STORIA E TRADIZIONI
È il "carcere a metà" ma col nome non c'entra: perché l'Ucciardone si chiama così
La storia antica del luogo di reclusione di Palermo che si affaccia su Monte Pellegrino. C'entrano l'agricoltura, l'acqua, Orwell e i francesi. Di che cosa si tratta
Il carcere dell'Ucciardone
Non se li scordò chiù nuddu i nomi di quei due primi infetti attrovati morti, due poveri marinai: Mancini e Tagliavia. Nun se accapì chiù nienti! Da quel momento s’incominciarono a sparare numeri: cu diceva 2000 morti per ghiorno, cu abbaniava 24.000 morti solo ‘mPaliemmu, e cu 70.000 in tutta ‘a Sicila.
Nummari da arrizzari le carni. Dalla primavera ‘nfino all’autunno, quando finalmente alla Cattedrale si celebrò la messa ca metteva la parola "fine" alla brutta bestia.
Intanto, i poveri s’erano decimati, diventando sempre chiù poveri, e i ricchi sempre chiù ricchi. Poi ci stava n’altra categoria, ‘nvisibile, rinnegata, tenuta nascosta: i carcerati.
Li stanno, infatti, trasferendo dal carcere della Vicaria, alla Grandi Prigione Centrali, o, come la chiamano già i palermitani, la Vicaria Nova. Accussì si chiamava, e basta. Nuddu, in quei giorni, si sarebbe mai ‘nssonnato di chiamarla Ucciarduni. Da quanno ci fu l’unificazione del Regno di Sicilia con il Regno di Napoli, la figura del vicerè venne canciata con quella del Luogotenente Generale.
Gli isolani non lo hanno capito, ancora, se fu cosa buona e giusta o se prima o poi si finisce scippandosela in quel posto. Infatti, tra il popolo ‘gnoranti circolano mali discursi, infidi: “Com’è? Ca si stava megghio quannu c’era u viceré! Ora ca c’è u luogotenenti nun si mancia chiù nienti”.
Ma il popolo, si sa, è fatto per parlare. Parlare e basta. Quello ca invece fa la sostanza e se la ride è proprio il Luogotenente, u marchisi di San Pasquale, all’anagrafe Josef Anton Tschudi.
Sta allegro perché gli hanno raccontato ca il carcere nuovo s’affaccia sul Monte Pellegrino, quindi i detenuti tengono la vista verso il monte della Santuzza, patrona di tutti i palermitani. ‘Sta cosa lo fa accussì ridere, ca magari la racconta a tipo barzelletta all’avutri conti, duchi e gente di buon affare.
Svizzero è! Vuoi vedere ca magari gli svizzeri, ca nun hanno riruto mai, appena mettono piede ‘nSicilia ci viene u buon umore. Verso menzojorno, l’ufficiale della Gendarmeria entra al carcere della Vicaria; c’è feto di latrina.
Comunica a tutti i carcerati ca se hanno da liberarsi che lo facciano ora, picchì poi il tempo che vengono riallocati nelle nuove celle e via discorrendo, bagno nisba.
L’ufficiale, quindi, torna di gran fretta dal Luogotenenti per comunicargli ca tutto è pronto. U marchisi di San Pasquale però in quel momento è occupato, si sta liberanno puru iddu.
La notizia però è troppo urgenti, perciò lo fanno accomodare quanto più possibile. «Proceda!» ordina il Luogotenenti. «Procedo!», risponde l’ufficiale, che in quel preciso momento compisci ca la cacata del povero e la cacata del ricco fannu lu stesso feto.
Lu re addecise che è necessario rinnovare tutte le carceri del Regno, perciò non si badò a spese. Per quella palermitana si mannò a chiamare nientepopodimeno ca l’architetto Emmanuele Palazzotto, lo stisso che ha lavorato al campanile della Cattedrale.
Per la serie, piccioli fanno picciuli, non si dunano solo la costruzione del nuovo carcere, ma anche la ristrutturazione della Vicaria, per farlo diventare il Palazzo delle Reali Finanze.
Lo va a vedere, il vecchio carcere, che, a parte la puzza di latrina mantiene buona struttura, quindi si po’ fari. Lo comunica al marchisi di San Pasquale, ca però è di nuovo occupato a liberarsi.
Magari Palazzotto, capisci ca la cacata dei Luogotenenti e quella dei carzerati fanno lo stisso feto. U progetto è grande e visionario. Addirittura, si ispira al Panopticon, un progetto di edificio istituzionale con sistema di controllo ‘ncorporato, disegnato dal filoso ‘nglisi Jeremy Bentham.
Detto in parole povere, si tratta di carcere che prevede un corpus centrale dedicato alle guardie, e dei bracci tutti ‘ntorno, come fosse un riccio di mare o ‘na ruota di una bicicletta con i raggi.
Questa pensata avrebbe consentito di controllare i detenuti continuamente, senza spostarsi. È proprio su questo medesimo principio, u Panopticon, che si ispira al capolavoro dello scrittore George Orwell, intitolato 1984. Ma chista è n’altra storia.
Nonostante le belle aspettative, però ci resta a tutti il tozzo di pane bloccato nel carnarozzo. Nel piano in cui verrà edificata la Grandi Prigione Centrali, dove prima sorgeva un ispido campo di cardi, il suolo nasconde un’insidia che nuddo si aspettava. A metà della costruzione, quando il corpus è già stato fatto, e anche parte dei bracci, ci si arricorda del vecchio canale, che in mezzo a quel campo di cardi ci passava, e che è stato interrato e deviato qualche tempo prima.
Tutti se lo erano scordati il Canale Passo di Rigano, perfino i palermitani. Ebbene, seppur oramai fantasma, rendeva u terreno troppo argilloso e instabile per costruirci di sopra ‘na struttura di quelle dimensioni.
Come molte cose a Palermo, il carcere a metà. Metà carcere e metà campo di cardi, per chisto i francisi continuarono a chiamarlo, a sfottò, come i cardi: Les Chardons.
Passarono gli anni, e da quelle prigioni pure tanti cristiani. Quando i francisi se ne andarono, lasciarono la città depredata. Almeno ‘na cosa gliela dovevamo fottere!
Ci siamo fottuti la ‘nciuria del carcere nuovo: Lu Scirduni, l’Ucciardone. Questa cosa la raccontò per diversi anni, Josef Anton Tschudi, quando se ne tornò alla Svizzera.
La raccontò a tipo barzelletta agli altri baroni, duchi e gente di buon affare.
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