ITINERARI E LUOGHI
Cristalli lucenti, stalattiti e gallerie: viaggio nelle tre miniere di sale (attive) in Sicilia
C’era una volta un mare Mediterraneo chiuso isolato dall’oceano Atlantico, con una Trinacria che affiorava solo con le sue montagne. Vi sveliamo la storia del sale siciliano
Il sale siciliano ha una storia antichissima. C’era una volta un mare Mediterraneo chiuso isolato dall’oceano Atlantico, con una Trinacria che affiorava solo con le sue montagne.
I rilievi avevano racchiuso e imprigionato una parte di questo mare che, con l’azione dei venti e del sole e la poca pioggia, aveva formato una laguna salmastra. L’evaporazione rendeva sempre più concentrati i Sali che così sedimentarono cristallizzandosi e inserendosi in formazioni argillose, che conservarono il minerale per milioni di anni.
La Società “Italkali” aggiunge, a questa bellissima storia, che il sale, ricavato dal salgemma ha quindi origine da un mare antichissimo e incontaminato, di oltre cinque milioni di anni, diverso dal sale marino frutto dell’evaporazione del mare, che richiede raffinazione perché pieno d’impurità.
Al loro interno a centinaia di metri di profondità vi sono gallerie che si allungano per chilometri così grandi da essere percorse da mezzi pesanti.
È un mondo fiabesco quello delle miniere di sale, fatto di cristalli lucenti con stalattiti (le più belle sono state donate da ItalKali, al museo di Scienze Naturali di Bergamo) e da rosoni (oltre i 75 metri), dove il sale con altri minerali disegna cerchi concentrici di diversi colori, spirali che vanno dal bianco al grigio al rosso, sfumandosi l’uno nell’altro.
Delle tre miniere quella di Petralia Soprana è particolare, è infatti racchiusa in una montagna a 1100 metri sul livello del mare; situazione che fa pensare che il salgemma di Petralia, nel corso delle ere geologiche si sia sciolto e ricristallizzato spostandosi dal luogo di origine di formazione fino alla montagna, è un sale puro quasi al 100%.
Se Racalmuto è famosa perché città natale di Leonardo Sciascia, lo è anche per la sua miniera di Salgemma a cui lo scrittore dedicò un capitolo nel “Le Parrocchie di Regalpetra".
Un’indagine, considerata dallo stesso autore, come una delle migliori tra quelle scritte. Nei “Salinari”, scrive che i pericoli nelle grotte seppur inferiori rispetto a quelli delle Zolfare, erano comunque presenti e infidi. Il distacco della roccia arrivava all’improvviso senza alcun suono, provocando incidenti anche mortali.
Le condizioni lavorative a fine anni 50 erano difficili con turni estenuanti di lavoro, una paga molto bassa e una serie di disturbi collaterali. Una patologia frequente era il nistagmo oculare, l’oscillazione involontaria degli occhi, (Sciascia la paragonò a quello delle bambole quando si guastava l’apertura e chiusura degli occhi). La ragione del disturbo era probabilmente dovuta allascarsa luce o a una cronica intossicazione da gas.
A questo si accompagnavano i reumatismi (i dolori “ romantici” com’erano chiamati dai minatori), contratti in forma sera e invalidante; Sciascia ricorda i minatori in pensione, seduti sulle panchine alla ricerca di sole, per "far asciugare le ossa".
Lavorare con il sale, inoltre non permetteva alle ferite di rimarginarsi, creando ulcere e piaghe. A questi si aggiungevano delle eruzioni cutanee simile a bolle, e “una spiccata Iperidrosi”: le mani al tatto sembravano sempre bagnate, non era la sensazione di una mano sudata, queste erano pietre di sale.
È un’analisi quella di Sciascia molto interessante che ci riporta a condizioni lavorative ormai superate. I minatori di oggi hanno dispositivi di sicurezza e visite frequenti che monitorano lo stato di salute.
Lasciamo le enormi gallerie percorse da camion, nella miniera di Racalmuto, per arrivare a Realmonte, e alla sua incredibile Cattedrale di Sale. Qui i minatori hanno realizzato un luogo di culto unico.
All’ingresso della Cattedrale vi sono due acquasantiere, l’altare posto sul Presbiterio è ricavato da un unico blocco di sale sopraelevato dove vi è raffigurato l’Agnello. L’ambone ha la croce e il cero Pasquale, e sulle pareti di questo luogo grande più di 20 metri, è stata scolpita la Cattedra Vescovile, la Sacra Famiglia, un Crocefisso e Santa Barbara.
Ed è qui che il 4 dicembre, viene ricordata la Santa Protettrice dei minatori. La Santa, benché sia stata rimossa nel 1969 dal calendario romano generale, per la mancanza di attendibili dati storici, ha numerosi patronati, legati alle vicissitudini prima del martirio, che l’hanno inserita nei 14 santi invocati in caso di estrema necessità.
L’esser riuscita a trapassare le pietre di una torre dove il padre l’aveva imprigionata; la punizione divina inflitta al Dioscuro che scoprì dove si era nascostae fu incenerito da un fulmine; la trasformazione in pietra di chi l’aveva tradita e l’esser riuscita a guarire dalle ustioni provocate dai suoi carcerieri, l’hanno resa Santa Patrona di Vigili del Fuoco, Marina Militare, Artificieri, Artiglieri, Architetti, Minatori e tanti altri.
È un peccato che a causa della pandemia la visita alla Cattedrale sia stata sospesa, così come quelle nelle altre miniere.
Rimane, però il Sale, elemento quotidiano della nostra vita, così importante da aver dato il nome a una delle arterie romane: la via Salaria, (che portava il sale a Roma).
Così prezioso, perché sistema di conservazione degli alimenti, da avere una tassa apposita. Diventando retribuzione per i legionari, i sacchetti di sale erano parte del pagamento e premio dopo le campagne militari. Ed è dal pagamento con il sale, che trae origine un termine ancora in uso: il salario.
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