ARTE E ARCHITETTURA
Il suo capolavoro ispirò "La Zolfara": chi fu Tomaselli, maestro dimenticato di Guttuso
Originario di Bagheria, come il suo ben più noto allievo Renato Guttuso, seppe scuotere le coscienze con il suo verismo pittorico. Vi raccontiamo la sua storia
Da sinistra l'opera "la Zolfara" di Renato Guttuso e "I Carusi" di Onofrio Tomaselli
Originario di Bagheria, come il suo ben più noto allievo Renato Guttuso, seppe scuotere le coscienze con il suo verismo pittorico, in un momento in cui, anche nelle arti figurative, si avvertiva l’esigenza di far emergere le ingiustizie sociali.
Sarà infatti con la grande tela "I Carusi", eseguita nel 1905 a seguito di un soggiorno presso le miniere di zolfo del barone La Lumia, che Tomaselli passerà alla storia come uno dei maggiori esponenti della pittura siciliana del primo Novecento.
Con il suo verismo peculiare, vicino al Morelli (Scuola Napoletana) ma a tratti macchiaiolo, seppe gettare una luce sulla spaventosa condizione di sfruttamento dei “carusi” nelle zolfare siciliane. Fu proprio a causa di questo fenomeno che il termine siciliano "carusi" venne associato a quello di bambini provenienti da famiglie poverissime, sfruttati senza pietà e schiavizzati da un sistema feudale che fingeva di non vederli.
Nei primi del Novecento le condizioni di schiavismo cui erano sottoposti questi bambini - maltrattamenti, sodomie, deformazioni corporee e incidenti mortali - erano già note.
Infatti nel 1876 era stata fatta un’inchiesta parlamentare alla quale si era ispirato Giovanni Verga per la novella "Rosso Malpelo", pubblicata per la prima volta nel 1878. Successivamente Antonio Ugo, coevo del Tomaselli, aveva scolpito “U Caruso” nel 1895.
Il Tomaselli non fece dunque mancare il suo contributo alla questione, forse anche per tenere viva l’attenzione nell’opinione pubblica. Con la sua grande tela di ispirazione verista egli descrisse realisticamente il lento incedere dei “carusi”, scandito dalle loro ombre proiettate sul terreno assolato; mentre ricurvi sotto il peso delle pietre e della stanchezza sbucano fuori dal buio di una miniera, non si accorgono che uno di loro si è accasciato stremato.
L’opera fu molto apprezzata dai contemporanei e anche al di fuori della Sicilia, infatti fu esposta nella sezione “Arte Sociale” dell’Esposizione Internazionale di Milano del 1906, quella detta del Sempione per via del nuovo valico ferroviario. Le fatiche e le umiliazioni dei "carusi" si allenteranno solo sul finire del secondo conflitto mondiale, quando i bambini cominceranno ad essere sostituiti dagli asini.
Negli anni ’50 questa realtà ottocentesca è ancora viva in Sicilia. È allora che Renato Guttuso, anch’egli persuaso che l’arte debba svolgere una funzione di denuncia delle ingiustizie sociali, ispirandosi all’opera del suo maestro, esegue "La Zolfara" (1953).
A differenza del Tomaselli, Guttuso si concentra su una luce gialla ed espressionista che, squarciando il buio della miniera di zolfo, sembra urlare la condizione nella quale, stremati e a torso nudo, sono costretti a lavorare gli operai.
Solamente un bambino è presente, posizionato lateralmente ma in primo piano è certamente un omaggio al suo maestro Onofrio Tomaselli. “(…) vorrei essere appassionato e semplice, audace e non esagerato. Vorrei arrivare alla totale libertà in arte, libertà che come nella vita consiste nella verità.” (Renato Guttuso, 1957)
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