ARTE E ARCHITETTURA
Dal Gotico al Rinascimento: per la prima volta i fiamminghi alla corte di Federico II
L'uso della luce, il ritratto a tre quarti, le prospettive: l'omaggio ai fiamminghi con la mostra "Sicilië, pittura fiamminga" allestita al palazzo Reale di Palermo
Questi legami culturali favorirono la migrazione di maestranze che dalle Fiandre si insediarono in Sicilia, e alcuni artisti fiamminghi lasciarono un contributo significativo nel panorama artistico siciliano.
Questo avveniva in strettissima relazione con le vicende politiche ed economiche del tempo, e dalle Fiandre - che in quegli anni brillavano ed erano il centro della vita artistica e culturale - arrivavano moltissime innovazioni: l’uso della pittura ad olio in primis, che permetteva di raggiungere una resa realistica e conferiva ai dipinti effetti di luce mai visti prima.
E poi l’introduzione di nuovi canoni iconografici, come il ritratto di tre quarti e le ambientazioni di scene devozionali in interni domestici, descritti nel dettaglio, con particolare minuzia, adottando però anche l’insegnamento tutto italiano della prospettiva e della rappresentazione dello spazio.
In Sicilia, attraverso Genova e Napoli, arrivavano un gran numero di opere e artisti, e banchieri e mercanti - ma anche la Chiesa e l'aristocrazia - impegnati nell’affermazione del proprio potere sociale, contribuirono all’importazione e alla diffusione delle novità artistiche d’oltralpe.
Sovente erano tavole dipinte, di piccole e medie dimensioni, a destinazione privata e spesso con finalità devozionale, che giungenvano in Sicilia ripercorrendo le rotte dei principali scali mediterranei dei traffici e del commercio, e molte di esse restano ancora oggi tra le suppellettili di famiglie nobili, tramandate da padre in figlio.
Tra il Cinquecento e il Seicento gli artisti fiamminghi incontrano il Rinascimento italiano, maturando un nuovo monumentalismo e una nuova ricerca compositiva, e in seguito, con la diffusione del naturalismo caravaggesco, in Sicilia si ripropone una nuova centralità della pittura fiammingo-olandese, con Rubens, Van Dyck, Honthorst e Stomer.
In questo senso “Sicilië, pittura fiamminga” è un’esposizione significativa, un vero e proprio omaggio al legame culturale tra Sicilia e Fiandre, tra Mediterraneo e Mare del Nord, che mette insieme per la prima volta opere fiamminghe provenienti da collezioni pubbliche e private siciliane, nell’arco temporale che va dal Quattrocento al Seicento, e ricostruisce la presenza di artisti fiamminghi nel collezionismo artistico siciliano tra il XV e il XVI secolo.
Promossa dalla Fondazione Federico II e dall’assessorato regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana, la mostra è curata da Vincenzo Abbate, Gaetano Bongiovanni e Maddalena De Luca, ed è allestita nelle rinnovate Sale Duca di Montalto di Palazzo Reale, dal 28 marzo al 28 maggio, aperta dal lunedì al venerdì dalle 8.15 alle 17.40, la domenica e i festivi dalle 8.15 alle 13.00. Informazioni sui costi d'ingresso sulla pagina dedicata alla mostra.
Cinquantadue opere presentate in un percorso espositivo che si sviluppa attraverso due nuclei tematici: da un lato le opere pervenute in Sicilia attraverso i molteplici percorsi del collezionismo e della committenza - pubblica e privata, dall’altro gli artisti di origine fiamminga pienamente attivi e inseriti nel tessuto storico-sociale siciliano già a partire dagli anni centrali del Cinquecento.
Tra le opere in mostra anche il trittico di Malvagna di Jean Gossart, detto Mabuse, dove vengono rappresentate una Madonna col bambino tra angeli, Santa Caterina d’Alessandria e Santa Dorotea, mentre sul retro del pannello si trova lo stemma della famiglia dei Lanza.
La Deposizione di Jan Provoost, uno degli esempi più significativi del passaggio dal Gotico al Rinascimento dei Paesi Bassi.
La Madonna con Bambino di Anton van Dyck, proveniente dalla collezione Chiaramonte Bordonaro; e la Crocifissione, sempre di van Dyck, proveniente questa dalla collezione di Palazzo Alliata di Villafranca.
E ancora la Circoncisione di Simone de Wobreck, e La morte di Catone dell’olandese Mathias Stomer.
L’esposizione ha inoltre una protagonista d’eccezione, un’opera che si svela al pubblico dopo un oblio di trentadue anni: una tavoletta in legno di quercia, 53 x 15 cm, dipinta ad olio, raffigurante la martire Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto. Sportello destro di un trittico smembrato, in quello a sinistra vi era rappresentano San Rocco, mentre la parte centrale è andata purtroppo dispersa.
L’autore è un ignoto pittore fiammingo, anche se è stato individuato nel cosiddetto Maestro della Leggenda di Santa Lucia, attivo a Bruges tra il 1475 e il 1507.
Il trittico fu probabilmente donato dalla famiglia dei Luna, signori di Bivona, alla chiesa di San Giacomo, annessa al Convento dei Frati Cappuccini di Palermo, dove fino ad oggi si trovava la tavola, correttamente custodita, seppur chiusa in una cassa.
Nei giorni scorsi, in pompa magna, la città con autorità civili, militari, diplomatiche e finanche una rappresentanza dell’Ambasciata Belga in Italia, ha dato il “Bentornato a Caterina”: lo svelamento si è tenuto in un’atmosfera quasi surreale presso il Monastero che porta il nome della Santa, a Piazza Bellini.
Questa riscoperta si lega a filo stretto con la riapertura alla città di un bene qual è il Monastero di Santa Caterina che storicamente - e fino al 2014 - ospitava le suore di clausura.
Dopo l’evento istituzionale - con le dovute misure di sicurezza, si è predisposto il trasferimento di “Santa Caterina” a Palazzo Reale, per la mostra che fino al 28 maggio la vedrà protagonista.
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