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I resti della guerra in un "museo a cielo aperto": tra le macerie del centro di Palermo

Dopo 80 anni di oblio, sono tantissime le macerie ancora presenti nel centro storico. C'è dunque chi pensa a un museo diffuso, innovativo e totalmente gratuito

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 29 ottobre 2023

Macerie ancora visibili dei bombardamenti del 1943 a Palermo

È noto che il la Seconda Guerra Mondiale concluda la stagione di sangue e devastazione in Sicilia già alla metà di Agosto di 80 anni fa, lasciando macerie su macerie.

Edifici monumentali distrutti o sfregiati, altri cancellati per sempre senza risparmiare chiese ed oratori saccheggiando dall’alto delle quote dei bombardieri anglo-americani un patrimonio culturale di autentica e prestigiosa bellezza sedimentato in circa tre millenni di stratificazioni imponenti.

Cosa poco nota invece è il computo dei metri quadrati di quelle macerie ancora presenti nel centro storico del capoluogo siciliano dopo ottanta lunghi anni di oblio.

Si aggirano tra gli 11 e i 12 ettari, li ha calcolati pazientemente Marcello Panzarella, colto docente in quiescenza di "Progettazione architettonica", architetto tra gli ultimi ad aver potuto unire l’insegnamento universitario con il privilegio di costruire "architetture" reali, maestro di generazioni di progettisti, architetto con il pallino dell’analisi rigorosa dei luoghi urbani ancora suscettibili di preziose suggestioni narrative, in sola attesa di nuove configurazione da progettare.
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Sono tantissimi metri quadrati, traducibili in metri cubi di vuoti abbandonati a sé stessi.

Troppi e inutilmente dimenticati come se non avessero il valore oggettivo che hanno all’interno di un tessuto urbano di rilevante importanza rispetto ad uno dei centri storici più suggestivi d’Europa per storia e stratificazioni, per potenziale e poesia dissacrata.

Ad oggi, inoltre, rappresentano probabilmente, la cicatrice "ancora irrisolta" ed evidente più vasta della seconda guerra mondiale, dovuta proprio alla devastazione calata dai cieli.

Un museo "aumentato" a cielo aperto che non conosce pausa, che si mostra a cittadini e turisti in egual misura e senza il pagamento dovuto del biglietto, una cicatrice che ormai è divenuta paesaggio urbano identitario e che forse, attraverso un appropriato e calibrato progetto di musealizzazione integrata, potrebbe divenire uno dei frammenti di narrazione tematica di ambito turistico-storico più iconico del Mediterraneo.

Sezioni di pareti dirute si mostra per cromatismi e tecnologia costruttiva in tutti i quattro mandamenti palesando la dimensione di "vuoto urbano" dichiarando apertamente la loro presenza immobile lì, negli stessi posti sin dall'arrivo delle fortezze volanti.

Cosa farne allora, se non un museo innovativo e diffuso, amplificato magari da pannelli esplicativi e targhe che grazie a realtà aumentata e Qr-code restituiscano alla storia di quegli anni una narrazione coerente e puntuale?

È forse meglio proseguire a far finta che quelle stigmate non siano altro rispetto al destino di degrado e oblio finora concesso?

Già la metà sarebbero troppi, 12 ettari sono altresì una dimensione inutilmente bulimica, per un potenziale narrativo esaltante soprattutto in chiave turistica che è già sotto gli occhi di tutti.
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