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I fantasmi col saio e quella processione mai esistita: il mistero dei frati morti di Palermo

La vecchia Biblioteca Nazionale di Palermo è un luogo incantato, un labirinto prezioso che racconta sottotraccia la storia di una città magnifica e perduta

  • 27 febbraio 2021

Alcune delle mummie conservate ai Cappuccini (Palermo)

Per chi ama gli archivi, cioè per coloro i quali adorano l’odore romanticamente muffito della carta, senza la vanità puerile di farne inefficace mostra a un pubblico di fantasmi, la vecchia Biblioteca Nazionale di Palermo è un luogo incantato, un labirinto prezioso che racconta sottotraccia la storia di una città magnifica e perduta.

E lì, conservato tra i manoscritti, si trova un verbale che porta la data "del primo ottobre 1726. È autenticato dal segno di croce dell’interrogato – Hieronimus Giannilivigni, di anni 48, giornaliero – e dalla firma dell’analista dei Cappuccini, Rosario Maria D’Amico, stimato autore di opere religiose e di libri di preghiere".

Sono parole di Giuseppe Quatriglio, uno scrittore che ha raccontato una “Palermo bella, povera e infelice”, che in una sua squisita novelletta dal titolo “Fantasmi col saio” ha dato dignità espressiva a un documento da protocollo.
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Ma cosa testimoniò il Giannilivigni, tanto da suscitare paura? Ecco le sue esatte parole, dall’interrogatorio originale: “Die prima octobris Anno 1726... alli primi di giugno, che secondo il mio conto era giorno di martedì, ritornando alla mia casa che è in Danisinni, circa li due della notte, entrato che fui nella strada dietro alli Cappuccini che va a Danisinni viddi venire una processione colla Croce innanzi, la quale a mio credere era alquanto lunga di molti colle candele accese, che venivano verso il convento dei PP.

Cappuccini, onde io maravigliato che a quest’ora, e in quella strada insolita, a processione li Cappuccini venissero in tal maniera, feci giudicio che essi portassero a sepellire qualche Personaggio morto; e con tale idea feci giudicio per non essere d’impaccio alla funtione in quella strada stretta e scabrosa, cacciai più il mio mulo, e mi ritirai dentro la vanella che conduce per dritto a Danisinni…Intesi [poi] dire che li Cappuccini in quella sera non havevano ricevuto cadavero né andato a processione.

Venendo poi io a cadere ammalato, intesi raccontare d’innanti al mio letto qualmente un Padre Teresino, un guardiano dell’acqua, un ussaro e altre persone havevano veduto di notte tempo certe processioni vicino al convento dei Cappuccini e che quelle processioni erano miracolose perché si vedevano e sparivano, io subito mi ricordai di quanto haveva veduto insieme col mio garzone per nome Melchiore Guzzardo, subito ripigliai il discorso dicendo che anche io haveva veduto una simile cosa...”.

Insomma, per farla breve, il Giannilivigni sostenne di avere assistito a una processione dei frati cappuccini che nella realtà non si era mai svolta; un sogno da veglio, o quasi un incubo.

E siccome sosteneva di non essere stato solo, il giorno seguente fu raccolta la testimonianza del suo garzone, che in sostanza confermò i contenuti della deposizione aggiungendo che i cappuccini “andavano cantando con voce tanto bassa che io potei intendere il solo mormorio (…)

Passato poi qualche tempo, cadde ammalato il mio padrone e le persone che venivano a visitarlo raccontavano d’essersi veduti alcune processioni di notte a torno alla chiesa dei Cappuccini, e che havendone di mandato alli medesimi Cappuccini essi negavano d’haver fatto processione alcuna, onde giudicavano cosa di Dio”.

Una testimonianza, quella del Giannilivigni, irrobustita dalla conferma del Guzzardo, che addirittura riferisce di altri ancora che avevano veduto la tetra processione dei frati nella notte buia di Palermo, al lume fioco di candele tremolanti.

Da una parte i testimoni, certi e senza ragione alcuna di simulare l’accaduto, e dall’altra i cappuccini, che, interrogati, negano "d’aver fatto processione alcuna".

Per Palermo sono giorni difficili, a causa di un terremoto che aveva provocato morti e danni ingenti a tutta la città, e, contro l’idea di una punizione divina, non furono infrequenti le processioni penitenziali, una delle quali – notturna - proprio ad opera dei frati cappuccini, secondo quanto annotato dal canonico Antonino Mongitore.

Fa sospetto la data, dacché l’evento è di certo anteriore al primo ottobre, ma è verosimile che la deposizione del Giannilivigni si inserisca nel solco di un contesto storico per il quale la processione notturna assume risonanze più antiche, esattamente con riferimento alla grande siccità del 1647 risolta, secondo i cronisti, proprio da una processione dei cappuccini in cui finirono morti quaranta frati, sepolti nella cripta del convento, che, per un prodigio di fede alla salvezza della città di Palermo, offesa dal terremoto, uscirono a lume spento in processione provocando la conversione delle anime.

A fare da prova, umili deuteragonisti del mistero sacro, un giornaliero e il suo garzone, e ancora un guardiano dell’acqua e un modesto ussaro, documentando – come ancora scrive Quatriglio – «l’esistenza di un fenomeno collocabile in una indefinita sfera di sensazioni in bilico tra sogno, suggestione e realtà; un fenomeno che peraltro si manifestava in quell’area extraurbana di Palermo, attorno al convento dei Cappuccini, che non aveva mai cessato di incutere terrore, devoto rispetto e sentimenti di pietà per via delle gallerie di catacombe affollate di mummie e di scheletri».

Era un’altra città, che solo pochi anni prima aveva bruciato vivi i corpi di fra Romualdo e suor Geltrude, due eretici formali, e che finì per mutare nei secoli ad altri mali, divorata dalla banalità del male, riscattando con la cera di più laiche processioni l’odore acre della polvere da sparo.
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