CRONACA
Fu celebrato in una chiesa in Sicilia: la data del primo (vero) maxiprocesso alla mafia
Un recente lavoro di digitalizzazione fa riemergere gli atti e toglie il "primato" a quello che si svolse nell’aula bunker nel 1986, istruito da Falcone e Borsellino
Un'immagine del primo maxiprocesso alla mafia
Quel processo che chiamava a giudizio 475 imputati assistiti da circa 200 avvocati difensori, iniziò il 10 febbraio del 1986, davanti la Corte d’Assise di Palermo, e si concluse con la conferma delle sentenze di condanna in Cassazione il 30 gennaio del 1992. Decisamente consistenti le condanne inflitte che furono di 2665 anni di carcere con 141 assolti.
In realtà il primo maxiprocesso della storia sulla mafia siciliana si celebrò nel 1927 a Termini Imerese, togliendo il “primato” a quello, decisamente più noto, che si svolse nell’aula bunker accanto al carcere "Ucciardone".
Il processo iniziò il 4 ottobre 1927 e si concluse tre mesi e sette giorni dopo, l’11 gennaio 1928. Un recente lavoro di digitalizzazione e ricerca storica negli archivi giudiziari, a cura dell’Ordine degli Avvocati e della Camera penale di Termini Imerese, ha fatto riemergere gli atti di questo importante originario “maxiprocesso”.
L’azione delle squadriglie interprovinciali formate da polizia e carabinieri reali e guidate dal Commissario di Pubblica Sicurezza, Francesco Spanò, braccio esecutivo di Mori sulle Madonie, assicurò alla giustizia storici latitanti che imperversavano sulle Madonie. La raccolta degli atti del processo fu mirabilmente curata dal giudice istruttore di Termini Imerese Ferdinando Umberto Di Blasi, l’accusa fu sostenuta dal Procuratore del Re, Luigi Malaguti.
«Per il numero degli imputati e per la mole degli atti posti all’esame della Corte di Assise - commenta l’avvocato Salvatore Sansone curatore dello studio degli atti del processo e coordinatore dell’opera di digitalizzazione - si tratta del primo maxiprocesso alla mafia celebrato davanti ad un Tribunale siciliano.
Una valutazione approssimativa degli atti ha ingiustamente diffuso l’opinione che il processo fosse stato celebrato sommariamente per l’urgenza di una sentenza che la politica del tempo voleva strumentalmente usare per propri fini propagandistici.Il nostro approfondimento rivela il contrario. Il processo fu celebrato rispettando ogni garanzia prevista dal codice del tempo (Codice Finocchiaro Aprile) ed a ogni imputato fu assicurata una difesa adeguata».
Un diverso discorso riguarda invece «il trattamento riservato ad alcune pretese parti offese - continua Sansone - i grandi proprietari terrieri che il processo salva sebbene la loro condotta poco avesse a che fare con il “ruolo di vittime del reato” interpretando in molti casi il ruolo di veri concorrenti esterni».
Le imputazioni erano le più diverse: 5 omicidi, 4 tentati omicidi, numerose rapine aggravate, estorsioni, furti, abigeati, e il reato principale, quello che giustificava la competenza della Corte di Assise, l’associazione a delinquere. La sentenza fu preceduta dal verdetto dei giudici popolari il cui ruolo, secondo il codice del tempo, era decisivo per il riconoscimento di colpevolezza.
Le pene furono stabilite con sentenza curata dal presidente della Corte di Assise cavaliere Giuseppe Maggio assistito dal Cancelliere Cav. Giuseppe Pantano. Le condanne furono di rilievo: 7 gli ergastoli per i capi banda e numerose pene comprese tra i 30 e i 24 anni, ed ancora tra i 10 e i 5 anni per l’associazione a delinquere semplice. La copertura mediatica del processo fu senza precedenti.
Quotidiani i resoconti dei giornali locali il Giornale di Sicilia e L’ Ora. L’eco degli esiti del processo con la sua sentenza riportata come la grande vittoria del governo e la sconfitta definitiva della mafia rimbalzò sulle prime pagine di tutte le testate nazionali e internazionali. Dell’ argomento si interessarono il “New York Times” ed il “Times” di Londra. “(…)
Al processo della mafia, che si svolge a Termini Imerese, attraverso le deposizioni dei testi a carico, le responsabilità si precisano inconfutabili e gli episodi sanguinosi, le sopraffazioni e gli altri reati si ricostruiscono in ogni particolare” scriveva la stampa nazionale di quel tempo "gli imputati si mostrano piuttosto preoccupati e non riescono a dissimulare la loro disillusione davanti alle prove schiaccianti (…)".
Lo studio degli atti del processo attraverso l’opera di digitalizzazione ci consente interessanti approfondimenti sul contesto sociale, economico e politico del tempo. Il processo ricostruisce attraverso l’analisi delle relazioni tra la delinquenza dei latifondi e i grandi proprietari terrieri, alcuni snodi essenziali per comprendere l’evoluzione del fenomeno dell’associazione per delinquere che rappresenta l’origine della mafia moderna.
«Il nostro progetto e diretto al recupero e alla valorizzazione del patrimonio degli archivi giudiziari e allo studio dei processi storicamente più significativi celebrati nella competenza territoriale del Nostro Tribunale - commentano l’avvocato Giuseppe Muffoletto presidente dell’Ordine degli avvocati e l’avvocato Vincenzo Pillitteri presidente della Camera Penale di Termini Imerese -. Per tale ragione abbiamo avviato una collaborazione in convenzione con l’Archivio di Stato per la digitalizzazione di altri processi storicamente significativi per farne argomento di studio e formazione per i giovani avvocati nonché consentirne la pubblica fruizione telematica».
Il processo di Termini Imerese venne celebrato in una chiesa all’interno del vecchio Tribunale adiacente la scalinata di via Roma, per l’occasione adattata ad aula, capace di poter ospitare un numero cospicuo di imputati, famigliari, giornalisti e avvocati. Gli atti saranno presto disponibili online sul sito dell’Ordine degli Avvocati ti Termini Imerese.
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