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Dal Bangladesh a Palermo, serve ai tavoli senza un braccio: Rubena "vince" i pregiudizi

Discriminata perché straniera e disabile, oggi Rubena lavora nei bar della città, sogna l'università e una carriera da diplomatica nell'ambito dei "diritti umani"

  • 15 aprile 2024

Rubena Akhtar

Aveva solo 9 mesi Rubena quando i suoi genitori si trasferirono dal Bangladesh a Palermo.

Classe '99, Rubena Akhtar, è a tutti gli effetti una giovane palermitana con tanto di accento delle nostre parti. Possiede uno sguardo dolce e intelligente, carnagione scura, capelli lisci e neri.

Rubena è nata con una malformazione, è infatti priva dell'avambraccio e della mano sinistra. Mi ha colpito la sua serenità e la sua disinvoltura quando l'ho vista la prima volta.

Girava tra i tavoli di un ristorante del centro storico, sempre con un vassoio carico in mano e con un'abilità unica.

«Ho realizzato che mi mancava un braccio quando avevo 6 anni davanti allo specchio mentre stavo facendo un balletto» racconta Rubena.

Quando frequentava la scuola elementare di via del Celso a Palermo (zona Capo), in quella classe ha dovuto subire dei problemi culturali di quell'ambiente fatto di retaggi e pregiudizi per fortuna risolti con il passare dei giorni e degli anni.
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«Ero discriminata perché ero straniera e senza un braccio, ma il problema spesso parte dagli adulti» afferma Rubena.

A proposito della sua disabilità, Rubena adesso, ci ironizza sù: «La volete una mano? Ne ho solo una!» e sorride un po'.

A lavoro, infatti, è stato tutto molto piu' semplice, soprattutto nelle prime esperienze delle "sale" dei ristoranti.

Infatti Rubena dice: «È stato divertente il colloquio in un locale di Mondello quando mi hanno chiesto se sapessi portare un vassoio. Ho risposto di sì, mentendo palesamente. Ma quando ho fatto il giorno di prova, quel giorno sembrava che con il vassoio ci fossi nata per davvero».

E così continua la carriera di Rubena sempre con un vassoio in mano sorretto anche dal braccio sinistro. Con quel braccio Rubena si aiuta per avere maggiore equilibrio.

Mentre lavora per automantenersi, pensa di tornare a studiare per lavorare nell'ambito dei "diritti umani". Un progetto molto ambizioso da sviluppare in Sicilia per aiutare il suo paese, il Bangladesh - da dove manca da quando aveva 15 anni e dove vive la sua nonna materna.

«Il prossimo anno, probabilmente, inizierò a frequentare Giurisprudenza, e dopo la laurea vorrei frequentare il master sui diritti umani».

Rubena è anche una "facilitatrice linguistica e culturale", una figura di mediazione. Rubena spiega: «Il primo progetto era di inclusione e di intercultura per gli adolescenti italiani extracomunitari a cui dovevo veicolare il messaggio in lingua straniera».

Spera di cambiare la rigidità del suo paese di origine, infatti afferma: «Io non voglio sposarmi e nel mio paese non è ben visto che una donna non si debba sposare e non debba avere dei figli».

«Perchè non ti vuoi sposare?», le chiedo - «Non credo di averne bisogno, non mi serve un matrimonio per vincolare l'altra persona» e spiega: «Nel mio paese se una donna non si sposa e i fratelli successivi invece sì, si pensa che quella donna sia "malata" creando dei danni morali non indifferenti».

Rubena non è né atea né praticante ma crede in "qualcosa": «Non mi piace il dogma delle religioni» dice.

Quando le chiedo se le piace vivere a Palermo, Rubena prontamente risponde: «Palermo è un amore tossico, non riesco a lasciarla perchè questa è la mia città anche se il lavoro a volte è sfruttato e la delinquenza dilaga».
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