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Il nome inganna ma è uno dei gioielli di Catania: la fontana (e il mito) del "Ratto di Proserpina"

Si dice che il suo scultore, Giulio Moschetti, fosse solito andare in giro per le vie cittadine con un cappello a cencio, una giacca col colletto rialzato ed una cravatta

  • 7 agosto 2021

Fontana del Ratto di Prosperina a Catania

Nei pressi della stazione ferroviaria di Catania, precisamente in piazza Giovanni XXIII, ci si imbatte in un’incantevole fontana che troneggia vicino al tratto viario. Si tratta dell’opera scultorea raffigurante il noto “Ratto di Proserpina”, racconto
mitologico tanto decantato e rinomato nell’immaginario collettivo.

Realizzata da Giulio Moschetti nel 1904, le fonti tramandano che l’incarico gli venne commissionato per accrescere il prestigio artistico della ferrovia del capoluogo etneo, resa accessibile a partire dal 1867 e, fino a quel momento, spoglia di accattivanti bellezze ornamentali. Sappiamo che lo scultore, di origine marchigiana, si trasferì a Catania nel 1878 contribuendo, nel corso della sua vita, alla rinascita monumentale della città in diverse aree del perimetro urbano.

Si dice, inoltre, che era solito andare in giro per le vie cittadine con un cappello a cencio, una giacca col colletto rialzato ed una cravatta. Ricordato per il suo smisurato talento artistico, Moschetti volle impreziosire il perimetro adiacente al tratto ferroviario di un’ opera che riproducesse un episodio mitologico in grado, al contempo, di esprimere la vocazione del luogo presso cui era destinata.
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La vicenda narra che Proserpina, figlia della dea Cerere, sia stata una fanciulla di ammaliante bellezza. Un giorno, mentre si affaccendava a raccogliere dei fiori sulle sponde del lago di Pergusa, sito nei pressi di Enna, venne adocchiata da Plutone, dio degli inferi, e improvvisamente afferrata da lui.

Malgrado Proserpina avesse tentato di opporre resistenza, l’impeto di Plutone, fortemente desideroso di possederla, non le concesse alcuna via di fuga trascinandola tra urla e strida nel regno dei morti. Il grido d’aiuto di Proserpina giunse , però, alle orecchie della madre che non esitò a mettersi subito alla ricerca della propria figlia, inaspettatamente rapita. Dopo aver vagato per nove giorni in ogni parte della Grecia nella vana speranza di ritrovarla, venne a sapere da Elio che era stata portata via da Plutone.

In preda alla disperazione, Cerere, divinità legata alla maternità e fertilità dei suoli, alterò i sani equilibri della natura che garantivano sussistenza alimentare a tutte le popolazioni. In breve tempo le risorse vitali sulla Terra cominciarono ad appassire rovinosamente, provocando innumerevoli carestie che condannarono migliaia di uomini alla fame e alla miseria.

Giove, preoccupato delle sorti dell’umanità, intimò a Plutone di liberare Proserpina. Ciononostante si giunse ad un compromesso che impose una paritetica condivisione della giovane fanciulla, costretta a vivere sei mesi con la madre e altrettanti mesi con il dio degli inferi.

Questo aneddoto è stato, dunque, magistralmente immortalato nel cemento da Moschetti, ritenendolo fortemente adeguato per donare a quello scorcio cittadino una perla d’arte capace di penetrare nell’animo di ogni passante. Fino ad oggi, difatti, non sono pochi coloro i quali rimangono incantati di fronte a questo scenario artistico- monumentale, inquadrato da un possente Plutone colto nell’atto di rapire con il suo cocchio la propria amata.

Le braccia del bramoso dio afferrano con forza i gracili fianchi della fanciulla indifesa, che, in preda allo spavento, si dimena bruscamente caricando la scena di un’intensa drammaticità. Ai piedi delle statue, invece, si ergono delle sirene e quattro cavalli marini, che, del tutto imbizzarriti, si innalzano verso i due protagonisti imprimendo profondo realismo e dinamismo. Di pregevole fattur pure la grande vasca, di dimensioni superiori al relativo gruppo di sculture, che risulta essere caratterizzata da una forma irregolare ed una serie di sporgenze dalle quali si può ammirare un suggestivo gioco d’acqua contornato da appariscenti fiotti zampilli.

Il tema scelto dallo scultore marchigiano, a giudizio di molti studiosi, è in perfetta sintonia con il luogo di transito ferroviario, segnato da spostamenti continui e giornalieri. L’alternanza costante di presenza e assenza che caratterizzava la stazione, dunque, secondo il Moschetti, ben si fondeva con il mito di Proserpina, a sua volta simboleggiante il perpetuo avvicendarsi delle stagioni.

Nella simbologia, non a caso, il ritorno di Proserpina sulla “Madre Terra” corrisponde alla rigenerazione della natura che rinverdisce prati, boschi e campi con innumerevoli specie di piante, alberi e fiori. Viceversa, quando Proserpina discende negli inferi, ecco che cadono le foglie, incombe il buio e sfiorisce ogni forma di bellezza. Questa ambivalenza non fa altro che rendere la figura del personaggio mitico a metà tra lo splendore della natura e l’oscurità delle tenebre.
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