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Il caso delle bombe finite per "sbaglio" a Bagheria: quei giorni (di terrore) del 1943

Sulla saracinesca della bottega di un calzolaio si andarono a conficcare le schegge degli ordigni, rimanendo a memoria futura di quella tragica notte

Sara Abello
Giornalista
  • 19 novembre 2022

Una vecchia foto di Bagheria

Ci vuole fortuna "puru a friiri un ovu", e questo è uno dei detti /alibi siciliani di uso più comune. Un po' perchè è vero e un po’ perchè ci funge da consolazione quando le cose non vanno come vorremmo. Incredibile da pensare ma a Bagheria si è rivelato veritiero persino durante una delle pagine più brutte della storia mondiale.

Facciamo un passo indietro però, addirittura fino alla seconda guerra mondiale. Nelle cronache di guerra, quando si fa riferimento ai bombardamenti su Palermo, con tanto di date e descrizioni, non si parla mai degli “effetti collaterali” sulle zone vicine.

Figuratevi se nei censimenti ufficiali si parla di Bagheria. Ovviamente, data la vicinanza territoriale, ogni qualvolta venivano sganciate bombe su Palermo, gli aerei solcavano anche i cieli baarioti con tutta la conseguente paura per la popolazione che, scattato l’allarme, si rifugiava nei ricoveri antiaerei.
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All’epoca erano tanti che, avendone la possibilità, si erano spostati a vivere in campagna, spesso ospiti di parenti. Lì in mezzo al nulla per sentirsi più "sicuri", per quanto in tempi di guerra il concetto sia davvero labile.Tra i rifugi baarioti considerati più salvifici certamente vi erano le pirriere di Aspra, solo che arrivare sin là in tempo non era impresa semplice, la bomba quando arriva non ti dà certo il tempo di metterti al riparo.

E allora per questa ragione, e soprattutto per salvarsi la pelle, spesso si optava per gli scantinati delle case più alte, adattate alla meno peggio alle circostanze. Scavando scavando però, è venuto fuori che anche Bagheria ha pagato un caro prezzo, se voluto dagli alleati o dai nemici, o addirittura se "involontario", non lo sapremo mai...certo è che, nella notte tra il 6 e il 7 luglio del 1943, anche Bagheria contò i suoi morti, circa 16.

In quel fuggi fuggi vai a sapere come fu e come non fu...aerei nemici scappavano e alleggerivano il carico lanciando bombe unnegghiè, gli stessi alleati, non è che siano entrati chiedendo permesso e perfavore, fatto sta che le vittime ci furono e i danni pure.

«È uno sfacelo!» scriveva Felicita Alliata, nonna di Dacia Maraini...eh beh la scrittura è dote delle donne di quella famiglia evidentemente. Non dai libri di storia, che non possono certo menzionare ogni paesello della penisola, ma è grazie ai diari della Alliata, raccolti nel volume “Cose che furono”, che abbiamo una delle testimonianze più reali di cosa avvenne.

Il libro vuole raccontare la storia della sua famiglia, ma come farlo distaccandosi dalla storia del tempo, così feroce e comune a tutti, a prescindere da titoli e blasoni?!

«Eravamo a Villa Valguarnera, tra le famiglie nostre, gli sfollati - annotava- eravamo un centinaio, oltre il presidio militare antiparacadutisti...La sera del 6 luglio, durante un bombardamento, gli aerei nemici...ne hanno regalato anche a Bagheria facendo danni e vittime...Una è caduta anche in casa Spedalotto. Giorni di ansia e, per alcuni, di terrore».

Non ci sono grandi testimonianze dell’epoca, un dato certo è che ancora oggi c’è chi custodisce schegge di quella bomba caduta nella notte. Per fortuna o per miracolo, senza danni gravi, alcuni di questi detriti sono finiti tra via Senatore Scaduto e via Triolo, proprio ad un passo dallo stratunieddu, nel pieno centro storico di Bagheria.

Sapete cosa c’era lì?! La bottega artigiana di Santo Valenti, eh sì perchè prima che il figlio la trasformasse in un negozio di calzature, il padre lì le fabbricava sul serio le scarpe. E fu proprio sulla saracinesca di quella bottega che si andarono a conficcare le schegge della bomba, rimanendo a memoria futura di quella tragica notte.

Dopo tutti questi anni è impossibile ricostruire gli effetti dell’onda d’urto tutto intorno. Sappiamo però che nelle viuzze limitrofe vi fu chi, ad esempio, rimase chiuso in casa perchè il blast aveva bloccato la porta d’ingresso ma, grazie a quel senso di comunità che allora regnava molto più di adesso, fu liberato dai vicini.

E chissà quanti altri aneddoti ci sarebbero stati da lasciare alle cronache...l’esplosione di un ordigno lascia danni che si differenziano e diminuiscono man mano ci si sposti dal punto dello scoppio, quindi racconti di varia natura di sicuro.

Ma vi parlavo di fortuna e uova all’inizio del racconto di questa pagina meno nota alle cronache, dal momento che chi all’epoca ha vissuto la guerra, oggi non c’è più e ha lasciato i suoi racconti a sopravvivergli nella memoria dei suoi cari.

Sapete quando sono sbarcati gli alleati americani e britannici in Sicilia? Il 9 luglio con l’operazione Husky. Due giorni dopo. Due giorni che hanno rappresentato la vita di tanti, la tragedia, il dolore di famiglie spezzate per sempre, i volti di persone segnati da un’esperienza simile. Due giorni. E c’è chi crede sia inevitabile scatenare guerre ancora oggi. Se solo non fosse una tragedia immane, quei due giorni farebbero ridere.
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