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I "tammurinari" svegliano la Sicilia (anche) in estate: le origini di una tradizione antica

Tra colpi ritmici e "abbanniate" si celebra una festa o si annuncia al popolo un'importante e imminente celebrazione. Vi raccontiamo di una festa particolare

  • 16 aprile 2023

C’è un momento ogni anno ad Agrigento dove è un suono il protagonista della vita cittadina. È l’ora del suono roboante dei tamburi che annunciano prima e solennizzano poi la festa che gli agrigentini dedicano al santo che più amano, San Calogero.

I tammurinari svegliano la città in estate, con i loro ampi tammuri, nei primi giorni di luglio, per annunziare, con sonorità fragorose, che la festa del Santo delle Grazie è vicina e nei giorni seguenti accompagnano ogni momento del festino più atteso dell’anno.

Creano, quelle tammuriate, un’atmosfera festosa ed elevano i cuori. Lo studioso di tradizioni popolari siciliane, Giuseppe Pitrè oltre un secolo fa si rese conto personalmente di questo carattere della festa sancalogerina: “Manca una settimana alla gran festa e una quindicina di tamburini percorrono a frotte in determinate ore alcune vie designate, che prende il titolo di tammurinata di San Calò, e riducendosi nell'atrio della chiesa del Santo, ove danno le ultime prove di abilità in una gara che mette le vertigini al solo pensarvi”.
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Ma quali sono le origini di questa antica tradizione? Occorre rifarsi alla figura del banditore, che “abbanniava”, cioè richiamava l'attenzione degli abitanti di un quartiere, di una strada, di un antico rione, picchiando forsennatamente su un tamburo - "u tammuru" - che un tempo ad Agrigento era realizzato dagli artigiani con concia delle pelli di capra girgentana e la cassa in legno di noce, bordato con nastri e frange, ricamate e abbellite con pagliuzze d’oro e d’argento.

Picchiando col mazzuolo, ad alta voce si abbanniava, “gettava il bando”; il banditore così comunicava cioè alla cittadinanza importanti decisioni di un’autorità locali: pubblici bandi, ordinanze, divieti, e quant'altro di Sindaco o di un Vescovo.

Ma diffondeva anche le comunicazioni di un negoziante che aveva la necessita di pubblicizzare alle masse le merci voleva far sapere intendeva vendere.

Così si esprimeva il banditore per le vie del paese: "Sentite, sentite, sentite....se volete acquistare un litro di buon vino dovete andare alla cantina di ….", oppure "... è arrivato in piazza un commerciante di stoffe, di pesce, di carboni". Compiva così la “firriata”, cioè il giro delle strade, eseguendo ritmi specifici a seconda della circostanza da pubblicizzare.

Erano stabiliti gli orari, le tappe e i punti in cui fermarsi per eseguire il bando, anche per un migliore l'ascolto e un numero consistente di cittadini attendevano per l’ora e nel posto stabilito il banditore e si radunavano attorno a lui quando arrivava.

Quando si percepiva la voce del banditore le donne aprivano le finestre o i balconi e uscivano sull'uscio di casa e s’informavano, chiedevano dettagli intorno alla notizia che il banditore diffondeva. Dagli uni e dagli altri naturalmente il banditore veniva compensato, anche in natura.

Dal secolo XVII ad Agrigento con la costruzione di una chiesetta dedicata a San Calogero e quindi contestualmente con l’organizzazione di una annuale festa da dedicargli, la confraternita di San Calogero diede mandato ai banditori della città di girare per ogni via e annunciare il programma della festa.

Ma trattandosi di un evento così tanto atteso e amato da tutti gli agrigentini, l’impegno dei banditori andò ben oltre il tradizionale rituale della comunicazione dell’evento. Nacque il devoto banditore.

Un soggetto che suonava il tamburo per fede, affetto, legame personale al Santo, magari anche per una promessa fatta o per una grazia ricevuta.

Si formarono così, gruppi, comunità di banditori che si ritrovavano nella chiesetta del Santo a pregare e poi uscivano per strada gridando “Oi è la festa di lu Santu di li grazii”, “Evviva san Calò!”, “Lu santuzzu di li grazi, divoti!”, “Oggi è giorno di ogni grazia, devoti!”, ed espressioni simili.

Si distribuivano le immaginette del Santo e si raccoglievano le offerte per la festa grande. La gente lasciava le case e offriva un bicchiere di vino, un pezzo di pane, una focaccia ai devoti tammurinari, che per molte ore del giorno giravano per vicoli e piazze.

Ogni gruppo di tammurinara però voleva e vuole distinguersi e così abbiamo diverse tammurinate. Si tratta di colpire con i mazzuoli il tamburo in modo da dare vita ad una qualche piacevole melodia, dal ritmo particolarmente gioioso ed energico.

Ogni gruppo ha il maestro che dirige la tammurinata impartendo vari ordini con le mani. Ad ogni ordine della mano destra o sinistra corrisponde un colpo di tamburo. I vari tamburini suonano all’unisono per poi variare l’intensità del ritmo, dando vita al rullo.

Lo studio dei rulli rappresenta la parte principale dell’insegnamento del tamburo. «Secondo un esperto tammurinaru, questo studio va incominciato lentamente, con suoni di egual durata: tatà (mano destra), manà (mano sinistra), indi si va gradualmente accelerando.

Un altro esercizio consiste in un colpo per mano: ta (destra) e ma (sinistra); anche qui suoni di egual durata, che vanno poco a poco stringendo.

Un terzo esercizio è giambico: rattà con la destra, rattà con la sinistra; un giambo per mano, prima lentamente, poi man mano più veloce»

Una delle più famose ed apprezzate tammurinate agrigentine è la Diana. Così viene descritta da Giuseppe Pitre: "La chiamano la Diana e consiste in ciò: i tamburinai, riuniti in gran cerchio si mettono sotto la dipendenza di un capo-tamburo, che riguardano in quel punto come il loro maestro di cappella.

Costui, posto nel centro del cerchio, fa moti da energumeno, battendo la sua grancassa or con le bacchette da tamburo, or coi gomiti e talfiata anche con la testa; mentre gli altri, a cadenze determinate, battono il loro tamburo e formano una cotale armonia, per quanto stridula, altrettanto attraente, specie in quel giorno.

La gente si gira attorno, fa folla, e guarda e sente e ride e si diverte. II capo-tamburo non si contenta della sua cassa, ma con una perizia, che ti desta ammirazione, batte or questa, or quella di coloro che lo circondano.

Ad un tratto tutti sospendono di battere sulla tesa pelle: alzano le mazzuole in alto, le incrociano, le intrecciano, le fanno scricchiolare; poi un colpo sul cerchio del tamburo, un altro o due sulla loro testa; e tutto questo con tanta esattezza di tempo e di armonia (se cosi può chiamarsi) che riesce un vero partito a tamburi!...”.

Ancora oggi ad Agrigento i tammurinari sono numerosi ed organizzati in associazioni. Alcuni sono integrati anche in gruppi folkloristici.

Ma soprattutto continuano ad essere i protagonisti, insieme ai devoti portatori, della processione del simulacro del Santo che si tiene nelle prime due domeniche di luglio: con le loro tammurinate sostengono lo sforzo fisico dei devoti portatori della statua.
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