CULTURA
Il gioiello che custodisce un patrimonio che tutti ci invidiano: è in un bel borgo in Sicilia
È il perfetto biglietto da visita di un Parco in una delle comunità meglio integrate con la natura (talvolta) selvaggia che ricopre le montagne dell'Isola
Castelbuono dall'alto (foto di Carmelo Di Salvo)
A risultare una sorta di piccolo capoluogo di questa catena montuosa c’è la cittadina di Castelbuono, famosa sin dal medioevo per risultare una delle comunità meglio integrate con la natura (talvolta) selvaggia che ricopre le montagne siciliane.
E a narrare la lunga storia naturalistica di questo luogo, inerpicato tra le valli dei fiumi Imera Settentrionale ad ovest e Pollina a Est, c’è un piccolo gioiello museale, che non tutti conoscono ma che merita assolutamente di essere visitato, qualora fossimo interessati a capire com’erano un tempo le Madonie insieme ad altri ecosistemi siciliani: il Museo naturalistico Francesco Minà Palumbo di Castelbuono.
Francesco Minà Palumbo infatti, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, riuscì a compire un miracolo che raramente si sarebbe osservato successivamente in altri contesti italiani.
Lontano infatti geograficamente dai principali atenei internazionali e siciliani, egli riuscì infatti a portare le più elevate forme di ricerca scientifica del tempo all’interno delle Madonie, inducendo diversi professori, biologi e naturalisti, a raggiungere Castelbuono, per studiare insieme a lui, oltre alla flora e alla fauna siciliana, una grande tipologia di reperti, che potevano essere di natura archeologica, geologica, paleontologica o antropologica.
Descrisse oculatamente la Sicilia del suo tempo, fornendoci uno dei più completi quadri ecosistemici ottocenteschi mai realizzati, che messi a confronto con altri studi non avevano nulla da invidiare ai report forniti da altri scienziati, più famosi di lui.
Di seguito alla sua morte, avvenuta nel 1899, fu solo però nel Secondo Dopo Guerra se alcuni attivisti e rinomati studiosi siciliani cominciarono a pensare d’istituire un museo che portasse il suo nome e che potesse da una parte conservare il suo lascito - composto da diversi libri, quadri e una vasta collezione di piante d’erbario (circa 7000 esemplari conservati come exiccata) - insieme al lavoro di altri illustri studiosi che per anni hanno studiato la biodiversità delle Madonie, fra le più ricche della Sicilia.
Istituito così nel 1965 e trasferitosi più volte all’interno di diverse strutture del comune, oggi il Museo naturalistico dedicato a Minà Palumbo si trova all’interno dell’ex convento di San Francesco, dopo essere stato temporaneamente ospitato presso il famoso castello dei Ventimiglia, che risulta essere una delle principali mete turistiche di Castelbuono.
Passeggiando oggi tra le sue sale, è possibile osservare un incredibile numero di diversi insetti, uccelli e specie diverse, oltre a vari reperti di carattere geologico o archeologico e a varie conchiglie che attualmente fanno parte della collezione.
Tra l’altro, entrando all’interno della struttura, non si può non notare come il Museo Minà Palumbo ormai oggi rappresenta - oltre un’istituzione scientifica e naturalistica – il biglietto da visita del Parco regionale delle Madonie. Il luogo perfetto che custodisce molteplici aspetti dello stesso luogo, provenienti dal passato.
Per quanto infatti il museo indirettamente ci mostra un paesaggio talvolta molto diverso dall’attuale, soprattutto quando andiamo ad osservare i reperti paleontologici risalenti a milioni di anni fa, non si può visitare il Parco regionale senza andare a vedere da vicino la collezione, frutto della collaborazione non solo di Minà Palumbo ma anche di tanti altri naturalisti che hanno avuto a cuore la tutela delle Madonie come della fauna e della flora dell’intera isola.
Il museo infatti è probabilmente il luogo in cui - più di tante altre zone del Parco - è possibile comprendere quali siano stati i processi che hanno alterato il paesaggio e cosa significhi trovare un vero equilibrio con la natura.
Dai tempi di Minà Palumbo difatti Castelbuono è circondata da un contesto naturale e sociale completamente diverso, che ha avuto delle ripercussioni tal volta tragiche, seppur qualche volta positive, che hanno reso il sistema Madonie ciò che è ora.
Tra le diverse specie di uccelli donati alla struttura, per esempio possiamo inoltre osservare alcuni esemplari di grifoni autoctoni delle Madonie, come aironi, capovaccai e aquile, che un tempo erano diffusi maggiormente nella nostra regione, prima di subire un forte crollo demografico di seguito all’incremento della caccia e dell’avvelenamento.
Se volessimo però individuare alcuni dei reperti più importanti dell’intero museo, non possiamo non menzionare l’esemplare impagliato di Chiurlottello (Numenius tenuirostris) - una specie che è ritenuta estinta, anche se formalmente ancora non è stata dichiarata ancora tale - di cui esistono pochissimi esemplari conservati e gelosamente custoditi dai custodi, o ancora il fossile Cassidaria minae, che ha appena partecipato a una competizione paleontologica.
Il museo inoltre non ha perso il suo legame con la cittadinanza o con le vecchie tradizioni del borgo medioevale. Oltre ad offrire infatti ai turisti e ai propri cittadini la possibilità di visitare la cosiddetta "sala della Manna", il museo svolge inoltre diverse attività divulgative e ludiche, come mostre, convegni, incontri con le scolaresche, lezioni interattive, per permettere davvero a tutti di conoscere la sua storia e di rimanere aggiornati nei confronti delle diverse tematiche ambientali (fra tutti la perdita di biodiversità), che mettono a rischio lo stesso territorio siciliano.
Se dovessimo quindi riassumere in sintesi l’importanza di tale museo e delle sue vaste collezioni multidisciplinari, non possiamo che ricordare come il “Minà Palumbo” si sia dimostrato negli anni un vero e proprio “hub centrale” della biodiversità e della cultura madonita.
Un pilastro museale che ha permesso negli ultimi decenni di ampliare le proposte di conservazione della fauna e flora locale, insieme all’ente parco, ai biologi e ai ricercatori universitari coinvolti nei progetti di tutela.
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