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Il tesoro nascosto in Sicilia: dov'è la fiera che (di notte) regala soldi e fa arricchire i poveri

Una storia d'altri tempi: leggenda vuole che nel "Paese delle robbe", ogni 100 anni, si svolge una fiera straordinaria dove tutto ciò che si compra si trasforma in oro

Erika Diliberto
Giornalista
  • 15 settembre 2024

Borgo di Milena vista panoramica

Tutti ma proprio tutti, anche una sola volta nella nostra vita, abbiamo ascoltato dai racconti dei nostri nonni o genitori le storie di un tesoro nascosto in questa o in quella contrada, in una grotta sperduta, o in qualsiasi luogo remoto insomma e solo ai più meritevoli ne sarebbe dato di entrarne in possesso.

Le leggende, le storie d’altri tempi in Sicilia, hanno da sempre affascinato grandi e piccoli e anche oggi destano lo stesso interesse di allora. Ma da dove arrivano questi racconti e chi per prima ne ha gettato le basi delle trame che sono giunte a noi fino ad oggi?

La Sicilia, isola dal fascino millenario, è da sempre stata un crocevia di civiltà e culture che, nel corso dei secoli, hanno intrecciato le loro storie con il territorio. Con buona probabilità questo ricco intreccio di influenze ha dato origine a numerose leggende, alcune delle quali hanno come protagonista appunto il mito del “tesoro nascosto”.

Avventure fantastiche che non solo seducono da tempi immemori, ma riflettono anche il desiderio universale di trovare una fortuna celata, un desiderio alimentato dalla bellezza e dal mistero che avvolgono questa terra. Racconti magici, fortune sepolte in luoghi sconosciuti, custodite da spiriti, streghe o creature mitologiche che hanno trovato terreno fertile laddove la miseria e la povertà la facevano da padrone.
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Il desiderio di riscatto della povera gente si è spesso legato, infatti, alle tante, numerose leggende che circolavano sul territorio.

Proprio in queste ultime, tali ricchezze diventarono simboli di una “redenzione” tanto desiderata quanto irraggiungibile, offrendo un barlume di speranza in una vita altrimenti segnata dalla fatica e dall'incertezza. La vita dei contadini e dei lavoratori siciliani, soprattutto tra il XIX e il XX secolo, era spesso caratterizzata da un quotidiano fatto di lavoro duro, salari miseri e poche prospettive di miglioramento.

In questo triste contesto, i racconti e le fiabe, rappresentavano una sorta di fuga dalla realtà, un modo per evadere dalle difficoltà quotidiane e immaginare un futuro diverso, fatto di ricchezza e prosperità. Non tutte le leggende, però, avevano un lieto fine. Molte di queste storie parlavano di tesori maledetti, che portavano sfortuna o morte a chiunque tentasse di impossessarsene senza meritarlo.

In queste narrazioni, il desiderio di ricchezza era spesso accompagnato da una morale: la ricchezza facile, ottenuta senza sacrificio, poteva condurre solo alla rovina. La povertà, in questo senso, era vista come una prova da superare con dignità, e il vero tesoro non era tanto la ricchezza materiale, quanto la salvezza dell’anima. Molte di queste leggende sono arrivate a noi quasi integre come ad esempio il tesoro di Colapesce o quello di Donnafugata e ancora quello della grotta di Caltabellotta e di Monte Pellegrino a Palermo.

Le narrazioni in tal senso sono fantasiose ed a seconda del luogo dove nascono, cambiano di volta in volta nell'esposizione della trama, mantenendo intatto quel desiderio di riscatto ancora oggi tanto caro un po’ a noi tutti.

Nel Nisseno, ed in particolar modo nel tanto decantato “paese delle robbe”, Milena, lo storico locale dell’epoca, nonché apprezzato e stimato insegnante Arturo Petix, raccolse e pubblicò un libro sulle leggende del suo territorio. Fra queste, la più affascinante fra tutte è senza ombra di dubbio: La Fiera di Mezzanotte di Musa.

«La leggenda narra che ogni cento anni, secondo altri ogni sette anni, presso la fontana di Musa a Milena, ha luogo la grande fiera degli spiriti. Quest’ultimi convergono da ogni parte della Valle e danno vita alla fiera stessa poco prima della mezzanotte. La fiera osservata dall'esterno dura per un tempo abbastanza breve, ma per chi dovesse trovarvisi dentro è come se il tempo si fermasse.

La valle di Musa si illumina a giorno e in ogni parte compaiono baracche di ogni sorta, venditori ambulanti, che vanno girando per la fiera, giocolieri di ogni specie che rallegrano la festa, gente che gira entusiasta per il ben di Dio che vede esposto in ogni dove. Ai margini della vallata, mandrie di buoi e di pecore, pastori e bovari pronti a vendere, che discutono, gridano, si scaldano ed elogiano la loro merce come del resto fanno tutti i mercanti.

Se una persona dovesse trovarsi in mezzo alla fiera, per un puro caso, con poco denaro potrebbe comprare qualsiasi cosa gli aggrada, per avere alla fine, la sorpresa di vedere trasformata la merce comprata in oro zecchino! Trascorso il tempo della fiera, tutte le luci si spengono, cessa ogni rumore e nella valle torna il profondo silenzio della notte, mentre gli spiriti si avviano lentamente presso la vecchia strada che porta alla fattoria di San Martino e di là, attraverso un largo viottolo che porta all'isolato Liuzza, raggiungono una specie di terrazzo naturale al di sopra del piano di Santa Maria dove entrano in una grotta seminascosta da un vecchio fico.

Si racconta di un contadino che era venuto a Milocca in cerca di lavoro ed era andato ad abitare alla Robba Farcuna (Villaggio Cavour). La sera, tornato dal lavoro, si era informato dove poteva andare ad attingere l'acqua e gli era stato detto che dietro la collinetta a nord della Robba era la valle di Musa.

Consumata la povera cena, preparò l'occorrente per il lavoro del giorno seguente, poi andò nella stalla, sellò la mula, caricò le brocche e partì per Musa. Quando ebbe raggiunto la portella di Musa, con sua grande sorpresa vide tutta la valle illuminata a festa, la trazzera ingombrata di baracche con mercanzie di ogni sorta, gente vestita con le forge più strane girare curiosando per la fiera e laggiù presso la fontana, giocolieri e cantastorie attorniati da gente che oziava riposandosi del girovagare per la fiera.

Scendendo verso la fontana, si vedeva, offerta da ogni parte, della merce che avrebbe ben volentieri comprato se avesse avuto i soldi, merce molto buona a prezzi veramente eccezionali. Scendeva distrattamente perché sapeva di non possedere uno spicciolo e se ne rammaricava.

Giù, all'incrocio della trazzera si fermò un po' davanti ad un contadino che con due "gerle" piene di arance profumate, lo invitava a comprare; le arance erano veramente belle e gli sarebbe piaciuto comprarle, ma sapeva di non avere soldi. Il venditore insisteva ed al suo ennesimo diniego questi gli chiese semmai non avesse soldi in tasca. Vergognandosi della sua povertà, questi dovette dire che era proprio così. Il venditore, lo guardò bene e lo rassicurò che se avesse rovistato bene nelle sue tasche avrebbe potuto trovarli.

Il nostro contadino cominciò a rovistare nelle tasche e con una grande sorpresa in fondo ad una tasca tra le pieghe della fodera toccò una monetina. Spinse con l'altra mano e ne tirò fuori un carlino, quasi a volere dire: cosa potresti darmi con questo spicciolo! Lo mostrò al venditore, questi lo prese come se si fosse trattato di un oncia e allungate le mani sulla gerla prese tra le più belle e le più mature una decina di arance e gliele diede.

Il contadino meravigliato di tanta generosità abbozzò un sorriso di saluto e proseguì verso la fontana. Dopo avere riempito le brocche perse la via del ritorno alla Robba dove abitava. Arrivato alla portella, improvvisamente le luci si spensero come se tutta la fiera fosse stata inghiottita dalla notte buia.

Per un momento pensò di aver sognato, e stesa la mano dentro la saccoccia vide che le arance c'erano davvero. Per scacciare dalla mente questo strano fatto, ne prese una e cominciò a sbucciarla. Stava per mangiarla, quando pensò che fosse meglio conservarla come companatico dato che al lavoro non aveva che pane. Rimise l'arancia nella saccoccia e rientrò a casa.

Riposto le brocche, portò la mula alla stalla ed andò a dormire. L'indomani si alzò di buon mattino, mise il pane nella saccoccia di lavoro e mentre stava prendendo l'arancia sbucciata la sera precedente, per sorpresa sentì le arance dure come pietre, ne prese una e si accorse che era molto pesanti, la tirò fuori e, meraviglia: era d'oro! Subito le tirò tutte e le pose sul tavolo.

Il riflesso del luccichio dell'oro si rifletteva nei suoi occhi stupefatti. Si ricordò delle bucce che aveva gettato dietro il muretto; chiuse la porta di casa e andò a cercarle. Le trovò grazie ai primi raggi del sole.

Da allora, però, nessun altro ha avuto la fortuna di vedere la fiera di Musa per quanto molti ne abbiano sempre parlato e forse desiderato una simile avventura». ( tratto dal libro: "Leggende di Milocca").

Quanto raccontato da Petix, nel suo libro di fiabe e leggende locali ha ancora oggi un fascino che non vuol sentirne di affievolirsi. Non sono pochi, infatti, i giovani di Milena che recandosi sul luogo tributato dallo storico non si guardino intorno, cercando le luci dell’antica Fiera di Musa.

Le leggende sui tesori nascosti hanno offerto alla povera gente siciliana non solo un mezzo per sognare e sperare, ma anche un modo per riflettere sulle proprie condizioni e sulle possibilità di riscatto. Questi racconti, tramandati attraverso i secoli, incarnano il desiderio di una vita migliore, ma anche la consapevolezza delle difficoltà e dei pericoli che tale ricerca comporta.

Nella Sicilia d’altri tempi, dove la povertà era una realtà diffusa e la mobilità sociale quasi inesistente, queste leggende rappresentavano un filo di speranza, una possibilità di riscatto che, seppur lontana e spesso irraggiungibile, alimentava il sogno di un futuro diverso.

Anche oggi, queste storie continuano a vivere nella memoria collettiva, ricordandoci che il desiderio di riscatto è una forza universale, capace di attraversare i confini del tempo e dello spazio.
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