STORIA E TRADIZIONI
Fu l'ultima regina di Sicilia: le disavventure e la tenacia della vedova Bianca di Navarra
La sua vita al centro di ricostruzioni storiche che hanno il sapore della leggenda. Nonostante fosse una donna intelligente e dal carattere forte, fu spesso vittima di forze più grandi di lei
Bianca di Navarra, regina di Sicilia
Tra queste, scegliamo di narrare la storia dell’ultima regina di Sicilia: Bianca di Navarra, regina di Sicilia dal 1402 al 1409, e di Navarra dal 1425 al 1441. Già per gli storici umanisti di poco a lei posteriori, fu al centro di ricostruzioni storiche che hanno il sapore della leggenda.
Il contesto è quello della prima metà del XV secolo e gli Aragonesi dominano il Mezzogiorno d’Italia, oltre al regno di Napoli appartengono ai possedimenti aragonesi anche la Sardegna e la Sicilia. Bianca – “molt bella et molt savia e endreçata et dotata de totes virtuts”, come riferiscono le fonti dell’epoca – nonostante fosse una donna intelligente e dal carattere forte, fu spesso vittima di forze più grandi di lei: in primo luogo le consuetudini e la mentalità dell’epoca.
Nata nel 1387 a Pamplona, nel regno di Navarra, terzogenita del sovrano Carlo III e di Eleonora Enriquez, di lei non si sa praticamente nulla fino al 1401, quando cioè venne scelta per diventare seconda moglie del re aragonese di Sicilia, Martino il Giovane, figlio dell’omonimo sovrano di Aragona (chiamato dagli storici, Martino il Vecchio).
Il giovane re di Sicilia era rimasto vedovo ed aveva necessità di convolare a nuove nozze al fine di poter avere eredi legittimi. Il 26 novembre del 1402 vennero celebrate le nozze nella Cattedrale di Palermo. I due sovrani quindi partirono alla volta di Catania per risiedere nel Castello Ursino.
Gli anni di vita coniugale di Bianca insieme al marito non furono tuttavia dei più felici. Dallo scambio epistolare tra Bianca e il re di Navarra, suo padre, emerge soprattutto che Martino non rinunciasse alle avventure extraconiugali. Nel settembre del 1403, il re di Aragona veniva infatti informato che al figlio erano nati due bambini illegittimi da due concubine catanesi. Ma ciò che pesava maggiormente alla nuova regina di Sicilia era l’amarezza di non riuscire a dare subito un erede al giovane re Martino. Soltanto nel dicembre del 1406 Bianca partorì un maschio, che però morì prima di compiere il suo primo anno di età.
L’anno seguente il suo consorte partì per la Sardegna con un gran seguito di navi e uomini armati per combattere i ribelli sardi appoggiati dalla Repubblica di Genova. Prima di partire tuttavia nominò Bianca sua vicaria dandole il mandato di governare la Sicilia in sua assenza. Ma nell’estate del 1409, dopo aver, sconfitto le forze sarde, Martino il Giovane morì a Cagliari in seguito ad una malattia.
L’improvvisa morte del re Martino senza la presenza di alcun erede legittimo non solo complicava il governo della Sicilia ma gettava in grave difficoltà istituzionale la stessa monarchia aragonese. Martino il Vecchio, con il dolore ancora vivo per la morte del figlio, si affrettò a riconfermare Bianca nel suo ruolo di vicaria, ma questa volta non come rappresentante del suo defunto consorte ma della stessa corona aragonese.
Quest’ultimo è un dettaglio fondamentale che non aveva precedenti nella storia: in pratica Bianca si ritrovava così ad essere una vice-regina, la prima rappresentante di una forma politica e giuridica che avrebbe avuto tanta fortuna per i regni iberici non solo in Sicilia e in Italia, ma anche ad esempio, a partire dal secolo successivo, nei domini spagnoli in America.
Nel maggio dell’anno successivo morì anche Martino il Vecchio senza lasciare figli ne indicazione di alcun successore, con la conseguenza che sia la Catalogna che la Sicilia piombarono nel caos. In Sicilia il Conte di Modica e Gran Giustiziere (cioè Ministro della Giustizia) Bernardo Cabrera contestò l’autorità della principessa (o vicaria) Bianca.
Forte dell’appoggio di un certo numero di città e feudatari aragonesi, il vecchio ma ancora energico Conte di Modica, sosteneva che secondo la consuetudine (di cui però non se ne trovava traccia nella giurisprudenza dell’epoca) in assenza di un legittimo sovrano il regno doveva essere amministrato dal Gran Giustiziere. Sulla base di questo presunto titolo cominciò ad annettersi i possedimenti feudali di Bianca (Siracusa, Lentini, Mineo, Vizzini, Paternò, etc.), che costituivano la cosiddetta Camera Reginale.
Il Conte Cabrera cercò inizialmente di assecondare in forma astutamente diplomatica le sue ambizioni di potere: infatti, dopo aver ottenuta udienza dalla principessa Bianca, si recò con le migliori intenzioni di pace al Castello Ursino di Catania, che all’epoca si trovava ancora a pochi metri dal mare. La principessa, non fidandosi, si era intanto imbarcata sulla sua nave e dall’alto di questa ascoltò quanto aveva da dirle il vecchio Conte di Modica rimasto sul molo. Il Gran Giustiziere cercò di convincerla, a suo dire per il bene della Sicilia e della corona aragonese, ad unire le loro forze e addirittura finì col proporle di sposarlo.
Quando Bianca sentì quella sfacciata proposta andò su tutte le furie e prima di ordinare al capitano della sua nave di allontanarsi, congedò il vecchio Cabrera con un’esclamazione rimasta famosa: “Vattene via, vecchio scabbioso!”. Ferito nel suo orgoglio, il Gran Giustiziere decise allora di ricorrere alle maniere forti e tentò di far rapire dai suoi uomini la bella principessa di Navarra mentre si recava nel vicino convento delle suore benedettine a pregare.
Il tentativo non riuscì e la principessa Bianca, sentendosi ormai poco sicura a Catania, decise di trasferirsi insieme all’ammiraglio Sancio Ruiz de Lihori a Siracusa. Ma venne raggiunta anche lì dal vecchio Cabrera che col suo esercito assediò la fortezza nella quale si era rifugiata.
Fortunatamente dopo poco tempo Bianca venne liberata dal conte di Adernò (oggi Adrano), Antonio Moncada che insieme ai suoi,uomini portò in salvo a Randazzo la povera principessa. Di lì a poco la principessa di Navarra si diresse a Castronuovo con lo scopo di raggiungere Palermo e lì stabilirsi per dare un chiaro segnale ai suoi sostenitori e ai suoi avversari.
Alla fine del 1411 i nobili aragonesi avevano deciso di inviare in Sicilia tre esperti giuristi incaricati di stabilire se a reggere temporaneamente l’Isola dovesse essere la principessa Bianca o il Gran Giustiziere Bernardo Cabrera. Ma quest’ultimo, non essendo disposto a starsene tranquillo ad attendere l’arrivo dei tre giudici, mise in atto un piano destinato a venir tramandato dagli storici contemporanei e successivi.
Bianca risiedeva col suo seguito di ancelle e guardie nel Palazzo dello Steri, nei pressi del porto di Palermo, sempre temendo qualche pericolo aveva disposto che la sua nave personale fosse ormeggiata nelle vicinanze. Cabrera e i suoi uomini una notte riuscirono a entrare in incognito a Palermo nel tentativo di rapire nuovamente la principessa. Il piano tuttavia fallì per poco, Bianca infatti venne svegliata e allertata per tempo e con le sue ancelle si diede alla fuga rifugiandosi sulla sua nave, che prese subito il largo.
A questo punto leggenda narra che Cabrera gridò “Se ho perduto la pernice, rimane nelle mie mani il suo nido!”, si intrufolò quindi nella camera da letto della principessa e spogliandosi si gettò completamente nudo tra le lenzuola ancora calde del suo giaciglio vuoto, per fiutare come un cane da caccia l’odore della preda.
Rifugiatasi nel castello di Solanto a Santa Flavia (PA), la principessa attese all’inizio del 1412 prima l’arrivo dei tre giudici di Barcellona e poi le loro decisioni, confidando in un verdetto a lei favorevole. Ma i tre giudici, al contrario, assegnarono il governo temporaneo della Sicilia al vecchio Cabrera, e concessero alla principessa la residenza nel Castello Ursino di Catania.
Anche se vi furono certamente pressioni sui tre giudici da parte del vecchio Gran Giustiziere e dei nobili che lo appoggiavano, la decisione dei tre esperti rispose ad una logica pragmatica: secondo il loro giudizio, in assenza di un sovrano aragonese, soltanto una personalità decisa ed energica come quella di Cabrera, che a Barcellona era molto stimato e rispettato, poteva garantire l’autorità aragonese in Sicilia meglio di una giovane vedova in balìa degli stessi nobili che ne sostenevano la causa.
Ma se i tre saggi si aspettavano che in Sicilia tornassero finalmente pace e ordine, si sbagliavano di grosso. I palermitani che da sempre sostenevano la principessa Bianca mal digerirono l’ingresso trionfale di Cabrera, ed il Castello a Mare della città gli si ribellò. Così mentre il vecchio Gran Giustiziere lo cinse subito d’assedio come lezione per tutti, tutte le forze di Sicilia a lui avverse si appellarono a Bianca, che era già tornata a Catania, perché solo con il suo consenso avrebbero potuto combattere contro Cabrera con un minimo di legittimità.
Dopo le prime esitazioni la principessa diede alla fine il suo assenso a proseguire la guerra in suo nome e da ogni angolo della Sicilia gli eserciti di tutti i feudatari e di tutte le città contrarie al vecchio Conte di Modica, si diressero verso Palermo. Appena saputo dell’imminente arrivo delle forze avversarie Cabrera, per non rimanere intrappolato all’interno della città, schierò il suo esercito fuori dalle mura, preparandosi ad affrontare i suoi avversari.
Invece non vi fu alcuno scontro: il caso volle che mentre Ruiz e Moncada iniziavano a schierare le loro truppe, videro Cabrera uscire incautamente da solo da una porta secondaria della città ed immediatamente lo presero prigioniero. Il vecchio Gran Giustiziere fu così costretto a smobilitare le sue forze e a consegnare Palermo e la Sicilia alla principessa Bianca.
Quindi venne condotto alla fortezza di Motta S. Anastasia, nei pressi di Catania, dove venne rinchiuso. Il nuovo sovrano di Aragona, Ferdinando detto “il Giusto”, per non turbare la pace appena ritrovata in Sicilia, riconfermò Bianca come vicaria (in sostanza viceregina) di Sicilia, fornendole contemporaneamente tutto il suo appoggio per ricacciare le forze napoletane oltre lo Stretto.
Il re Ferdinando d’Aragona aveva anche espressamente chiesto a Bianca di liberare il vecchio Bernardo Cabrera di cui aveva un’ottima opinione, ma la nuova viceregina non ne volle neppure sentir parlare. L’anno successivo, il 1413, gli ambasciatori del sovrano aragonese riuscirono tuttavia a convincere Bianca a liberare l’irrequieto e pericoloso Conte di Modica dietro l’impegno che questi s’imbarcasse subito per Barcellona a rendere conto di tutto il suo operato al suo sovrano.
La sovranità di Bianca, su di una Sicilia finalmente in pace, non doveva tuttavia durare a lungo. Di lì a poco infatti in Navarra morì sua sorella maggiore, ed erede del regno. Il padre, Carlo III, chiese allora al re d’Aragona Ferdinando di esonerare Bianca, l’ultima figlia rimasta e divenuta l’unica erede, dalle sue responsabilità di governo in Sicilia, in modo che potesse tornare in patria. Il sovrano di Barcellona acconsentì e nel 1415 Bianca lasciò definitivamente la Sicilia per tornare in Navarra.
Vissuta in un periodo storico in cui le figlie dei sovrani erano semplici strumenti per alleanze fra casati e per acquisire nuovi regni in eredità, la principessa Bianca ebbe anche la sfortuna di venire utilizzata in Sicilia come una “bandiera” da tutti quei feudatari e quelle città contrarie alle ambizioni di potere del vecchio e spietato Gran Giustiziere Bernardo Cabrera.
Nonostante tutto Bianca di Navarra rimane nella storia di Sicilia come stoica vicereggente del Regno e donna tenace e intelligente.
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