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Il mistero della maestosa scultura di Gagini: dalla Cattedrale di Palermo finì a Misilmeri

Al centro della vicenda un bassorilievo realizzato per fare parte della grande Tribuna marmorea che rivestiva l'abside della Cattedrale di Palermo

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 20 maggio 2024

La chiesa delle "Anime Sante" a Misilmeri

Da sempre, la Crocifissione è stato uno dei temi "prediletti" dagli artisti di ogni tempo. Fermare l'attimo in cui Cristo "rimette al Padre lo Spirito" ha rappresentato una sfida di grande valore umano e artistico.

Su tela, tavola, su marmo oppure affrescata, nelle molteplici chiese del mondo, la scena dell'ultimo momento terreno del Cristo, è stata sempre carica di un pathos e di una drammaticità, senza paragoni. Rendere visibile l'Invisibile è la sfida dell'Arte.

E la Crocifissione, nel suo drammatico climax di sofferenza, mista a pietà, fonde bene le due cose, essendo il "passaggio" necessario per la verticale dell'Infinito e del Mistero, quella della Resurrezione. Una storia, particolarmente ricca di suggestione e fascino, si intreccia alla più importante "Crocifissione" conservata a Misilmeri.

Al centro della vicenda c’è un bassorilievo, originariamente concepito e realizzato per fare parte della grande Tribuna marmorea che rivestiva l'abside della Cattedrale di Palermo, la più importante e imponente opera di scultura realizzata dal celebre maestro siciliano, Antonello Gagini.
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Furono necessari circa sessant'anni per condurla a termine, dal 1510 al 1570, e diversi cambi di mano nella direzione dei lavori: ma quando fu scoperta, dovette apparire al pubblico dell'epoca come un'opera stupefacente nelle dimensioni e innovativa, quasi sperimentale, nel dilatare a scena teatrale la sintesi tutta rinascimentale di scultura e architettura.

Di quella tribuna oggi non sappiamo molto: dell'aspetto originario prima della dismissione, avvenuta nell' ultimo quarto del Settecento in occasione del "grande restauro" in chiave neoclassica, operato prima dall'Architetto di corte Ferdinando Fuga, sostenuto dal Re Borbone Carlo III e voluto dall'Arcivescovo Filangeri, e poi da Venanzio Marvuglia, rimane giusto una incisione, oltre ad alcune descrizioni nelle fonti locali; sufficienti per conoscerne le proporzioni.

Ma qualcosa si è salvato, perché l’arte, in fondo è sempre portatrice di bellezza.

La "Via Crucis" del Gagini, rimasta ai margini del nuovo cantiere della cattedrale, venne anch’essa rimossa, ma alcune stazioni si salvarono, tra cui quella più emblematica, la dodicesima, raffigurante la Crocifissione.

Secondo un racconto popolare tramandato nei secoli, l’opera venne trasferita presso la Chiesa delle Anime Sante di Misilmeri (fondata nel 1704 da Don Filippo Catania), ubicata nell’odierna Piazza Comitato 1860 e chiamata così per l’omonima congregazione che da sempre ne ha curato il culto, conosciuta anche con il nome di Chiesa di Sant’Antonio da Padova, per essere collocata come paliotto presso l’altare marmoreo.

Nel bassorilievo, la scena è dominata dal Cristo crocifisso, affiancato alla sua destra dal buon ladrone e alla sua sinistra dal ladrone impenitente, i loro corpi nudi assumono pose drammaticamente scomposte, a differenza di Gesù le loro mani infatti sono legate in alto su dei tronchi. La croce è piantata sul monte Calvario, sullo sfondo si intravedono le mura di Gerusalemme.

Maria Maddalena stringe tra le braccia la croce con accanto Maria, San Giovanni e gli altri apostoli si rivolgono verso Cristo con disperazione e sgomento, mentre le pie donne soffrono per il dramma che si è compiuto.

Sul lato destro della Croce, come a marcare invece un atteggiamento contrario alla compassione, una fila di cavalieri e soldati con le lance intenti ad osservare e sbeffeggiare, mentre un centurione a cavallo irrompe la scena. Nessuna testimonianza d’archivio o bolla attesta con esattezza il tracciamento del passaggio della Crocifissione dalla Cattedrale di Palermo a Misilmeri, com’era consuetudine nel passato per lo scambio o spostamento di opere.

Chi o perché abbia portato l’opera del grande scultore siciliano a Misilmeri resta un mistero celato, rimane probabile l’ipotesi che venne donata tra il 1765 e il 1824 a Don Angelo Fiduccia-Catania, beneficiario nonché cappelliere della Chiesa delle Anime Sante.

A noi non rimane che ammirare questo piccolo scrigno di bellezza e valore artistico, che oltre a risiedere in uno dei luoghi più caratteristici del paese, rappresenta per la comunità un patrimonio da salvaguardare e una sfida turistica da rilanciare.
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