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Dal terremoto all'istituto repressivo: le mille vite di Ignazio, il "Cantastorie del Belìce"

Sopravvissuto al terremoto del Belìce, Ignazio De Blasi ha ereditato la passione per i "canti" dal padre carrettiere e dalla madre contadina. Vi raccontiamo la sua storia

  • 21 novembre 2021

Ignazio De Blasi, il cantastorie del Belìce

«Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior», così cantava Fabrizio De André, sostenendo che dalle cose peggiori viene fuori il meglio. Sembra calzare a pennello per la storia di Ignazio De Blasi, nato a Partanna (Trapani) nel 1954.

All'età di 12 anni e mezzo Ignazio assiste al catastrofico terremoto del Belìce e questo evento lo segna nel profondo.

«Abbiamo cercato un riparo in campagna, facevamo i falò per riscaldarci. Non eravamo abituati, non sapevamo cosa fosse il terremoto. Quel giorno ero seduto vicino a mio padre, avevo il piede poggiato sulla sbarra della sedia. Ci fu una scossa leggera e mio padre mi disse "non muovere la sedia col piede".

Gli risposi che non ero stato io a muovere la sedia», racconta. Dopo quel terribile avvenimento, Ignazio, che fin da piccolo ha la passione per il disegno, inizia a trascrivere la storia che aveva vissuto, componendo Lu chiantu di l'abbannunati e L'orfaneddi di la valli di Bilìci.
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Eredita la passione per i "canti" dal padre carrettiere e dalla madre contadina: «Mi ricordo quando da bambino andavo in campagna con mio padre col carretto»- racconta - «era piacevole anche il tempo che si impiegava, un'ora per arrivare in campagna, lui si metteva a cantare e io ero felice di ascoltare, non mi annoiavo. Adesso purtroppo si corre, non si comunica più».

Attualmente Ignazio cura una mostra a Castelvetrano, all'interno del laboratorio ''Siciliacrea e arte popolare'' ed è direttore artistico dell'associazione ''Arteinsintesi, amici delle libere espressioni''.

I progetti sono tanti, ad esempio ''Un giardino chiamato terra'', legato ai temi dell'ecologia. Un'altra triste esperienza porta Ignazio a raccontare storie che spesso hanno temi sociali, oltre a quelli più goliardici e divertenti. Dopo il terremoto, si ritrova a frequentare un istituto a Reggio Calabria, che accoglieva i ragazzi per evitare che perdessero l'anno scolastico.

Ma una volta in quell'istituto, Ignazio si rende conto che la situazione è terribile: tutte le lettere che scrivono e ricevono vengono controllate, ci sono ambienti diversi per ragazzini e ragazzine, gli alunni vengono picchiati. Ignazio torna a casa per le vacanze di Pasqua e racconta tutto alla famiglia, i soprusi, le vessazioni, l'atmosfera inquisitoria del luogo.

Prima il terremoto e poi la permanenza in un istituto repressivo, severo oltre ogni immaginazione, risvegliano la sua voglia di scrivere, di raccontare tutto quello che ha dentro. Una dei suoi canti è dedicato a ''Cudduredda'', Eleonora Di Girolamo, ''la picciridda di Gibellina'' simbolo del terremoto del '68: rimase sepolta sotto le macerie per diversi giorni e poi morì in ospedale (Villa Sofia) a Palermo.

Ai canti accompagna sempre dei disegni, dei cartelloni e spiega che esiste una differenza tra il cantastorie, ''colui che canta'', e il cuntastorie, ''colui che racconta'': «Io uso la chitarra, faccio parti cantate e parlate. Utilizzo anche una bacchetta di legno per indicare i quadri.

Il cuntastorie si differenzia tra cuntista e cuntastorie, quest'ultimo tratta diversi temi, Giufà, mestieri antichi scomparsi, le ''abbanniatine'', invece il cuntista utilizza la spada o di legno o di metallo e racconta storie epico-cavalleresche (Orlando, Rinaldo, Angelica)» - racconta - «Dicono che sono colui che ha più cartelloni in assoluto come cantastorie, quasi un centinaio».

Facendoci immergere in un mondo quasi sospeso, un universo fatto di eroi, canti, ''abbanniate'', ricordi e nostalgie, Ignazio ci racconta che a 19 anni visse per un periodo a Londra: «Facevo l'aiutante pizzaiolo».

In quell'occasione partecipa a molti concerti rock, alimentando la sua passione per la musica. In Sicilia ha conosciuto Rosa Balistreri, Ignazio Buttitta, Ciccio Busacca, tra i tanti. Il cantastorie, questa figura quasi leggendaria, non è altro che colui che racconta fatti, storie, come gli aedi greci: «Il cantastorie era il divulgatore delle notizie di cronaca.

Mi rifaccio a temi sociali, ma anche fatti divertenti. Non siamo i padroni del mondo, siamo ospiti nel mondo, cerco di portare avanti quello che potrebbe essere di insegnamento», racconta. I suoi insegnamenti non finiscono qui, infatti oggi Ignazio combatte un cancro e la sua arte lo aiuta a vivere meglio: «Sono malato di cancro e domani faccio la chemio.

Cosa posso dirti? Se hai possibilità, porta sempre avanti le tue passioni, perché ti salvano. Facendo arte non penso alla malattia. Supero con la mia arte, la mia creatività, la malattia», racconta con commozione.

L'intervista a Ignazio è intensa, dura più del solito, perché ascoltarlo è un piacere, sembra che potrebbe raccontare qualsiasi cosa da un momento all'altro, gli aneddoti più inaspettati, dai mitici concerti dei Deep Purple a Londra al dramma del terremoto in Sicilia, dalla passione per il surrealismo alla forza per superare tutto: sembra proprio di aver assistito all'emozionante spettacolo di un cantastorie.
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