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Era piccolo e carino, oggi in Sicilia non esiste più: cosa c'è (adesso) al posto del borgo

Un tragico evento e di quel luogo rimase quasi nulla. Si decise di ricostruire il paese lontano da lì, da quei tristi momenti, rielaborando e in parte eliminando il passato

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 28 luglio 2024

Cretto di Burri

C’era una volta un paese di nome Gibellina (Ibbidina in siciliano) Vecchia. Oggi c’è il Cretto di Burri. Dicono fosse piccola e carina. Adesso è un’immensa tomba in cemento.

Inoltre, per chi non lo sapesse, c’era pure un castello edificato da Manfredi Chiaramonte. Altre fonti citano le derivazioni arabe “ǧabal, plurale ǧibāl, ‘monte’, forse col suffisso -ina” di derivazione aggettivale.

Era arroccata in piena Valle del Belice, dove si rincorrevano voci e tradizioni popolari che ricordano le “lotte eterne” con i comuni di Salaparuta e Poggioreale. Tempi passati, tempi andati. Purtroppo.

Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, due scosse rasero al suolo l’intera cittadina. Comunità e storie di vita quotidiane vennero spazzate definitivamente.

Di quel luogo rimase poco e nulla. Successivamente l’amministrazione decise di ricostruire il paese lontano da quell’ambiente, da quei tristi momenti, eliminando “parzialmente” il passato.
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Nel silenzio tombale spuntò un raggio di sole che desse un senso alla “disgrazia ricevuta”. Un’opera, un componimento, un “passaggio d’arte” dovuto per trasformare il cumulo di macerie in un’immagine profonda: appunto il Cretto di Burri o ruderi di Gibellina.

Nell’imperdibile entroterra trapanese i visitatori entrano in uno degli ambienti sperduti di questa provincia (è raggiungibile dalla statale 119 usciti da Santa Ninfa).

Tornanti, restringimenti e saliscendi mettono a dura prova lo stato d’animo dei curiosi. Le distese coltivate provano a dare un senso alle imperfezioni della natura.

Colori vivaci che si mescolano senza seguire il giusto copione. È la Sicilia, in una parte di territorio dove le colline spadroneggiano con contenuti antichi e archeologici.

Improvvisamente la mente è pervasa da “singoli pensieri” senza meta. Vagano di fronte a una delle più grandi opere di arte contemporanea (Land Art). Costruito su un’area rettangolare (circa 80.000 metri quadrati) pari a 270 metri per 310, è composta da ben 122 blocchi di cemento (detti “isole”).

Sono alti circa 1,60 mt. La mente, di per sé, è colta da spunti di riflessione e prova a rispondere a qualsiasi dubbio. Chissà quali furono i primi pensieri di Alberto Burri quando mise piede nella vecchia città! Lui - grande maestro dell’arte informale - provò a liquidare la tremenda delusione con un frase sibillina (dopo avere visitato il vecchio sito): “Ecco, se devo fare qualcosa, io posso farlo qua”.

Dopo quattro anni, e precisamente nel 1985, iniziarono i lavori per creare uno dei massimi scenari artificiali per la memorizzazione del passato e l’isolamento dell’evento catastrofico.

Alle masse di cemento seguì una distesa bianca percorsa da “crepe”. Rappresentavano le strade - un modo per metter piede “dentro il passato”. È l’esatto momento del ricordo di una catastrofe senza fine. Anche un solo metro percorso è segno di grande rispetto (in quel luogo morirono tante persone, altre rimasero ferite).

La passeggiata non segue un itinerario definito. Si gira a est, poi una salita a nord, qualche metro di discesa per raggiungere un punto a ovest. Gli occhi provano a fare la loro parte scrutando qualsiasi cosa. Le voci della natura scandiscono i tempi della visita.

Con il passare dei minuti diventiamo gli attori non protagonisti di una sceneggiatura conclusa solamente nel 2015 (termine dei lavori). Per "scacciare" la tensione vengono scattate una serie d’immagini.

Ognuna di esse racconta un "pezzo di vissuto". Manca poco alla conclusione. Spunti, considerazioni e parole compongono “le perfette analisi personali”. Non occorrono perché il Cretto di Burri narra e testimonia, custodisce e conserva.

Ha una forma culturale, moderna ma dai contenuti antichi. Ancor oggi lega il filo pre-’68 con il post-terremoto e noi abbiamo il dovere morale di non dimenticare.
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