mani degli scultori, l'arte creata da Angelini sente il bisogno di confronto diretto con la spazio, sia esso urbano e pubblico o privato e personale e così se già da tempo diverse sue opere dialogano con gli interni abitati da collezionisti privati, dal 2019 la sua Donna Miniera alta circa 2 metri impera a Cianciana (provincia di Agrigento), davanti all'ex convento dei frati Francescani in Largo Convento, su commissione lungimirante dell'architetto Paolo Sanzeri. Un'opera scultoria che rappresenta un omaggio alle donne che tanto hanno sofferto nei lavori di miniera.

Linguaggio personale, suggestivo e coerente quello dell'artista palermitano, talmente radicato nell'immaginario collettivo da rendere ogni opera di Angelini riconoscibile ancor prima di doverne leggere la firma; un linguaggio singolare ed eminentemente arcaico capace di rendersi accattivante allo sguardo quanto piacevole al contatto fisico; un linguaggio che non ha bisogno d'esser studiato o raccontato perché cammina già con le opere stesse, seducente e prodigo nel dialogo con i fruitori.

Da tempo poi, la ricerca dello scultore si è spostata sul territorio della pittura camminando volutamente nel recinto della scrittura asemica: una scrittura senza codici, in cui i segni si sostituiscono al significato delle singole parole, in cui il messaggio non è più univoco ma muta col mutare dello sguardo. Anche Angelini, alla maniera concettuale presente nella ricerca di Guido Baragli, appare più prossimo alla poesia che all'arte.

Vi è infatti nelle rispettive poetiche artistiche di entrambi un tale grado di astrazione “preliminare” al fare artistico “produttivo”, tale da rendere ogni singola opera un costrutto intellettuale che si serve della pratica artistica per costruire valore e memoria e non il tanto vituperato atto contrario. Opere che trasmettono non solo percettivamente ma soprattutto costituiscono chiari messaggi culturali ancorati a ricerche intime e uniche, capaci di stimolare domande più che risposte, adesione più che irrequietezza.

Senza confini e recinti allora, la poetica plastica di Angelini che da anni condivide con la compagna Piera Gramasi l'esperienza totalizzante del fare artistico, si presenta ai nostri occhi per lasciare segni congrui alle nostre aspettative di benessere sensoriale, prodigandosi a proiettare il nostro stupore verso un futuro che non può dimenticare le proprie radici culturali millenarie.

In bilico, le opere di Angelini, tra tradizione e innovazione, sono ogni giorno disposte a dialogare con curiosi e studiosi, proprio lì a pochi passi dal Teatro di Damiani Almejda, pronte a solleticare e suggestionare il nostro più arcaico stupore.
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