IN-POST-AZIONI
Il Barbera come il Parco dei Principi: perché un nuovo stadio è un'occasione per Palermo
La città potrebbe partecipare direttamente ad un investimento nella società, per creare un indotto non legato allo sport ma che generi un nuovo modello di sviluppo
Lo stadio Renzo Barbera
Il Palermo Calcio, che ricordo è una società dilettantistica, ha avuto un fatturato di 3.500.000 di euro la scorsa stagione, e conta di arrivare a incassi pari a 4.5 milioni il prossimo anno con una perdita di circa 6 milioni che sarà coperta dai soci. Il campionato di serie C dovrebbe infatti costare circa 10 milioni e mezzo di euro per consentire alla squadra di competere per la promozione in B (questi dati mi sono stati forniti dal presidente del Palermo Dario Mirri).
Il costo del canone richiesto incide come voce passiva per un valore ritenuto eccessivo dalla società. Se è vero che questo più o meno è il canone che pagava il Palermo di Zamparini, c’è da dire che quella era una società sportiva di serie A con un fatturato di 60 milioni di euro.
Quanto rende uno stadio gestito dalla società sportiva?
Giusto per dare dei parametri, il Barcellona, che continua ad essere la più performante società calcistica d’Europa e, quindi, del mondo, ricava dalla gestione dello stadio 139 milioni di euro (la stima è di Calcio e finanza riferita ai bilanci 2018).
La migliore delle italiane è la Juventus, con 56 milioni di ricavi.
Il tratto comune in entrambi i casi è che lo stadio è di proprietà di queste società, così come è di proprietà lo stadio di Real Madrid, Manchester, Paris – Saint Germain e delle principali squadre europee. Tutte società che hanno ricavi estremamente alti dalla gestione della struttura. I meno performanti si aggirano infatti intorno a 50 milioni di euro.
Il Barbera è uno stadio obsoleto, rimodernato per Italia '90 è ormai fatiscente nella struttura, ma soprattutto nella concezione. Gli stadi sono oggi luoghi di intrattenimento ed attrazione al di là della partita.
Cosa sono gli stadi oggi? Lo scorso anno, costretto da mio figlio, ho visitato il Parco dei Principi, lo stadio del Paris-Saint Germain. Da non tifoso di calcio sono rimasto impressionato dalla concezione dello spazio, dalla cura e del fatto che l’atmosfera ricordava quella di un luogo di culto ed un centro commerciale allo stesso tempo; presenti finanche le stanze business dei giocatori più acclamati. Un posto in definitiva bello e curato.
Oltre ad avere notato la presenza di moltissimi turisti e tifosi in visita ho speso un patrimonio per la visita guidata e per l’acquisto dei gadget connessi: mio figlio, lui vero tifoso, ha voluto la maglia di Cavani completa di tutti gli sponsor. Confesso che l’idea di pagare un extra per avere la maglia con il logo di uno sponsor mi ha dato i brividi. Ma il punto è questo, stiamo parlando di business. Il calcio è soprattutto un grande affare.
E Dario Mirri è stato netto nel chiarire la sua posizione: lui fa impresa e non è un benefattore. E questo è un altro elemento che rende credibile il suo investimento anche come opportunità per la città. Perché la sua scommessa da imprenditore coincide con quella nostra da cittadini: creazione del valore. Ed ho detto cittadini e non tifosi, perché la creazione del valore per un tifoso è la vittoria, per un cittadino è l’indotto economico.
Per queste ragioni a me la querelle sullo stadio, nei termini un cui l’ho vista evolversi in queste settimane, mi pare penosa come troppo spesso ormai lo sono i dibattiti nella nostra città.
La squadra in serie A è un vantaggio per tutti, lo stadio rimodernato è un vantaggio per tutti. E se oggi il canone viene stimato dal comune in 341.150 euro e dalla società molto meno, il valore, ed è questo il punto a mio modo di vedere, se lo stadio fosse rimodernato e gestito da una società di serie A, avrebbe cifre ben diverse. Probabilmente i 139 milioni del Barcellona sono lontani, ma l’ordine di grandezza degli Italiani 30/40 milioni di volume di affari l’anno a regime è plausibile.
Allora io credo che sindaco, commissioni consiliari, consiglieri e la politica tutta dovrebbero aprire per un attimo la mente ed avviare una riflessione nuova e moderna sulla città anche guardata attraverso la squadra di calcio. Il diritto si superficie del Barbera può valere tra 5 e 10 milioni di euro: lo stadio va smontato e ricostruito. Ad Udine la valutazione è stata di 4,5 milioni, a Torino di 11.5 milioni (era il 2011) a Bergamo 8 milioni.
Per diventare uno stadio moderno il Barbera necessita di 40 forse 50 milioni di euro di investimento. La società di Mirri è disponibile a fare fronte a questo investimento. La Città di Palermo potrebbe e dovrebbe favorire questo percorso. Uno stadio gestito dalla società di calcio è una condizione imprescindibile nel calcio moderno.
Il punto è che questo argomento non mi pare sia all’ordine del giorno, tutt’altro. La vendita del diritto d’area che è la strada seguita dalle altre città italiane che hanno avviato questo iter è solo una delle ipotesi possibili. Io credo che a Palermo potremmo fare anche meglio. Sia in termini di ritorno economico che simbolico.
La mia proposta è che la città partecipi all’investimento, conferendo il diritto d’area come quota di partecipazione societaria. La quota verrebbe diluita dall’investimento finanziario della ristrutturazione, quindi la città sarebbe un socio di minoranza senza nessun potere nella società (ci manca la politica anche dentro la gestione dello stadio per farlo fallire), la città così facendo avrebbe investito nel valore del progetto e potrà vedere rivalutato il suo investimento insieme alla crescita della società ed agli investimenti che questa sarà in grado di attivare sulla struttura, il tutto senza appesantire i bilanci della società stessa, semmai mostrandosi un partner in grado di guardare in prospettiva dando solidità ulteriore al progetto.
Se fossi sindaco andrei in questa direzione senza alcun dubbio, ma altre ipotesi non mancano. La città potrebbe ottenere in cambio alcune aree rivalutate per la fruizione pubblica o limitarsi ad incassare i diritti di area, che per quanto a me paia tra tutte l’ipotesi meno interessante per la città è pur sempre in linea con quanto fanno gli altri.
Comunque sia, qualunque via si decidesse di intraprendere, io credo che la politica dovrebbe aprirsi ad una fase creativa e costruttiva che sia per una volta di medio periodo, ed invece di fare i conti della serva su quanto vale l’affitto adesso, cercare di capire di quale potenziale stiamo parlando ed in che modo possiamo fare in modo che si realizzi.
Il progetto di città futura passa anche dal calcio. Le principali società calcistiche italiane si stanno attrezzando con uno stadio di proprietà, peraltro in ritardo rispetto al resto d’Europa. Io credo che la questione a Palermo e sul Barbera vada posta adesso e con forza per non arrivare ancora una volta ultimi. Non tanto per il calcio in senso stretto, tutto sommato chi se ne frega, ma per il valore economico che in una città rappresenta una squadra di calcio performante ed attrezzata per competere ai massimi livelli.
Do un dato sportivo. Da quando la Juventus ha lo stadio di proprietà ha sempre vinto il campionato. Ed il motivo è semplice, il Calcio forse è ancora uno sport, certamente è un grande fenomeno di intrattenimento che si alimenta su basi economiche e che vive di investimenti. Chi è in grado di investire vince.
Uno stadio gestito dalla società sportiva è oggi una condizione imprescindibile per partecipare al calcio che conta. E su questo, fatti alla mano, c’è poco da discutere.
La città si apra ad un dibattito adulto, vale per il calcio e vale per tutte le infrastrutture di cui c’è urgente necessità, e capisca se intende rimanere ora e per sempre periferia o tornare a svolgere un ruolo economico nel paese. Oggi questa partita passa anche dal calcio.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
-
STORIA E TRADIZIONI
Lo sfarzo a Palermo, poi il furto e la crisi: i gioielli perduti di Donna Franca Florio
-
ITINERARI E LUOGHI
Il borgo in Sicilia che "vive" in simbiosi col mare: la spiaggia ti incanta al primo sguardo