STORIA E TRADIZIONI
Gli Zoccoli del Diavolo: quelle "impronte dall'oltretomba" che terrorizzarono la Sicilia
Vi raccontiamo la storia di questi elementi leggendari, dalla tipica forma a cuore, che hanno popolato i racconti dell'orrore degli antichi per diverse generazioni
Gli zoccoli del diavolo
Attorno a voi c’è la tipica vegetazione della macchia mediterranea, ma a colpire il vostro sguardo non è una nota pianta con cui potreste allietarvi la vista, ma una particolare forma simile ad un’impronta, che sembra provenire dalle viscere stessa della Terra.
Impalliditi per la sorpresa, tentate di riprendere la strada di casa ancora dubbiosi su ciò che avete visto, quando mentre richiamate i vostri animali, ecco che i vostri occhi scorgono ancora una volta decine di impronte incastonate nella roccia, attorno a voi, la cui forma inequivocabile collega quel luogo precedentemente incantevole al mondo dannato degli inferi.
Oggi i ritrovamenti principali di questi reperti si trovano presso la Riserva Naturale Orientata di Capo Rama, ma è possibile trovarli anche in altre zone del palermitano e della Sicilia Occidentale, oltre che in alcuni musei come il G.G. Gemmellaro di Palermo o il Museo Civico di Storia Naturale di Comiso.
Cos’erano però in realtà questi "Zoccoli del diavolo" che hanno stimolato le fantasie di molti pastori, tanto da meritarsi una posizione preminente all’interno delle leggende popolari oggi quasi scomparse? Se si raggiungono oggi gli stessi luoghi in cui sono stati segnalati storicamente queste «terribili testimonianze dell’oltretomba», come solevano descrivere gli antichi, probabilmente potreste rimanere sorpresi nell’imbattervi in uno dei più preziosi reperti fossili che la Sicilia ha da offrire.
Vi accorgereste infatti che le fantomatiche impronte del demonio non erano altro che delle semplici conchiglie incastonate nella roccia, dotati di una forma curiosa.
Gli zoccoli del Diavolo infatti non sono altro che gli ultimi resti di antichi molluschi marini, appartenenti al genere Megalodon (da non confondere con lo squalo Megalodonte), vissuti fra il devoniano e il giurassico. Una specie di tipo tropicale che viveva all’interno delle grandi lagune che un tempo caratterizzavano l’area del palermitano – dalla provincia di Trapani fino alle Madonie – e che erano imparentati alla lontana con le Ammoniti.
Morfologicamente i Megalodon oggi presenti a Capo Rama ricordano molto di più un cuore rispetto a uno zoccolo, ma per quanto i tecnici hanno dibattuto sulle sue vere forme negli scorsi decenni, oggi sappiamo che questi organismi avevano in vita una forma più simile ad una punta di lancia e che convissero insieme a coralli, ad altri grandi molluschi bivalvi e a diverse tipologie di spugne oggi estinte, in molte aree del mondo.
Se si osservano ancora oggi nella loro interezza, i Megalodon appaiono davvero molto simili ai disegni con cui gli antichi descrivevano gli arti dei demoni all’interno dei testi medievali. Di Megalodon però è possibile distinguere due diverse tipologie nell’area.
Le conchiglie complete, libere dalla morsa della roccia, sembrano proprio degli zoccoli abbandonati, la cui pietrificazione veniva spiegata tramite qualche maleficio divino.
Le conchiglie invece ancora inglobate dagli strati di suolo e roccia, tagliate in senso orizzontale dall’erosione provocata dalle correnti marine e dal vento, ricordano piuttosto le impronte lasciate dagli animali, nel terreno reso umido dalla pioggia.
Entrambe le versioni contribuirono a far credere che questi reperti appartenessero al maligno e che nelle notti di luna piena le streghe avessero l’usanza di giungere presso Capo Rama, alla ricerca del sostegno dei loro amanti… poco raccomandabili.
Bisogna anche dire che secondo molti studiosi moderni l’attuale leggenda degli zoccoli del Diavolo di Capo Rama sia solo una reinterpretazione recente di un mito molto più antico, che tentava di spiegare la comparsa di queste strane forme della roccia senza chiamare in causa le streghe o una diretta connessione con l’Inferno.
Già all’epoca dei Fenici infatti gli antichi pastori dell’area sembravano essersi accorti della natura molto particolare di queste rocce, ma non conosciamo l’interpretazione che gli hanno dato.
Oggi è ancora possibile andare a vedere queste rocce, che non rappresentano però l’unica attrattiva disponibile all’interno della riserva, istituita nel 2000, a pochi chilometri dall’aeroporto di Palermo.
Nei pressi della riserva è infatti presente un’interessante comunità animale e vegetale, la cui biodiversità ha ispirato una lunga sequenza di studi scientifici e paesaggistici, nel corso delle ultime decadi.
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