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Dal piatto in grembo al sale nel reggiseno: i riti (più assurdi) contro il malocchio in Sicilia

Ogni malessere o impedimento veniva scambiato per iettatura. In tutte le famiglie c'era una persona capace di "cogghiri u malocchiu", talvolta con riti paradossali

Giovanna Caccialupi
Perito chimico industriale
  • 3 marzo 2024

Il rito del sale, uno dei "trucchi" per scacciare il malocchio

Qualunque malessere o impedimento spesso veniva scambiato per un colpo di malocchio, la prima cosa da fare era “cogghiri u malocchiu”, quasi in ogni casa c’era una persona capace di farlo. Un rito fatto di gesti e preghiere segretamente tramandate e apprese esclusivamente la notte di Natale.

Le modalità erano diverse:

- il sospetto ‘nducchiatu” seduto, teneva in grembo un piatto fondo, la persona capace di togliere il malocchio si faceva il segno della croce per tre volte, mormorando preghiere e versava l’acqua nel piatto tracciando delle croci, poi intingeva l’indice della mano destra in un cucchiaio pieno di olio e ne lasciava cadere delle gocce che galleggiavano.

Verificata così la presenza del malocchio sempre mormorando preghiere gettava sale tracciando croci per sminuzzare le grosse gocce riducendole in piccolissime, infine gettava il contenuto del piatto, lì dove “u’nducchiatu” non sarebbe passato a breve, pena la "ripresa del malocchio".

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Un'altra versione, consisteva nel mettere la mano sinistra sulla fronte del sospetto “’nducchiatu”, farsi più volte il segno della croce mormorando preghiere, se chi toglieva il malocchio iniziava a sbadigliare era segno che il malocchio c’era e stava andando via.

Il sollievo era immediato.

Contro il malocchio si poteva fare prevenzione:
- Indossando qualcosa di rosso, i fiocchi rossi erano ritenuti assai efficaci;
- Il corno rosso;
- Un bel mazzetto di peperoncini rossi, appesi in casa, ben visibili dall’ingresso;
- Portare addosso un po’ d’incenso proveniente da una chiesa, solitamente veniva chiesto al prete col pretesto di un improvviso attacco di mal di denti;
- Il sale grosso doveva essere sparso lungo il perimetro della casa, dell’orto, o della bottega che si voleva proteggere. Durante lo spargimento dovevano essere recitate delle preghiere (Tutte le preghiere venivano tramandate oralmente, e si potevano apprendere solo la notte di Natale).

Il sale veniva anche portato addosso, le donne lo mettevano nel reggipetto avvolto in un fazzolettino rosso, gli uomini nella tasca dei pantaloni, nelle vicinanze del pene.

- Quelli meno delicati si facevano murare sulla porta d’ingresso delle vistose corna di bovino.
- Acqua benedetta, furtivamente presa in chiesa per essere sparsa negli angoli delle stanze.

Naturalmente quelli che potevano spendere, si facevano preparare dai professionisti ben più elaborati amuleti, che altro non erano che delle minuscole bustine di velluto rosso, circa due centimetri per due, contenenti non si sa cosa e che non dovevano mai essere aperte, pena inenarrabili sventure.

Il malocchio comunque sollevava la vittima da qualunque responsabilità, la mancata riuscita di qualcosa veniva attribuita alla cattiveria degli altri e non alla propria incapacità.

Mariuzza Pennisi una vera “cunta lastimi” pur avendo una vita abbastanza agiata, infastidiva proprio tutti lamentandosi sempre di qualsiasi cosa: del marito, dei figli, delle sue condizioni economiche, della sua salute, solo per non suscitare invidie che riteneva pericolosissime. Pur essendo religiosa era molto superstiziosa.

Temendo ossessivamente l’invidia degli altri, si guardava bene dal raccontare gli aspetti piacevoli della sua vita, anzi inventava continuamente guai e patimenti. Incontrandola casualmente dal parrucchiere, in un negozio, al cinema, al ristorante, trasaliva come un ladro colto in flagranza, la sua espressione allegra, serena, lasciava posto ad una smorfia di dolore e con voce gemebonda cercava di giustificarsi con le solite puerili bugie:

- «Niscìu sulu picchì, aveva necessità di jri a fammacia, ma sennò mi stava curcata, tantu mi sentu mali!»

- «E statu malata, nisciu du lettu picchì me figghia ‘nsistiu tantu! Ma non mi sentu mancu di stari addritta!»

- «Staiu mangiannu o ristoranti ,sulu pi fari cuntenti i me figghi, ma non mi ni cala…..»

Anche quando mangiava con piacere, faceva una smorfia di dolore, anzi più era buono e più soffriva.

- «Sicuru tutta sta torta, mali mi fa!»

Intanto continuava a mangiare.

- «Sicuru mi ni pentu, ca mi staiu mangiannu sta cosa!»

Il tipo di:

- «vo stari bonu? Lamentiti»

- «chiddi ca addattunu e cianciunu!»

Temeva il malocchio che può scaturire dall’invidia, ma anche quello involontario originato da un genuino complimento.

Il cosiddetto “malocchiu di preju”. Se a qualsiasi cosa, oggetto di complimento, poi succedeva anche un minimo contrattempo, anche un vestito che si macchia accidentalmente, la colpa era della persona che aveva fatto il complimento. Negli anni aveva speso parecchio nella ricerca ossessiva di amuleti , oggetti, preghiere atte a proteggerla.

mali o ‘nciammiatu, se non è poviru è malatu»

- «megghiu cianciuti di cani e non di cristiani»

Rispetto alla maggior parte dei suoi parenti e conoscenti conduceva una vita agiata. Senza rinunce e sacrifici e poteva soddisfare i suoi capricci, sia lei che i suoi familiari godevano ottima salute. Ma lei ogni giorno, in qualsiasi contesto si lamentava di tutto con tutti

- «I genti mi vidunu truccata, i capiddi frischi di parrucchieri, vistuta sempri liganti, ca accattu sempri vistiti novi: ma chi nni ponnu sapiri di me sufferenzi?».

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