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I siciliani e le storpiature: chi sono i (veri) "Macabrei" e perché ci piace questa parola

È una delle parole siciliane più usate e di cui si sa poco. E, come al solito, il merito è di quella bellissima propensione, tutta siciliana, di "fare a pugni" con le parole straniere

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 1 gennaio 2021

Introduzione ai Libri dei Maccabei (foto di Combonianum)

Ma quanto è bella l’estate! Ti svegli con il canto degli uccelli, ti stiracchi tutto guardando il cielo nella speranza che ci sia una bella giornata (ma tanto lo sai che c’è sempre bel tempo), passi dal bar, granita e brioche e, finalmente, parti come Gaspare, Melchiorre e Baldassare alla volta della spiaggia.

Solo che al posto della stella cometa sei guidato da un sole così caldo che le persone con l’asta dell’ombrellone in mano non ti sembrano poi così diverse dal pollo allo spiedo. C’è tutto! Ci sei tu, c’è il mare, c’è la birra ghiacciata e c’è pure una leggera brezza che non ti fa sentire la cottura della tua stessa pelle.

Non ti resta quindi che piazzare la "tovaglia da mare", stenderla sulla sabbia e metterti le cuffiette ascoltando la tua buona musica. Veramente prima ci sarebbe da attraversare tutta la spiaggia, che raggiunge temperature magmatiche, ma tanto poi ti rendi conto che tutti camminano come Giucas Casella sui carboni ardenti gridando “Geeg Geeg!” (non per niente Giucas è siciliano).
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La pennichella è automatica e contento ti lasci cadere tra le braccia di Morfeo. Poi, sul più bello, mentre stai ascoltando a tutto volume la colonna sonora di "2001 - Odissea nello spazio", che è quella con quei bellissimi tamburi primitivi, improvvisamente, anche se hai gli occhi chiusi, percepisci un’ombra oscurarti come fosse una magnifica eclissi di sole che nessuno ha previsto.

Apri gli occhi ma quella parte di sole ancora rimasta ti impedisce di mettere a fuoco: ci vorrà qualche istante. Gesù, Giuseppe e Maria! Sono loro: i Macabrei. Comprendi subito che non c’era nessuna eclissi ma che ti avevano piantato un ombrellone così vicino che per poco ti posavano la borsa termica di sopra.

I bambini ti costruiscono villaggi di sabbia attorno mentre la tua "tovaglia da mare" è solo un ricordo. Tende, buste, spesa e, per disintegrare ogni dubbio, la voce della capostipite che è tipo Giuliano Ferrara donna: «Kevine, vedi se il signore aggradisce una poco di pasta col forno». E qui si esclama: “Sono le dieci del mattino, Macabrei!”.

Ecco, questa è una della parole siciliane più usate e di cui si sa di meno in assoluto, ma che almeno una volta nella vita avrete sentito.

Ma dove viene? O per dirla alla Emmet Brown di "Ritorno al Futuro": «Da quando viene?». Come al solito il merito è di quella bellissima propensione, tutta siciliana, di fare a pugni con le parole straniere e con le terminologie tecniche, tanto da prendersi la licenza poetica di flettere la parola secondo proprio uso e consumo.

La parola “Macabrei” altro non è che storpiatura della parola “Maccabei” che è un popolo ampiamente presente nella Bibbia (addirittura la Bibbia cristiana ha un intero libro intitolato Maccabei).

D’altronde come non è un caso quello di Giucas Casella (che ai tempi biblici sicuramente sarebbe stato scambiato per uno che faceva i miracoli), allo stesso modo, non è nemmeno un caso che il termine Maccabei letteralmente significhi “martellatori”.

Allora, siamo nel secondo secolo a.C., precisamente tra il 175 a.C e il 164 a.C. Adamo e Eva erano stati sfrattati, Noè aveva salvato tutti gli animali e una volta sceso dall’arca li aveva dati tutti in olocausto (quindi arrostiti) a Yahweh.

Abramo aveva visto distruggere Sodoma e Gomorra prima di Saviano e Mosè aveva buttato il primo progetto del ponte sullo Stretto, ma nel Mar Rosso. Insomma era successo di tutto e Dio già ne aveva viste di cotte di crude, tanto che intanto si lasciava scappare un: "Ma chi me lo ha fatto fare?".

Nel 174 a.C. la zona geografica in cui è ambientata la Bibbia (dunque Mesopotamia, Persia, Siria, Asia minore) era controllata da Antiochio IV che era un sovrano appartenente alla dinastia seleucide, che non è un elemento della tavola periodica degli elementi (chimica) ma una dinastia di imperatori nel periodo subito dopo Alessandro Magno.

Questo Antiochio, in realtà, era (come diciamo a Palermo), un consumato che voleva consumare agli altri. Certo, non per colpa sua, il problema fu che i romani lo avevano sconfitto e gli imposero il pizzo, cioè un debito così esorbitante che Antiochio non poteva pagare perché manco aveva più gli occhi per piangere.

Da dove li andò a prendere questo povero disgraziato tutti i soldi che non aveva? Facile. Decise di saccheggiare i templi ebraici che tanto erano pieni di cose di valore e, portandole al "Mercato delle Pulci" (marcato dell’antiquariato di Palermo) qualche lira l’avrebbe tirata su.

Ma quello più ricco di tutti (il tempio di Gerusalemme) era più difficile da saccheggiare e per fare questo dovette concedere privilegi ai nobili ebrei che, intanto, siccome era di tendenza e faceva fighetti, si erano ellenizzati, cioè convertiti alla religione ellenistica.

Per questo motivo, fece sconsacrare il tempio e lo consacrò a Zeus. Il sacerdote Mattatia, che era un fedele molto fedele del vecchio culto, e aveva la stessa calma del calciatore Gattuso, ammazzò l’apostata (cioè il nuovo prete) e si andò a nascondere insieme ai suoi 5 figli e i vecchi fedeli sui monti.

Appena però Mattatia morì suo figlio Giuda, che non è Giuda dei 30 denari ma un altro (anche perché chiamarsi Giuda a quei tempi, in quei posti, era come chiamarsi Salvatore in Sicilia), decise che era il momento di passare all’azione.

Acchiappò tutti i seguaci e al grido di “ce ripigliamm' tutt' chell che è 'o nuost” marciò alla volta di Gerusalemme, si riprese il regno e lo riconsacrò al signore. I suoi seguaci per acclamarlo gli appiopparono la nciuria (soprannome) di “martellatore” ovvero maccabeo. Poi come succede in Sicilia i soprannomi dei padri passano ai figli e questa è la storia dei Macabrei.

Morale della favola: la prossima volta che decidete di andare a mare a Ferragosto, sentite a me, andatevene in montagna.
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