PERSONAGGI
Fu la maschera (tragica) di Palermo: Franco Scaldati sapeva guardare negli occhi la città
Attore, poeta e drammaturgo, Scaldati ha messo in scena l'abisso di una città che nella sua disperata ricerca di resistere, si lascia amare nonostante tutto
Franco Scaldati
Franco Scaldati è stato un drammaturgo, poeta attore, autore prolifico e per oltre 40 anni ha messo in scena la marginalità, l’abisso di Palermo dove i protagonisti sono anche gli affamati, poveri, dimenticati, che comunicano con violenza, perché con violenza sono stati trattati.
Ha recitato in dialetto, quello rude, duro ma pur sempre poetico.
Ha rappresentato la maschera tragica di Palermo affogata dal cemento, ostaggio del malaffare e d’istituzioni corrotte, una città che nella sua disperata ricerca di resistere, si lascia amare nonostante tutto.
Franco Scaldati nasce a Montelepre nel 1943, dove i genitori si erano trasferiti a seguito dei bombardamenti su Palermo. Ritornato in città, non termina la quinta elementare e il padre decide di “mandarlo a bottega da un sarto” per imparare un mestiere.
Debutterà in “Ricorda con Rabbia” di Osborne nella compagnia di Nino Drago, nel Teatro Bunker, reciterà testi di Beckett De Filippo Dario Fo, Pirandello. Sono anni di sperimentazione e avanguardia che si oppone a un teatro da cartellone con attori dalla "O chiusa", come diceva in un suo testo.
"Il Pozzo dei Pazzi", considerato il suo capolavoro, sarà rappresentato nel 1974, nel 78 sarà la volta di Lucio, opera poetica e immaginifica, che non sarà capita e apprezzata.
Tanta la scrittura, tanta recitazione.
Scaldati, è un uomo del popolo da lì proviene, con un bagaglio di pessimismo e panteistica spiritualità. «Credo In Dio nella Madonna, nei Santi e Angeli, credo nel diavolo e negli spiriti».
Sono anni di politica e di lotta, Letizia Battaglia ricorderà in un docufilm del 2015 presentato al Mostra Cinematografica di Venezia, «era un personaggio a se», definito da molti un cane sciolto, aveva ben chiaro quali fossero le vessazioni e i bisogni degli emarginati di Palermo, e per questo consapevole che un’ideologia non dava sempre risposte.
In questo periodo stingerà rapporti profondi e duraturi con attori come Melino Imparato, Rory Quattrocchi, Gaspare Cucinella e tanti altri.
Con Cucinella creerà una coppia famosa del suo teatro: sono gli affamati, squattrinati, litigiosi, reietti: Totò e Vicè. Cucinella, non sarà solo una spalla, ma un compagno incredibile, bersaglio mai passivo d’invettive e offese cui risponderà in una contesa fisica verbale e linguistica.
Tante le esperienze e gli incontri, lavorerà al Teatro Biondo, dove sarà interprete in commedie non sue, nell’attesa che siano finanziati con grosse produzioni i suoi lavori.
Un'attesa vana, i soldi per i suoi lavori saranno sempre pochi. Il Premio ricevuto per Assassina “ la Direzione del Piccolo Teatro, la collaborazione con Antonella di Salvo, il Cinema con Kaos dei Fratelli Taviani, con Pasquale Scimeca Tornatore, Ciprì e Maresco, la Direzione Artistica delle "Orestiadi a Gibellina", sono altre tappe di una carriera, che a un certo punto si interromperà, sceglierà “il teatro di quartiere”.
Nascerà il Laboratorio Femmine dell’Ombra ad Albergheria. La “ marginalità “ diventerà protagonista. Nel 2002 nasce la Compagnia Franco Scaldati, di cui faranno parte Imparato erede e amico di Scaldati, che continuerà anche dopo la sua morte,a promuovere l’opera del “Sarto”.
Rivolgo a Imparato alcune domande sull’esperienza “di quartiere”.
«Franco era stanco di un certo teatro, legato alla produzione e alla logica aziendale, si chiedeva cosa bisognasse fare - spiega -. La risposta fu in quel laboratorio permanente, un teatro di comunità che metterà insieme “attori professionisti, giovani e anziani, studenti dei vicini pensionati, universitari. Fu la risposta alle politiche culturali di Palermo a quei tempi, fatte di grandi eventi, senza alcun seguito».
Aggiunge che il teatro di Scaldati fu quello del Noi - "noi stiamo facendo, noi siamo qui" - qualcosa che dopo la sua morte è andato perduto pur avendo ancora i suoi testi, la sua lingua, il suo modo di lavorare.
«Non so quanti giovani allievi della scuola di teatro del Biondo conoscano i testi di Scaldati e non credo che ci sia la sua lingua come materia di studio».
Palermo ha un grosso debito con Scaldati, mai "saldato". Il suo lavoro è continuato sino all’ultimo giorno della sua vita, avvenuta nel 2013, aveva 70 anni.
Dopo la sua scomparsa non trovando la Città, fondi e spazi per custodire il suo intero “Corpus”, la famiglia scelse di donarlo alla Fondazione Cini di Venezia.
Solo nell’ultimo periodo un progetto editoriale ha iniziato a pubblicare tutti i suoi scritti, un lavoro immane. Scaldati, diceva che l’attore è uno sciamano, un veicolo per altri mondi, "quando scrivo, mi viene un senso di colpa, un foglio di carta prima era un fiore, e spero che ritorni a esserlo, nel teatro non si muore mai”.
Scaldati è tornato nel quartiere dove prese vita il suo straordinario laboratorio, Igor Scalisi Palminteri (pittore di quartiere come ama definirsi e autore del Murales di San Benedetto il Moro) l'ha ritratto a Ballarò: «Ho voluto esprimere la poesia del suo sguardo, nel momento del pensiero creativo”.
Durante la realizzazione del murale sentiva: "ma chistu cu è?". «Così - spiega - ho voluto mettere in forma discreta il nome, per farlo conoscere o ricordare, rendere la sua presenza costante. Scaldati ha saputo guardare negli occhi questa città».
È la marginalità che recita e si racconta senza fronzoli, diventando poesia degli sconfitti.
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