STORIA E TRADIZIONI
È esistito eppure è quasi una leggenda: la misteriosa scomparsa del lago di Nicito di Catania
La ricostruzione storica dell’antico bacino lacustre è avvolta, già da lungo tempo, da un alone di mistero che fino ad oggi pervade il territorio del capoluogo etneo
Disegno di quello che fu il lago di Nicito di Catania
invincibile o “invitto”. Un’altra ipotesi, invece, sostiene che l’appellativo alluda a papa Aniceto, salito al soglio pontificio intorno al 155 d.C.
Ad ogni modo la ricostruzione storica dell’antico bacino lacustre è avvolta, già da lungo tempo, da un alone di mistero che fino ad oggi pervade il territorio del capoluogo etneo. Alcune testimonianze risalenti al XVII secolo riportano che divenne una vera e propria fonte di vita, propiziando la nascita di molteplici insediamenti abitativi; essendo un luogo ameno e florido, infatti, ben presto favorì una grande espansione urbanistica indirezione nord-ovest della zona territoriale.
Sappiamo, inoltre, che a ridosso di quest’area il viceré Juan de Vega pianificò la costruzione del cosiddetto “Bastione degli Infetti”. Gli storici ascrivono la progettazione del piano edilizio al 1556 e, affidandoci alla documentazione pervenuta, l’opera di fortificazione rientrava negli undici fortilizi che erano stati costruiti sotto la reggenza di Carlo V di Spagna per potenziare i confini del perimetro urbano circostante. Malgrado le innumerevoli notizie tramandate, ad oggi non è rimasta alcuna traccia evidente del lago.
Il lago, inoltre, è ampiamente attestato anche in epoca romana; non a caso da Strabone, geografo greco, ricaviamo delle informazioni abbastanza dettagliate.
Nella sua opera, la Geographia, si parla di questo “locus amoenus” come fosse una preziosa risorsa idrica dell’abitato. Oltre a ciò lo storico riferisce che, nonostante il graduale ritiro delle acque, i terreni conservarono un grado di fertilità eccezionale permettendo uno sviluppo agricolo di ampia portata.
A tessere le lodi della “dolce pozza” fu anche Francesco Ferrara, scienziato italiano di origini catanesi, che ne decantava la bellezza descrivendo alberi maestosi, piante rigogliose e incantevoli campagne. Nel suo testo leggiamo che «In faccia eravi il Lago di Nicito formato dalle acque che vi si radunavano dalle vicine correnti; era circondato di alberi e di folte campagne sparse di vari casini dei catanesi che rendevano quella valle allegra e molto amena».
Il medesimo scrittore, nella “Storia generale dell’ Etna”, illustra pure le possibili cause della sua scomparsa raccontando che “Il torrente infuocato scorrea intanto, esso coprì il lago di Anicito, e superate le mura di Catania dopo la rovina di molti edifici andò a gettarsi nel mare entrandovi per più di un miglio”.
Era il 15 Aprile 1669 quando, dopo aver raso al suolo una miriade di centri pedemontani, la lava raggiunse la campagna a nord-est dalla città di Catania e, in breve tempo, anche la valle di Anicito. Del tutto implacabile il flusso lavico fece breccia persino nel lago di Nicito, ricoprendolo interamente in appena sei ore. Diversi documenti storico-topografici, inoltre, ne
illustrano il profilo geomorfologico prima dell’improvvisa sparizione.
I dati rilevano una profondità che si aggirava intorno ai quindici metri e, al contempo, un perimetro dall’estensione di circa sei chilometri. Queste caratteristiche lo rendevano perfettamente adatto ad ospitare regate navali; difatti, ne furono disputate in gran numero.
Memorabile, a tal proposito, fu la gara navale organizzata in occasione dei festeggiamenti della nascita della Madonna, che si svolse l’8 settembre 1654. Dopo il prosciugamento del tratto lacustre, però, si aprì una querelle sulla possibile localizzazione del medesimo chiamando in causa il parere di vari ricercatori senza, tuttavia, giungere ad una verità scientifica.
Dunque, ad oggi, la memoria del tanto rinomato specchio d’acqua è solamente custodita dall’omonima via cittadina che mette in collegamento l’odierna piazza Santa Maria di Gesù con la via Plebiscito alta, conosciuta anche come “Antico Corso”.
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