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Feste natalizie e vizi (vecchi e nuovi): come giochiamo d’azzardo da secoli in Sicilia

Il gioco in Sicilia nel Settecento era più di un divertimento: leggi severe cercavano di arginare un antico vizio che univa nobili e popolani tra dadi, carte e scommesse

Viviana Ragusa
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  • 9 dicembre 2024

Georges de La Tour - "Il baro con l'asso di quadri"

Il periodo natalizio è sinonimo di convivialità e tradizioni, e uno dei momenti più attesi sono le serate in famiglia, tra una fetta di panettone e una "mano" a carte.

Tuttavia, ciò che oggi consideriamo un innocuo passatempo, nel passato poteva assumere contorni ben più complessi e problematici.

Tornando indietro nel tempo, infatti, scopriamo che in Sicilia il gioco, in particolare quello d’azzardo, era al centro di accese controversie, tanto che nel Settecento le autorità si trovarono costrette a imporre leggi per limitarne gli eccessi.

Il brivido del rischio e la possibilità di vincere grandi somme di denaro, infatti, conquistavano gli uomini di ogni epoca storica. Anche nei secoli passati, in una singola sera, intere proprietà potevano passare da una famiglia all'altra a causa di una "mano" sfortunata.

All’epoca la ludopatia era un fenomeno estremamente diffuso che non risparmiava neanche le classi più abbienti. Anzi, i nobili, avendo maggiori privilegi grazie alle loro ingenti disponibilità economiche, potevano organizzare delle partite private, sfuggendo ai frequenti controlli nei luoghi pubblici.
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Tuttavia, nel Regno di Sicilia il gioco d’azzardo causava spesso risse e rese dei conti sanguinose, motivo per cui le autorità locali e la Chiesa consideravano questo fenomeno non solo un vizio morale, ma anche una minaccia all'ordine pubblico e alla stabilità economica delle famiglie.

Per questo motivo, il Settecento fu un periodo in cui i viceré e il clero collaboravano costantemente per mantenere l'ordine morale e sociale in tutto il Regno di Sicilia.

Spesso i sermoni domenicali includevano ammonimenti contro il gioco d’azzardo e i sacerdoti potevano imporre penitenze severe ai fedeli che confessavano le loro colpe. Eppure, queste punizioni non erano affatto sufficienti per arginare il problema.

Nel 1726 Joaquin Fernàndez Portocarrero, nominato viceré qualche anno prima all’imperatore Carlo VI, emise un bando che proibiva severamente il gioco d'azzardo, ricevendo inizialmente un'accoglienza positiva. Tuttavia, l'efficacia di queste leggi veniva spesso limitata dalla mancanza di volontà e risorse per farle rispettare.

Di conseguenza, un decennio dopo venne emanato un altro bando per combattere questa piaga diffusa in tutto il Regno. Nel 1736 il nuovo viceré Pedro de Castro y Figueroa decise di inasprire le pene contro il gioco d’azzardo.

In base al secondo bando, chi veniva sorpreso in pubbliche piazze o all’interno di taverne, mercati e altri luoghi pubblici poteva essere soggetto a multe, confisca del denaro e degli oggetti utilizzati per il gioco o, in alcuni casi, anche a pene detentive.

Il pagamento, tuttavia, riguardava soltanto i nobili e i gentiluomini che potevano permetterselo; perciò, spesso, le pene più severe erano riservate ai ceti poveri. Inoltre anche nel Settecento le simpatie e le amicizie delle autorità garantivano ai più fortunati di "farla franca" e rimanere impuniti.

Di conseguenza, nel Settecento le leggi contro il gioco d'azzardo in Sicilia avevano un impatto significativo più che altro tra le classi popolari, mentre questo pericoloso passatempo continuava a essere praticato in segreto soprattutto tra i nobili, che potevano permettersi di organizzare giochi privati nelle loro residenze.

All’interno di questi sfarzosi palazzi, l’aristocrazia trascorreva le serate al riparo dagli occhi indiscreti delle autorità, combinando diversi giochi che riflettevano una mescolanza di tradizioni locali e influenze culturali esterne.

Proprio come facciamo noi adesso durante il Natale quando giochiamo al mercante in fiera e a "sette e mezzo", anche i nobili del Settecento avevano delle preferenze sui giochi da fare in compagnia.

I dadi erano una delle scelte più popolari ed erano di vario tipo, spesso fatti di osso o avorio. Ma anche i giochi di carte erano molto comuni, come lo spagnolo "primiera" (da cui deriva la "scopa") o il "bassetta", che richiedeva abilità e strategia, oltre a un po' di fortuna.

Però, proprio come accade oggi, nel Settecento le scommesse non riguardavano soltanto le carte o i dadi, ma anche eventi come corse di cavalli e combattimenti di animali. Queste occasioni attiravano grandi folle e le scommesse erano una parte importante dell'intrattenimento.

Il gioco nel Regno di Sicilia, in sostanza, a volte era un piacevole passatempo e rappresentava un modo per socializzare ma, per alcuni, era una possibilità di guadagno rapido. Perciò una semplice serata in compagnia poteva trasformarsi in un’ossessione, nonostante gli sforzi delle autorità che cercavano di regolamentare e limitare il fenomeno.

Eppure, in questo periodo di feste è interessante riflettere su come la cultura del gioco abbia attraversato i secoli, conservando ancora oggi il suo potere di unire le persone attorno a un tavolo.
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