STORIA E TRADIZIONI
I re, Franca Florio e persino una Madonna: i mandarini che hanno fatto la storia in Sicilia
Dalla fanciulla che fece innamorare il re spagnolo ai profumi in voga tra le nobil donne, fino alla santa "patrona" dei ladri: le storie più famose dell'agrume siciliano
Franca Florio
Ero lì che santiavo nel tentivo di aprire il sacchettino deputato alla raccolta dell’abbondante e maleodorante scoria, quando ad un certo punto mi sono accorto che sui vari alberi si stavano cominciando a formare delle palline, che tra qualche mese sarebbero diventate arance, limoni e mantrini.
Poichè alla fine sono un inguaribile nostalgico, s’apprisintò in mente il periodo dello scanazzamento adolescenziale in cui, in compagnia della comitiva di allora, in quel di Ciaculli, si scavalcavano i muri di tufo dei giardini per poter deliziarsi, illegalmente, dei frutti che crescevano rigogliosi sugli alberi.
Certo, vero è che certe cose non si fanno, ed oggi come oggi rischieresti che ti sparino addosso, però michia ri cianchi!
Ma secondo me, Gea, da li pigliò i “pomi d’oro” e i fiori di arancio che regalò a Zeus ed Era per il loro matrimonio. D’altronde, nel periodo giusto, ma di jardini c’era un passio non da poco di gente che veniva a raccogliere la Zagara per fare i bouquet delle spose, ed io stesso una volta ne raccolsi un mazzetto da regalare ad una picciuttiedda che mi piaceva, della quale in realtà, per malasorte, divenni poi il consigliere amoroso dato che, lei in ogni caso, aveva occhi solo pu u funcidda!
Sull’uso della Zagara come fiore prescelto per matrimoni e situazioni amorose c’è però anche un'altra leggenda. Pare, infatti, che in tempi remoti, un re spagnolo ricevette, da una sconosciuta principessa, un albero di mandarino come segno della sua ammirazione.
In primavera l’albero fiorì, inebriando il re con il suo profumo di zagara e facendolo innamorare perdutamente della principessa, che era divenuta introvabile.
Allora per preservarne il ricordo, diede ordine tassativo di non raccogliere per alcun motivo la zagara di quell’albero, ma un ambasciatore, corrompendo un giardiniere, riuscì ad averne in ogni caso un ramoscello, mettendola tra i capelli della figlia che riusciì, con qusto escamotage, a far convolare a nozze con il re.
Il Citrus Retucolata, detto da noialtri u mantrino, è in realtà originario della Cina, il che potrebbe anche spiegare il suo nome.
Difatti il colore del frutto assomiglia molto a quello delle vesti dei Guan, sorta di consiglieri, saggi, artisti e funzionari che tra tanti avevano il compito, nella Cina imperiale, di scegliere i migliori mandarini per farne dono al sovrano.
I portoghesi, avendo contatti, ma non riuscendo bene a capire n’zuccu fussero sti Guan, gli appiopparono il nome di Mandarini, storpiandolo dal sanscrito mantrim, che andare ad indicare, per l’ appunto, un uomo di alta rilevanza politica o un ministro.
La scienza botanica lo annovera tra i tre agrumi originari, assieme al cedro ed il pomelo, ma dalla Cina arrivò in Europa, ad opera degli inglesi, solo nel 1805, per essere usato, soprattutto nella zona di Trapani e Palermo, a semplice uso ornamentale.
Solo nel 1810, ad opera degli studiosi dell’Orto Botanico di Palermo, si capì che il frutto era troppo bello a pistiarisi, e dopo varie coltivazioni isolate, a metà dell’800, Re Ferdinando creò il primo mandarineto nel parco borbonico della Favorita, ancora oggi attivo, andando così ad arricchire gli agrumeti dell’allora opulenta Conca d’ Oro, iniziata dagli arabi.
Nel tempo i siciliani, uomini di ingegno fine, comiciarono a migliorare il già pregiato agrume. Così negli alberi spuntarono "il comune di Palermo", il "Bonaccorsi" ed il famigerato "tardivo di Ciaculli", la cui caratteristica era di maturare a marzo, e per questo detto "u marzuddu", dalla dolcezza unica.
Ispirandosi al Satsuma Miyagawa (mandarino verde orientale), i nostri contadini riuscirono a farne uno tutto loro, dalle cui scuorze si crea, a tutt’oggi, un rosolio casalingo detto mandarinetto ed un olio essenziale dal quale si creava un’acqua profumata che fu largamente usata anche dalla meravigliosa donna Franca Florio.
Fa bella mostra di se su cassate e mignon, è immancabile dentro il tipico cannistro dei morti, e quando lo sbucciate conservate a scuorza e gettatela nella brace alla prima occasione in cui addumate a garigghia. Non ve ne pentirete.
Ma in Sicilia ci piace unire il sacro ed il profano, ed è obbligo fare cenno anche alla Madonna dei mandarini che, non me ne vogliano i credenti, è la santa protettrice dei ladri.
La storia, presente anche in territorio partenopeo - a dimostrazione della cuginanza con i campani -, recita che un ladro che crede e prega tale nume, al momento della morte si troverà direttamente nella fila ri cristianeddi candidati ad entrare in paradiso.
Li San Pietro, mastro di chiavi dei cancelli, fa l’opportuna cernita, ma non appena sta per toccare al grattino di essere esaminato, ecco che la Madonna dei mandarini appare e gli fa cenno di irisi ad ammucciarisi.
Nottetempo, quando San Pietro gode del riposo dei giusti, la Madonna lancia una corda fatta di bucce di mandarini al di la dei cancelli, permettendo così al suo protetto di scavalcare ed entrare di sgarrubbo, a dimostrazione che una madre riesce a perdonare qualsiasi misfatto ai suoi figli.
Un imbucato in paradiso.
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