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Dall'Open Gate al Number One tra capelloni e rockers: le prime discoteche a Palermo

Siamo negli anni '60 e '70, coi primi locali rivolti a fasce d’età diverse: un fenomeno sociale e culturale che si sviluppa in città e che arriva fino a oggi. Ve li raccontiamo

Domenico Rizzo
Giornalista
  • 1 febbraio 2025

Nell’Italia della seconda metà degli anni Sessanta gli effetti del boom economico cominciano a dissolversi gradualmente e vige un’austerità morale che porta gli adolescenti del tempo a cercare oltre Manica e nel Nuovo Mondo gli stimoli che possano definire la propria formazione individuale, oltre a rafforzare il senso di appartenenza a una realtà restia nell’accettare i cambiamenti.

Sul primo canale nazionale e alla radio viene limitato lo spazio agli interpreti dalle folte chiome, i "capelloni", che cantano la rabbia e il desiderio ispirati dai romanzi di Jack Kerouac e dalle poesie di Allen Ginsberg, nonostante comincino ad affermarsi gruppi come l’Equipe 84, i Dik Dik e i Camaleonti che seguono le orme dei colleghi Procol Harum, Kinks ed Animals catturando l’interesse di un ampio bacino d’utenza cui non si può rimanere indifferenti.

Per non parlare della presunta rivalità tra i Beatles e i Rolling Stones che accende gli animi con un semplice riff di chitarra e fa disperare per la difficile reperibilità dei lavori stampati su vinile. Spotify e Amazon avrebbero fatto comodo, ma questa è tutta un’altra storia.
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In una città come Palermo, forte di una cultura musicale che abbraccia la tradizione folcloristica alla lirica passando per il jazz, si avverte presto il bisogno di costituire degli spazi di incontro e condivisione che rispondano alle esigenze di un giovane pubblico in cerca di novità e svago.

Tra i primi locali ad aprire i battenti vi è il Club America al Parco della Favorita, seguito dall’Open Gate in via Giuseppe Arimondi, a breve distanza dal liceo scientifico Cannizzaro: la fascia pomeridiana è interamente dedicata agli under 20, che assistono dal vivo alle esibizioni dei complessi beat emergenti, mentre quella serale è incentrata sulla musica jazz o sulla selezione di brani delle classifiche radiofoniche proposta dai disc jokey delle emittenti locali.

Al riparo da occhi indiscreti la gioventù palermitana spezza le catene della rigidità imposta dai costumi familiari e si lascia andare all’euforia del ballo sulla pista gremita. I ragazzi replicano le mosse dei loro idoli apprese nei musical in voga sul grande schermo, le ragazze si cambiano d’abito e sfoggiano minigonne forgiate sul modello della stilista britannica Mary Quant.

«Sarà una bella società, fondata sulla libertà», cantano i Rokes su testo di Mogol, auspicio di una nuova era che porta ai movimenti studenteschi del '68 e alla necessità di cambiare un mondo in perenne conflitto, specie sul piano bellico. Non mancano i contrasti tra coetanei sulla linea dell’impegno politico che riguardano l’adesione alle mode correnti e alla fruizione musicale: da un lato le posizioni anti imperialiste dell’ideologia marxista nei confronti dello zio Sam, dall’altro la ribellione alla conformità borghese e la scoperta del piacere della trasgressione che riflettono la filosofia hippie diffusa nella costa californiana.

Alla vigilia del decennio Settanta il Number One di piazza Don Bosco sancirà definitivamente la connotazione della discoteca come punto di riferimento aggregativo della dimensione cittadina giovanile, registrando grande affluenza nei turni pomeridiani e serali del fine settimana con prezzi alla portata di tutte le tasche.

I 45 giri dalle facciate di tre minuti vengono scalzati da suite psichedeliche come «In A Gadda Da Vida» degli Iron Butterfly, il rock a stelle e strisce domina assieme ai cugini d’Albione, dal soffitto una sfera stroboscopica illumina l’ambiente rendendo l’esperienza ancora più trascinante.

In questo primo lustro della nuova decade saranno inaugurati il Grant’s di via Principe di Paternò, il Pape Satan di viale Lazio, il Pare Shock nei pressi di via Emilia, il Life di via Ausonia e lo Speakeasy di viale Strasburgo.

Si delinea così una mappatura dei primi locali rivolti a fasce d’età e differenti estrazioni sociali a seconda della collocazione urbana, principio di un fenomeno sociale e culturale destinato a includere anche l’aspetto commerciale nel ventennio che seguirà, passando dal «suono del futuro» di Giorgio Moroder ai cori in falsetto dei Bee Gees per la colonna sonora de «La febbre del sabato sera» di John Badham, che terrà banco al cinema Arlecchino di via Imperatore Federico per tutta la primavera e l’estate del 1978.

Dai pantaloni a zampa d’elefante e l’acconciatura cotonata di John Travolta si passerà a nuovi look, minimali o sgargianti che siano, al passo con i nuovi generi musicali che guardano al passato e puntano a orizzonti elettronici dove il ritmo si fa martellante, ossessivo, tribale.

Le discoteche si adattano ai tempi e alle mode, a volte cambiano nome o gestione o finalità d’uso, mantenendosi tuttavia fedeli alla linea dell’intrattenimento che spetta dopo una settimana di faticoso lavoro o studio da concludere nel migliore dei modi (e dei mondi) possibili in buona compagnia.


*Si ringraziano Gian Mauro Costa e Mario Bellone per le testimonianze.
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