AMARCORD
Il mistero del "Titanic italiano": il relitto scoperto (dopo 70 anni) nei fondali di Sicilia
Come per il transatlantico britannico, la tragedia dell'Ancona è in parte imputabile al numero insufficiente delle scialuppe. Erano 446 i passeggeri diretti a New York
Piroscafo Ancona
Una Spy story della Prima Guerra Mondiale che ha coinvolto le cancellerie di Washington, Roma, Berlino, Vienna, cominciata sabato 6 novembre 1915 alle 11 e tre quarti, quando l'«Ancona» - un gigante del mare lungo 147 metri e con una stazza di 8200 tonnellate - parte da Napoli con 316 persone a bordo e attracca a Messina, dove ne imbarca altre 130.
In tutto 446 passeggeri diretti a New York, in gran parte emigranti, che si aggiungono ai 163 componenti dell'equipaggio.
Dopo l’imbarco di passeggeri e mercanzie, reso lento dalla situazione disastrosa del porto dopo il terremoto del 1908, il piroscafo diresse la prua verso il largo a luci spente. Il capitano Massardo, per non propagare allarmismi, spiegò che era una precauzione ma che in quella zona non avrebbero incontrato navi nemiche o un sommergibile austro ungarico.
Il 7 mattina l’Ancona corresse la rotta al traverso di Trapani per dirigersi verso Gibilterra. Il tempo era discreto e il mare calmo, una densa foschia circondava il piroscafo che proseguiva a 16 nodi, fino a quando intorno alle 12.30, al largo di Capo Carbonara, a circa 90 miglia dall’isola di Marettimo, una forte scossa unita ad un’esplosione proveniente dalla fiancata, fece inclinare di botto la nave.
Era in atto un vero e proprio attacco militare, portato avanti da un sommergibile U-38 in agguato a ponente della Sicilia, comandato dal tedesco Max Valentiner, che solcava le acque sotto falsa copertura austro-ungarica, e non andava troppo per il sottile tra navi civili e navi da guerra. Lo stesso che il 30 dicembre senza alcun preavviso silurava la nave di linea inglese «Persia», salpata da Londra per Bombay, con a bordo il tesoro di un maraja.
Il capitano Massardo mise in panne la sua nave, ma non fu sufficiente, un quarto proiettile, forse un siluro, colpì a poppa sfondando timone ed eliche. La nave fortemente sbandata, tra poco si sarebbe cappottata.
Il capitano capendo la gravità della situazione ordinò l’immediato abbandono della nave. Chi poteva ancora muoversi doveva lanciarsi in mare.
Come per il Titanic la tragedia dell’«Ancona» è in parte imputabile al numero insufficiente delle scialuppe di salvataggio.
Le fasi dell’affondamento furono drammatiche. Alcune scialuppe furono lanciate in mare troppo presto, con il piroscafo ancora in navigazione, e furono sommerse dalle onde; altre si impigliarono nei cavi d’acciaio di bordo. Il panico fece il resto.
I passeggeri morivano annegati uno dopo l’altro mentre il sommergibile continuava ad avanzare e cannoneggiare. Tutti coloro che non riuscirono ad abbandonare la nave morirono. Alla fine il numero delle vittime accertate fu di 208 fra cui donne e bambini e nove cittadini statunitensi.
Ci furono anche tredici sventurati, giunti in una scialuppa e morti successivamente fra gli scogli di Marettimo a Cala Galera dopo essere stati sballottati per 10 giorni tra le onde. I sopravvissuti furono recuperati di notte dal francese «Pluton» o approdarono a Tunisi dopo 36 ore di remi. I naufraghi furono riportati a Napoli, sede della commissione d’indagine.
Il motivo di tutto stava in ciò che c’era a bordo, delicato non solo per il suo valore ma per le conseguenze politiche. Si aprì un caso diplomatico tra gli Usa (nel disastro sono morti nove cittadini americani) e Vienna poiché il sottomarino che silurò l’«Ancona» issava bandiera austroungarica, ma in realtà era tedesco.
Ma l’intrigo internazionale andava ben oltre, tra accuse e giustificazioni, dopo un lungo strascico diplomatico tra Washington e Berlino, mentre il Governo italiano taceva, la questione terminava con l’entrata in guerra degli americani e la dichiarazione italiana verso i tedeschi. Solo dopo lunghe ricerche si comprese che l’Italia non avrebbe potuto annunciare la perdita dei bauli, né l’America poteva fare altrettanto, perché coinvolta.
Il Cavalier Spiaccacchi, che non è citato nell'elenco dei dispersi, ma che secondo il comandante della nave Pietro Massardo, morì nel disastro, era in missione “segreta” per conto del suo Ministero diretto a San Francisco a saldare la presenza italiana all’Expo con quattro milioni di lire in contanti, l’equivalente oggi di 50 milioni di euro.
Ipotesi più recenti e maggiormente convincenti sostengono al contrario che le 133.000 sovrane rappresentavano una tranche di un colossale contrabbando di cavalli, muli, foraggio, armi e munizioni che l'Italia – entrata in guerra da sei mesi contro l'Austria-Ungheria – avrebbe acquistato dagli Stati Uniti per «girarlo», forse, in parte alla Francia.
Una storia fatta di mezze verità, intrighi e segreti che avrebbe potuto anche cambiare il corso della Prima Guerra Mondiale, taciuta anche dal comandante dell'Ancona, Pietro Massardo, che non rivelò mai il punto preciso dell'affondamento, lasciando per settant'anni il relitto indisturbato.
Lo ritrovò nel 1985, integro e in buone condizioni, a 471 metri di profondità, Henri Delauze, il più grande cacciatore di relitti del dopoguerra. Da allora la caccia al tesoro e alla verità è diventata un'autentica spy story, col suo carico di misteri e sangue sepolti al largo della Sicilia.
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