STORIE
"Il Giorno della Civetta": 61 anni fa la prima uscita e (quasi) tutto è rimasto come allora
Il libro ebbe un grandissimo successo, diventando prima una commedia poi un film di Damiano Damiani. Ricordiamo il Romanzo, "per non dimenticare"
Una scena del film di Damiani Il giorno della Civetta tratto dall'omonimo libro di Sciascia
La trama de Il giorno della civetta, ruota intorno a un triplice omicidio: quello di un piccolo imprenditore che rifiuta la protezione, dove questa è da intendersi non semplice “guardania” ma in una rete informazioni preziose e controllo degli operai, la morte di un informatore e quella di un potatore capitato al momento sbagliato nel posto sbagliato.
Le indagini affidate a Bellodi, comandante venuto dal nord “comunista e partigiano”, sono puntuali precise capaci di mettere sotto scacco anche la proverbiale capacità elusiva dei mafiosi. Le indagini spedite porteranno all’arresto dei responsabili, e all’incriminazione del mandante, un “Don” locale, ben addentrato nei giochi di potere della politica romana. Nonostante la puntualità ed esattezza delle investigazioni, cadranno tutte le accuse e gli inquirenti saranno trasferiti.
Il libro ebbe un grandissimo successo, diventando prima una commedia poi un film di Damiano Damiani, girato a Partinico, con Franco Nero e Claudia Cardinale. Fu una presa di coscienza o come lo definì Sciascia un “per esempio” del fenomeno, che solo nel 1982 diventerà un reato: Associazione per delinquere di tipo mafioso.
Ma a chi e cosa ispirò Sciascia nella costruzione dei suoi personaggi? Per quanto riguarda la morte del potatore, Paolo Nicolosi, l’autore disse che s’ispirò all’uccisione del Sindacalista Accursio Miraglia avvenuta a Sciacca nel 1947. Miraglia fu il primo a creare e dirigere la Camera del Lavoro Siciliana, uomo dotato di grande intelligenza, dopo il diploma, fu trasferito a Milano, lì aderì al movimento anarchico, ideali che resero incompatibili il suo lavoro in banca, procurandogli inoltre durante il fascismo continui arresti. Tornato nella cittadina saccense, sarà ucciso dalla mafia.
Persona amatissima, in città era definito un "cattocomunista", come ricorda il figlio, che all’epoca della morte del padre aveva solo 3 anni. Se la mafia fu il responsabile materiale dell’omicidio, dietro, vi fu ben altro, non è un caso che gli imputati per questa morte, furono gli stessi di “ Portella della Ginestra”.
Gli assassini benché subito individuati, e reo confessi, la confessione fu corredata da un certificato medico dove si dichiarava che gli imputati non avevano subito alcuna pressione, furono scagionati. Fu sostenuto che le confessioni furono estorte tramite tortura, e furono forniti alibi agli indiziati. Le forze dell’ordine saranno incriminate e poi assolte.
Nei tratti gentili onesti del potatore Nicolosi, grande lavoratore, riconosciamo Il sindacalista, ma soprattutto è nello svolgersi delle indagini che troviamo lo stesso meccanismo perverso che porterà alla scarcerazione dei responsabili, e nel caso del romanzo al trasferimento degli inquirenti.
Sul Comandante Bellodi è sempre Sciascia che ci dice “… Non solo per ’Il giorno della civetta’, ma per ogni mio racconto in cui c’è il personaggio di un investigatore, la figura e gli intendimenti di Renato Candida, la sua esperienza, il suo agire, più o meno vagamente mi si sono presentate alla memoria, all’immaginazione …” Sciascia conosce Candida, Comandante della Stazione dei Carabinieri d' Agrigento, attraverso la recensione di un suo libro “ Questa Mafia”, nel 1956.
Diventati amici, Sciascia poté costatare che oltre a un profondo antifascismo Candida, alto ufficiale dell’arma, fu il primo a non avere dubbi sull’esistenza della mafia “ allora ufficialmente negata”. Arrivato da Torino, riuscì a capire i meccanismi, tanto che in meno di un anno, riuscì ad avviare minuziose indagini sul fenomeno. Nonostante queste grandi capacità, un anno dopo l’uscita del libro, Candida fu trasferito alla Scuola Allievi Carabinieri a Torino, ed è qui che si incontreranno i due, un ultima volta nel 1988. Poco dopo il Generale morirà, dimenticato da tutti ma non dall’autore.
“Il Giorno della Civetta” oggi è inserito nelle letture dell’ultimo anno delle superiori suscitando interesse e curiosità, seppur considerato dagli studenti un fenomeno relegato a un periodo particolare della nostra storia, un aspetto a volte folkloristico e tipicamente siciliano. Difficile far comprendere che proprio nell’attuale stato silente della mafia, senza aspetti clamorosi, possiamo trovare il consolidamento del potere e la sua inattaccabilità.
Riguardo alla famosa “tirata “, come la definì il fotografo Scianna amico di Sciascia, mi riferisco al monologo di Don Mariano con la sua Antropologia Mafiosa che divideva gli uomini in classe di appartenenza, c’è da dire che il Mostro Mafioso diventava un Super Eroe Cattivo (così caro alla letteratura e filmografia dei nostri giorni). Il fotografo ricorderà lo sguardo desolato dell’Amico, quando il pubblico esploderà in un fragoroso applauso di esaltazione, nell’interpretazione di Turi Ferro.
Non era questo che l’autore desiderava rimanesse impresso nella memoria collettiva, per tutta la vita cercò di raccontare la mafia come espressione della classe borghese “che si sviluppa non nel vuoto dello Stato ma dentro. Una borghesia parassitaria che non imprende, ma sfrutta”.
La mafia, se una volta agiva in segreto nelle tenebre come una civetta, nel tempo ha raggiunto un potere tale da potere agire alla luce del giorno, da qui “l’esempio” del libro, ancora attuale dopo 61 anni.
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