MISTERI E LEGGENDE
Era la sera in cui a Palermo si mangiava in spiaggia: San Pietro, le chiavi e gli sgombri
La festa di San Pietro affonda le radici nel passato siciliano, con tradizioni e momenti culinari: e c'è un motivo perché sia anche stato scelto come protettore dei pescatori
La "Negazione di San Pietro" di Caravaggio
San Pietro, nonostante nel Vangelo sia rappresentato con serietà, collerico e manesco, nella fantasia popolare era rappresentato come un tipo è divertente, ironico, a cui piacevano gli scherzi e qualche volta rimaneva vittima egli stesso. Il popolo lo identificava come un tipo “tignusu“ (cocciuto, caparbio, ostinato), perciò scherzando diceva “ Lu jornu di San Petru, t’attocca la ciàula“ (Il giorno di San Pietro ti tocca il corvo, la cornacchia nera).
Un’altra credenza popolare raccontava che il mare di Palermo era molto pescoso, in particolare di sgombri. Solitamente, però, in questo giorno dedicato al loro Patrono i pescatori non andavano a pesca. Il 29 giugno del 1634, i pescatori spinti dall’avidità del guadagno, senza riguardo alla solennità del Santo, uscirono con le loro barche per pescare. Non solo non presero pesci, ma per molti e molti anni seguenti il mare non fu più pescoso.
San Pietro fu preso come Patrono e protettore dai pescatori. Un intero quartiere formato da pescatori, che si trovava pressappoco dirimpetto l’odierno mercato ittico di Palermo fu intitolato a lui. Nella zona c’era la chiesa di San Pietro la Bagnara e fu demolita nel 1834 per esigenze tattico - militari, alcuni reperti sono custoditi nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis. L’intero quartiere fu distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
È noto che il popolo palermitano è da sempre “manciatariu” ed ogni occasione è buona per festeggiare. Un tempo, verso la metà di Giugno si cominciavano a vendere per le vie di Palermo, sparse e ammonticchiate sopra tavole o canestri, chiavi di pasta melata (di meli) e pasta e mandorle abbrustolite (sussamela), di torroncino, di cannella e di altro dolciume. Erano di varie forme, dimensioni e prezzo, da un centesimo o due, le mamme lo acquistavano in strada per i bambini mentre nelle pasticcerie costavano quindici o venti lire.
C’erano chiavi da mezzo metro, anche di un metro, che si portano sopra le tavolette. “L’abbanniata” era questa: Chi l’hajiu bedda grossa la chiavi! Hajiu la chiavi grossa! (l’ho bella grossa la chiave! Ho la chiave grossa!) Oltre alle famiglie, anche gli sposi li regalavano e ricevevano.
Ogni fidanzato regalava la chiave alla fidanzata per galateo amoroso: la chiave doveva aprire il cuore della fidanzata; era il simbolo della facoltà che di aprire la porta il Paradiso. Quando la chiave regalata si rompeva per mangiarla, allo sposo toccava il pezzo più grosso.
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