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Gira su se stessa, in Sicilia non è solo un gioco: perché diciamo "pari 'na strummula"

Molti lo conoscono come il gioco di strada per eccellenza, quello con cui si passava pomeriggi interi. Ed era così diffuso da essere usato anche in diversi modi di dire

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 4 agosto 2024

Quando mi lamento del caldo, e vi dico subito che il mio livello di sopportazione delle alte temperature è pari a nulla all’infinito, mi sento sempre rispondere nello stesso modo: «Eh, ma sei siciliano, per te il caldo non dovrebbe essere un problema».

Ora, voglio dire, ma chi schifiu vuole dire? Un siciliano non può soffrire il caldo? È come dire che un lappone non può soffrire il freddo. Io all’estate ci sparassi, e non solo per la consapevolezza che il mio clima ideale dovrebbe essere simile a quello di Oslo, ma picchi i cristiani, in estate, pare che perdono anche gli ultimi barlumi di capacità cognitive.

Chi guida come se avesse na varca senza timone, quelli che escono di casa mezzi nudi e magari su sciarriati cu sapune, e poi se per caso si va in spiaggia, c’è il carnaio più totale che per trovare 1/2 metro quadrato per stendere il telo devi farti calare con l’ elicottero da sopra, picciriddi e grandi che ti camminanu in capu, quelli che lasciano a munnizza unneghiè e l’acqua che già alle 9.30 del mattino è calda che ci puoi calare la pasta per il numero di minzioni fatte, che per trovare un po’ di acqua fresca e non incasinata devi nuotare fino a larghezza di navigazione petroliere.
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Potete ben capire il mio sconforto, quindi, quando lo scorso weekend dalle rispettive consorti, mia e di un mio amico, ci è stato proposto di andare a mare. Un brivido tutto lungo la schiena a tipo "Brancamenta", con la differenza che non era dovuto ad un cubetto di ghiaccio e del sexappeal della modella pubblicitaria, io, manco ci impincivu.

Tuttavia non è che posso fare sempre u passapitittu, quindi per non risultare il solito grevio ho acconsentito, rincuorato dal fatto che, in ogni caso, saremmo andati in un lido.

Cioè non è che vi dovete immaginare il "papeete" con le signorine prorompenti che ballano sui cubi mentre si beve Mojto, che quello lo lasciamo a chi si sveglia la mattina e per cominciare bene la giornata si fa altre due ore di sonno, ma una cosa molto modesta in quel di Trappeto.

Alla fine, a parte l’ esperienza del ristorante in cui era presente uno sportello del "Banco di Sicilia" per poter finanziare in 48 comode rate una pizza Margherita, la giornata è risultata anche abbastanza piacevole.

Proprio durante la permanenza al ristorante, mentre aspettavo che l’ impiegato del Banco mi dicesse se il finanziamento era stato accettato o meno, la mia attenzione è stata rapita dal pargolo della coppia che era con noi che, tutto abbarbicato sul cellulare, si divertiva a pigiare ritmicamente sullo schermo.

Avvicinandomi mi sono accorto che il bimbo era impegnato nello svolgimento di un gioco che si chiama “u tuppettu”, che in catanese sarebbe a nostra strummula.

Vedete che non sto babbiando, sto gioco c’è sul serio e potete scaricarlo dagli store del cellulare.

Caricate a strummula tappiando su un pulsante virtuale e poi la rilasciate sul campo da gioco, e potete anche sfidarvi online con altri concorrenti oltre a poter pittare e personalizzare la vostra strummula.

Manco a dirlo, dopo pochi minuti lo avevo scaricato pure io sul cellulare ed ero li a sfidarmi a colpi di trottola con un bambino di 9 anni la cui maturità, in quel momento, era decisamente superiore alla mia.

Ora mi aspetterei che facciano anche il gioco “i carruzzuna” e “acchiana u patri cu tutti i so figghi”, anche se sotto sotto non so se essere felice o no di questa “digitalizzazione” dei giochi di strada.

In tutta onestà io sono troppo giovane, per aver avuto grandi esperienze ca strummula, ma mio padre spesso mi ha raccontato delle sue prodezze trottolesche di quando da ragazzo.

Con l’apposito lazzitieddu si faceva partire la strummula all’interno di un quadrato disegnato con il gesso a terra. A sto punto, la prima trottola che cadeva, vuoi perché urtava contro altre trottole, vuoi perché l’effetto giroscopico terminava, perdeva, via via finchè non ne rimaneva uno solo.

Si poteva perdere anche se il proprio strumento usciva fuori dal quadrato, ma in ogni caso il proprietario della strummula che per prima aveva perso subiva la pizziata dal vincitore.

In pratica il magister della trottola prendeva quella del perdente e cominciava a colpirla ripetutamente per 7 volte con la punta di ferro. Se dopo 7 volte non si era spaccata, era salva e si poteva ricominciare a giocare.

Mio padre mi ha raccontato di quando lui da giovane era capace di pizziare le altre trottole in movimento, ovvero aveva il talento di lanciare la sua con un movimento talmente fluido a al tempo stesso massiccio da riuscire a spaccare le altre trottole al solo contatto mentre roteavano, facendolo salire così nell’ Olimpo degli dei della strummola.

Ho questa immagine di lui, senza panzunieddu, con una luce eterea da dietro, capelli al vento, che lancia la sua trottola creandole un tornado appresso.

A strummola era fondamentalmente un giocattolo povero, ovvero alcuni, tipo mio padre, ne avevano una fatta da una sfera di legno duro, spesso avanzata da qualche testiera di letto, nel cui centro veniva infilato un chiodo, ma non mancava la versione lusso che erano fatte al tornio con una tipica forma a goccia e le scanalature pu lazzitieddu, con una bel puntale in metallo finisssimo.

Ne accennava già Omero nell’Iliade, quando descrive il roteare di una pietra lanciata da Aiace, e li vedo i greci che tra un filosofeggiamento ed un altro si sfidano a colpi di strobilos, ovverosia, in greco, oggetto atto a ruotare, dal quale parrebbe derivare il nome di strummula.

Ca strummula si tintillavano anche Calliaco e Catone nell’antica Roma, e ne erano così entusiati da avere inventato un gioco che veniva detto turbo.

Disegnavano a terra un cerchio diviso in settori numerati, con il numero più alto al centro. Una volta lanciata la trottola bisognava cercare di escludere le altre colpendole e raccogliere quanti più punti possibili fin ad arrivare al centro che aveva il punteggio massimo.

Il vincitore poteva decidere se essere “infamone” rompendo le trottole dei perdenti, oppure graziarle, un po’ come accadeva nelle nostre strade in modo più semplificato.

A strummula era talmente diffusa che creò dei modi dire come “virimu se u lazzu o a strummula” per dire di cercare di capire cos’è che non va o “pare uno strummolo” per identificare uno che è tutto luocco, ma quella più significativa è “ma chi fa sbattisti u strummulone?” per far capire ad una persona che sta dicendo una solenne minchiata e che potrebbe quindi aver sbattuto la testa un po’ come fanno le strummola durante il gioco.
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