CULTURA
Era di malo carattere ma giustiziera: una priora a Palermo fra inciuci e bunga bunga
Giravano strane voci sul monastero di Santa Caterina e i palermitani evitavano di mandarci le loro figlie perché sti frati avevano sempre la testa al "cacio": ecco la storia
"Il monaco e la monaca" di Cornelis Van Harlem, del 1591
Proprio questa sottile differenza segnerà tutta la vita di Maria. In Europa c’era un bordello: Giovanna D’arco cacciava gli inglesi dalla città di Orleans, il Papa, con Martino V, faceva ritorno a Roma da Avignone dopo centotrentacinque anni di villeggiatura in Francia e in Sicilia c’erano addirittura due viceré. Si, avete capito bene, due viceré: Guglielmo Montagnas e Niccolò Speciale; e la gente giustamente si confondeva perché un giorno doveva andare a leccare a uno e un giorno doveva andare a leccare all’altro; certe volte si confondevano pure i viceré e si leccavano fra di loro.
E con la scusa che le chiavi del monastero femminile le dovevano tenere loro - perché le dovevano tenere loro! - prima mandavano a letto i confratelli vecchi e poi partivano - tipo John Travolta nella prima scena de “La febbre del sabato sera” - destinazione Santa Caterina con un unico e solo obbiettivo: i bunga bunga.
Maria Alaymo, non dormendoci la notte su questa situazione, s’andò a impaiare i viceré e, sapendo sta cosa delle leccate, gli disse: “Cu avi lingua arriva a Roma”; e i viceré capirono! Quando si parlava di leccate e Roma capivano sempre! Guglielmo Montagnas e Niccolò Speciale, dunque, si misero belli tranquilli come Totò e Peppino e scrissero una bella lettera a Papa Martino V per far si che il Santa Caterina guadagnasse la dignità abbaziale di cui abbiamo parlato sopra.
Il Papa, che già gli era siddiato pure a campare perché sua madre l’aveva portato in chiesa per la prima volta a cinque anni e d’allora non se n’era potuto uscire più, s’acchiappò l’arcivescovo di Palermo Umbertino de Marinis e gli disse: “cu campa paia, cu mori è curnutu”; e l’arcivescovo capì!
Quando il Papa parlava, l’arcivescovo capiva sempre! Il risultato di tutta questa bella faccenda fu che Maria venne sollevata dal suo ruolo di priora perché aveva pestato i piedi a chi non li doveva pestare. I Crick e Crock della politica siciliana, così vogliamo immaginare i viceré Guglielmo Montagnas e Niccolò Speciale, dispiaciuti, cercarono di fare ragionare la suora: “Marì, tu devi capire che ste rivoluzioni nella storia si fanno una volta ogni morte di Papa…”: infatti il 20 febbraio 1431 Papa Martino muore.
Morto un Papa se fa un altro e spunta Papa Eugenio IV. Spunta pure Alfonzo V, figlio del re di Spagna, che si schiera in favore di Maria Alaymo: nessuno ci capisce più niente, pare un romanzo di Agatha Christie. L’arcivescovo Umbertino de Marinis allora torna al monastero per ricominciare da capo tutta discussione e si porta appresso un suo amico che si chiama Giuliano de Majali: benedettino di San Martino delle Scale che santiava dalla mattina alla sera contro la burocrazia siciliana perché stava allestendo l’Ospedale Grande dentro Palazzo Sclafani e ogni giorno ne spuntava una.
Stu Arcivescovo De Marinis non si poteva tenere e stava tutto il giorno a fare il milanese e a lamentarsi sempre delle stesse cose: “Lavurà, produrre, la Maria, la cutuletta…”; purtroppo però, a forza di tutto questo correre, forse causa stress, nel 1437 Umberto De Marinis muore: è un’ecatombe!
Intanto Maria Alaymo diventa di nuovo priora perché si mette a curare la moglie malata di un Abatellis, Aquila del Clemenciis si chiama, che sta a Santa Caterina per due anni e quando viene dimessa le dona tutti i suoi averi.
I “mali pinsanti” e gli invidiosi però sono sempre lì a operare, sparraciuniare, farle i conti in tasca e riescono un’altra volta a toglierle la carica. Ci riprova anche Alfonzo V, il figlio del re, a metterci la buona parola ma questa volta, visto che conta quanto il due a mazze quando la briscola è a denari, il nuovo arcivescovo se ne fotte altamente e da un orecchio gli entra e dall’altro gli esce.
Tuttavia, il dodici di agosto, il re in persona, Ferdinando I, prende coscienza di quello che aveva sempre sospettato su suo figlio: “questo pigliò paro paro dalla famiglia di sua madre perché cretini di sta portata nella mia non ce ne sono stati mai!", e inghiottita l’amara verità, rottosi di tutto stu teatrino, ordina che al Santa Caterina venga data dignità abbaziale e la priora venga fatta badessa.
I “mali pinsanti”, che per tutta la verità erano proprio degli elementi di spiaggia, capiscono che la loro nave sta per affondare e decidono, dopo una riunione che avviene alla Martorana, che si devono tirare al fondo pure la Maria Alaymo. Mettono in mezzo ricchi signori, potenti baroni, parrini pasciuti e, alla fine, riescono a ottenere che Maria Alyamo non venga nominata Badessa ma venga scelta un’altra consorella al suo posto: viene eletta quindi Scolastica de Castellar, donna di nobili origini e sua amica.
La gloria di Maria Alaymo purtroppo dura poco perché la vittoria contro i potenti ha sempre un prezzo: verrà liberata da ogni carica e cacciata dal Santa Caterina con lo zampino di un’altra cordata di Abatellis che volevano una loro parente nella carica di badessa. Maria finì per vagabondare e campare di elemosina ma, per fortuna, l’amica e badessa Scolastica, anche se dopo anni, riuscì a farle ottenere un vitalizio di 12 onze l’anno. Scolastica rimase nella carica di badessa per trent’anni e, se pur malata, durante il suo mandato il Santa Caterina divenne il monastero più facoltoso di tutta Palermo.
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